Fino a che punto si può “decidere” la natura di sé

Conchita_WustVita e Pensiero n.5 ottobre 2014

A partire dal dibattito francese sul “matrimonio per tutti”, chiediamoci se è davvero plausibile costruire una società che, in aperta rottura con tutte le altre società storiche conosciute, non si riferisce più alla natura e a principi condivisi.

Dominique Schnapper

Rimettere in discussione certe istituzioni nel modo di concepire la vita privata è quanto di più rivelatore vi sia della pressione esercitata dalla dinamica dell’uguaglianza e dalla penetrazione dei valori democratici. Potevamo credere che si trattasse dell’ultimo ambito in cui le differenze tra le persone, se non più giustificate dalla volontà di Dio, dipendessero dalla natura. Se rimettere in discussione norme e istituzioni pubbliche era legato al progetto di autonomia e giustificato dal pensiero relativista, la natura – se non la volontà divina – sembrava per contro segnare un limite invalicabile: il sesso, l’età e l’origine etnica non potevano essere il prodotto di una scelta.

Il carattere naturale della famiglia (padre, madre e figlio biologico – l’incontro tra un uomo e una donna è necessario per far nascere un figlio) era la cellula della società; società che d’altronde si configura essa stessa come una sorta di famiglia allargata: questi sono stati temi costanti fino a poco tempo fa. Le altre forme familiari (ad esempio, l’adozione) erano concepite su questo modello, i genitori adottivi cercavano un bambino simile a loro per origine o per aspetto fisico, che potesse apparire il più possibile come il loro “vero” figlio.

La rivendicazione del matrimonio omosessuale e del diritto alla genitorialità di tali coppie rimette in questione quest’ultima forma di eteronomia. In attesa di essere adottato da tutti i Paesi democratici, il matrimonio fra coppie dello stesso sesso è già legalizzato in più di una decina di Paesi europei e in diversi Stati degli Usa. In Canada, la Corte dell’Ontano ha ammesso l’esistenza di tre genitori legali, riconoscendo sia il genitore biologico sia una coppia di donne.

La Corte europea ha modificato la sua giurisprudenza sul tema. Nel 1986 e nel 1990, essa aveva interpretato l’articolo 12 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo («A partire dall’età minima per contrarre matrimonio, l’uomo e la donna hanno il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia secondo le leggi nazionali che regolano l’esercizio di tale diritto») nel senso del matrimonio tra due persone di sesso differente. Ma il 19 febbraio 2013 essa ha condannato l’Austria per discriminazione nei confronti delle coppie omosessuali: i tribunali austriaci avevano vietato a uno dei partner di una coppia di donne di adottare il figlio biologico dell’altra, mentre i coniugi di una coppia eterosessuale dispongono di tale diritto.

Lo stesso giorno, la Corte costituzionale di Karlsruhe ha ritenuto incostituzionale la legge che vieta agli omosessuali di adottare il figlio del loro partner, benché il matrimonio omosessuale e l’adozione da parte di una coppia omosessuale restino vietate in Germania. La Corte europea dei diritti dell’uomo, come il Consiglio costituzionale, riconosce che la coppia omosessuale e i figli che essa alleva partecipino a una «vita familiare» nel senso dell’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e del Preambolo della Costituzione francese del 1946. In Ungheria, la Corte costituzionale ha dichiarato che lo Stato doveva proteggere «tutte le forme di famiglia», dato che «non si può ostacolare l’estensione dei diritti in una società aperta e democratica».

I termini padre e madre vengono soppressi nei testi giuridici a vantaggio del termine partner in California; in Spagna esistono il progenitor A e il progenitor B; in Canada genitore [parent] designa indifferentemente un uomo o una donna, senza limitazione del numero delle persone. L’introduzione del “matrimonio per tutti” in Francia impone che in tutti gli articoli del Codice civile, del Codice della Sicurezza sociale e degli Assegni familiari, dedicati ai diritti e agli obblighi del marito e della moglie, del padre e della madre, i termini vengano reinterpretati in base alla nuova definizione del matrimonio che può unire due persone dello stesso sesso.

L’esigenza di uguaglianza

L’esigenza di uguaglianza si rinnova man mano che viene soddisfatta. Niente Io dimostra meglio delle tappe dell’instaurazione progressiva del “matrimonio per tutti” francese. È in nome dell’uguaglianza che esso viene rivendicato. Perché taluni, a causa della loro inclinazione sessuale, non dovrebbero disporre degli stessi diritti degli altri, cioè di vedere il loro amore consacrato dalla società e i loro interessi materiali comuni protetti dalla legge? Perché la loro relazione amorosa deve essere relegata alla sfera privata senza beneficiare del riconoscimento istituzionale e simbolico che conferisce il matrimonio, se esse lo desiderano, alle coppie eterosessuali?

Le coppie eterosessuali possono unirsi con il matrimonio, i Pacs [Patti civili di solidarietà] o il concubinato: perché le coppie omosessuali potrebbero unirsi solo con i Pacs e il concubinato? Di fatto, la Corte suprema del Canada ha ritenuto che, a partire dal momento in cui la Carta dei diritti fondamentali pone un principio di uguaglianza di trattamento, il fatto di definire il matrimonio come l’unione tra un uomo e una donna costituisce una disuguaglianza di trattamento contraria alla Costituzione.

Introducendo i Pacs nel 1999, il legislatore francese si era sforzato di garantire l’uguaglianza dei diritti materiali ai contraenti, pur segnalando le differenze tra ciò che doveva restare un semplice contratto e il matrimonio nella sua piena dimensione sociale e simbolica. I responsabili politici insistevano allora sul fatto che i Pacs non costituissero una tappa sulla via del matrimonio e non dessero alle persone unite in patto civile il diritto di adottare un bambino.

Benché svariate disposizioni accordassero ai contraenti diritti materiali sul modello delle coppie sposate, il legislatore, ce ne ricordiamo, si era sforzato di sottolineare, in modo simbolico, la differenza che intendeva mantenere tra i Pacs e il matrimonio: la dichiarazione in pretura e non in municipio, casa comune della Repubblica, l’assenza di atto di stato civile, la negazione della Pma [procreazione medicalmente assistita].

Egli intendeva concentrarsi sulle distinzioni tra il matrimonio necessariamente concluso tra un uomo e una donna e il contratto concluso tra due persone indipendentemente dal loro sesso. La potenza della dinamica democratica ha rapidamente reso insostenibile tale distinzione, che ha finito per essere considerata discriminatoria.

Abbiamo visto che nel 2006 e nel 2007 la maggior parte delle disposizioni di legge per le quali i Pacs restavano distinti dal matrimonio sono state soppresse e che i Pacs tendono a divenire il modello del matrimonio. E difficile, passati alcuni anni, ricordare lo scandalo che avevano suscitato quando furono introdotti, tanto si sono imposti, nel corso degli anni, come qualcosa di scontato. Manifestano il senso dell’impegno democratico, fondato su un contratto liberamente e provvisoriamente firmato tra due persone uguali. Lo stesso matrimonio, del resto, ormai consacra l’unione di una coppia sulla base di sentimenti condivisi e di un progetto di realizzazione di sé, non necessariamente sulla base dell’intenzione di fondare una famiglia.

Il “matrimonio per tutti” istituito in Francia nel 2013 – quattordicesimo Paese ad adottare il matrimonio omosessuale – riconosce il diritto al matrimonio per tutte le coppie, eterosessuali e omosessuali, il che implica il riconoscimento a queste ultime non solo della solidarietà morale e materiale, ma anche del diritto a essere genitori, dunque di adottare dei bambini. Ma il diritto alla sola adozione è ormai sentito come contrario all’uguaglianza tra la coppia eterosessuale, che può beneficiare dei progressi della scienza per avere un figlio grazie alla Pma, e la coppia omosessuale a cui tale diritto non sarebbe riconosciuto.

In nome dell’uguaglianza, anche quest’ultima deve avere il diritto alla Pma. Le coppie di donne potrebbero beneficiarne grazie all’inseminazione artificiale. È così che certe militanti, su «Le Monde» del 12 dicembre 2012, chiedevano che il diritto alla Pma fosse riconosciuto alle coppie di donne, sostenendo però che, al contrario, le coppie di uomini non avrebbero dovuto disporre del diritto alla “gestazione per altri” (Gpa, altrimenti detta “maternità surrogata” o “utero in affitto”), perché ciò rischiava di aprire la porta alla “mercificazione” del corpo delle donne.

Contro questa nuova proposta, la risposta è stata rapida: in nome dell’uguaglianza tra tutte le coppie omosessuali, uomini e donne, Elisabeth Badinter e Irène Théry, ancora su «Le Monde» del 20 dicembre 2012, si sono scagliate contro una nuova forma di disuguaglianza: le coppie di uomini dovrebbero avere gli stessi diritti ad avere figli delle coppie di donne, dunque beneficiare del diritto alla Gpa. Come potremmo arrestare la dinamica dell’uguaglianza?

Il matrimonio omosessuale non è la sola manifestazione dell’aspirazione ad affermare identità indipendenti dai dati biologici. Un’altra è il diritto al cambiamento di sesso. Si diceva un tempo che il Parlamento inglese poteva fare tutto tranne cambiare un uomo in donna

La legislazione francese autorizzava, quando lo accettava, il cambiamento di sesso solo a rigide condizioni e precauzioni. Ormai si evoca abitualmente il “terzo sesso” per designare esperienze diverse di sesso ambiguo o scelto (bisessualità o transessualità). La Corte europea dei diritti dell’uomo ha ritenuto, in una sentenza del 2002, che il divieto di cambiare sesso non solo ledesse il diritto al rispetto della vita privata, ma che fosse criticabile rispetto alla nozione di autonomia personale che include il diritto per ognuno di scegliere le caratteristiche della sua identità di essere umano.

Il Congresso dell’Argentina, a sua volta, ha adottato all’unanimità, il 10 maggio 2012, una nuova legge d’identità di genere, promulgata il 2 luglio, che permette a ogni persona che lo desideri di modificare legalmente, con una semplice dichiarazione, il sesso e il nome con i quali è stata dichiarata alla nascita; 399 persone hanno richiesto di beneficiare di queste disposizioni in due mesi (di contro, l’aborto resta illegale in questo Paese, a eccezione di pochi casi ben precisi e limitati).

Per taluni pensatori della modernità, la vera democrazia dovrebbe eliminare la differenza dei sessi per riconoscere solo una «essenziale bisessualità psichica»; «È tempo di accettare la nostra essenziale bisessualità psichica […]. Non vogliamo più saperne di un mondo che si organizza secondo la differenza dei sessi» (Elisabeth Badinter al Forum di Le Mans organizzato da «Le Monde» dal 16 al 18 novembre 2007).

II rifiuto di una definizione biologica

Gli uomini democratici vogliono inventare una relazione inscritta nella sola scelta del sentimento in modo sempre più indipendente dai dati biologici. I militanti dei diversi movimenti Glbt (gay, lesbiche, bisex e transex), le cui relazioni amorose e sessuali non possono conformarsi ai ruoli tradizionali, hanno trasformato la rappresentazione e l’esperienza di quelle sessualità a lungo ritenute colpevoli. La separazione della sessualità e delle norme culturali dall’unione coniugale e dalla filiazione, che le relazioni tra omosessuali o le sessualità ambigue implicano, illustrano la radicale rimessa in questione della tradizione e la volontà dell’individuo democratico di affermare liberamente la sua identità senza fare riferimento a un modello imposto.

È così che possiamo comprendere il fascino esercitato a livello mondiale da Michael Jackson, che simboleggiava il sogno di sfuggire a tutte le definizioni: era bianco o nero, adolescente o adulto, uomo o donna? Tutte le categorie di percezione e di organizzazione della vita sociale erano simbolicamente scavalcate da questo personaggio emblematico, la cui morte, misteriosa quanto la sua personalità, ha suscitato un’emozione planetaria.

Questa aspirazione fa eco alla riflessione delle femministe, le cui tappe sono in proposito significative. Detto in breve, in un primo tempo il concetto di genere (gender, per riprendere il termine della lingua nella quale è stato inventato) è stato elaborato per distinguere il fatto biologico – la differenza tra i sessi – dalla costruzione sociale di tale differenza, secondo la quale certe caratteristiche vengono attribuite alle donne, caratteristiche dalle quali esse traggono la loro condizione inferiore nella società: la costruzione sociale del genere è nello stesso tempo un rapporto di potere.

L’elaborazione di tale concetto implicava che esistesse un’identità femminile, seppure definita non più biologicamente, ma socialmente o storicamente: la distinzione tra sesso e genere rimandava implicitamente alla differenza tra natura e cultura. A partire dagli anni Novanta, è il sesso stesso a venir storicizzato, non lo si considera più un dato biologico, ma un fatto storico. Sarebbe, come il genere, prodotto dalle relazioni di potere. La sessualità stessa è al cuore della critica radicale rivolta dalla teoria queer, di cui Judith Butler è l’araldo. Essa mette in discussione l’ordine eterosessuale che domina il mondo in nome di una natura che non esisterebbe: i «veri uomini» e le «vere donne» sarebbero solo invenzioni create per fissare saldamente il potere della norma dell’eterosessualità.

I transessuali, con la loro marginalità, rivelerebbero il «turbamento nel genere» caratteristico della democrazia di oggi. L’eterosessualità non sarebbe né naturale né evidente, si fonderebbe su «presupposti plasmati da discorsi ordinari o accademici sulla sessualità». Sarebbe dunque importante «”denaturalizzare” il genere», per «opporsi alla violenza delle norme che governano il genere».

Tale ambizione rivelerebbe che «la realtà del genere entra anche in crisi: non sappiamo più come distinguere il reale dall’irreale. Ed è in questa occasione che capiamo che ciò che consideriamo “reale”, ciò che invochiamo come un sapere naturalizzato sul genere è, di fatto, una realtà che può essere cambiata e trasformata […], arriviamo a capire che il campo sedimentato e reificato della “realtà” di genere potrebbe essere costruito in modo diverso e, sicuramente, meno violento» (Judith Butler, Gender Trouble. Feminism and the Subversion of ldentity, 1990, trad. it. Questione di genere. Il femminismo e la sovversione dell’identità, 2013). Il rifiuto di una definizione biologica del sesso è totale.

L’idea della persona definita al di là della sua identificazione sessuale, che implica che i sessi siano intercambiabili, costituisce una rottura radicale. L’unione coniugale ha organizzato le società storiche, la filiazione si è sempre fondata sull’iscrizione del figlio in due lignaggi differenti, anche se essa era indipendente dall’atto di generare. Il femminile e il maschile hanno sempre strutturato la ripartizione dei ruoli sociali tanto quanto la concezione del mondo. Ora, la dualità sessuale deve oggi essere coniugata con il sogno democratico dell’uguaglianza di tutti. La distinzione secondo il sesso è sempre più avvertita non come una differenza suscettibile di comportare ruoli differenti e complementari, ma come una disuguaglianza, e quindi, a questo titolo, iniqua.

Una rottura profonda

E vero che l’ordine simbolico del mondo assume forme diverse a seconda delle culture – è il senso di tutto il sapere antropologico. La filiazione non si confonde con l’atto di generare, inteso soltanto in senso “naturale”. La paternità sociale non coincide sempre con la trasmissione biologica. Il genitore non è necessariamente il padre, lo zio materno può essere il padre sociale del bambino. Gli antropologi moltiplicano gli esempi di società nelle quali la filiazione è distinta dall’atto di generare.

Quanto alle società europee, esse sono vissute sull’utopia, consacrata dal diritto, di una genitorialità considerata conforme alla natura, nella quale coincidono il biologico e il sociale. Secondo tale concezione, l’atto di generare si confonde con la filiazione: il marito della madre è il padre del bambino, la parentela sodale si suppone biologica, il matrimonio regola la filiazione. Oggi, il matrimonio omosessuale è ampiamente accettato, si è d’accordo nel pensare che la coppia omosessuale debba beneficiare del riconoscimento simbolico e dei diritti concreti delle coppie eterosessuali.

Di contro, il diritto alla genitorialità e alla filiazione sembra mettere in discussione la concezione tradizionale, il figlio è l’erede di una discendenza materna e di una discendenza paterna, anche se i genitori non sono quelli che l’hanno generato. In Francia, esso ha suscitato reazioni appassionate, mentre è diventato scontato in Spagna e in Belgio dove è ammesso da alcuni anni. Implica il rifiuto di un “dato familiare”, rivoluziona le certezze. Rimette in discussione il «nocciolo duro» del sistema culturale, cioè la concezione delle relazioni tra i sessi e le generazioni, che si traduce nell’imposizione di norme e di comportamenti specifici a seconda dell’età, del sesso e della condizione familiare e che, profondamente interiorizzata, fissa i comportamenti degli uni e degli altri e da un senso ai destini individuali istituendo le forme legittime dell’unione e della filiazione.

In tutte le società, l’ordine simbolico distingue il “puro” dall’impuro”. Mary Douglas, in un testo divenuto classico (Purity and Danger. An Analysis of Concepts of Pollution and Taboo, 1966, trad. it. Purezza e pericolo. Un’analisi dei concetti di contaminazione e tabù, 1993), sostiene che gli «abomini» denunciati nel Levitico, in particolare a proposito delle prescrizioni alimentari, consistono nel mescolare gli ordini, in quanto «la santità significa tenere distinte le categorie della creazione; ciò presuppone quindi corretta definizione, discriminazione e ordine […] santità come ordine e non confusione».

La radice della parola «santità» significa d’altronde «stato di separazione»; «il principio di fondo della purezza degli animali è che essi devono essere pienamente conformi alla loro classe: sono immonde quelle specie che sono membri imperfetti della loro classe, o la cui classe stessa rende ambiguo il disegno generale del mondo». Una società si definisce attraverso una concezione del mondo, condivisa da tutti, che conferisca un senso, organizzandoli e gerarchizzandoli, ai grandi dati dell’esperienza umana: la nascita, l’unione coniugale, la morte.

Per molte persone, il “matrimonio per tutti” mette in discussione la distinzione tra gli uomini e le donne, tra chi possiamo o non possiamo sposare e, in un certo senso, la concezione dei figli e dei genitori, vale a dire l’insieme dei modi di pensare, agire e sentire di una comunità nel suo triplice rapporto con la natura, l’uomo, l’assoluto, con cui si definisce una cultura comune.

Per apprezzare il senso della rottura introdotta dalla dinamica democratica, bisogna ricordare che tutte le società umane comportano una distinzione tra il femminile e il maschile. Gli antropologi hanno rilevato l’irriducibilità della differenza dei sessi nell’organizzazione e nella rappresentazione del mondo. Pierre Bourdieu ha mostrato che, nella casa kabila, l’opposizione tra il principio maschile e quello femminile conferiva il suo senso alla ripartizione dei compiti, all’organizzazione dello spazio privato, al rapporto tra il privato e il pubblico e alla regolazione dei comportamenti degli uomini e delle donne.

La casa kabila è un «microcosmo organizzato secondo le stesse opposizioni che governano l’universo» e «intrattiene una relazione di omologia con il resto dell’universo». Essa organizza un universo diviso secondo un «sistema di opposizioni parallele che non devono mai tutta la loro necessità agli imperativi tecnici».

La parte bassa della casa, oscura e notturna, connessa al principio femminile, è riservata agli oggetti umidi, agli animali e allo svolgersi delle attività naturali, sonno, atto sessuale, parto e morte, vi si trova la macchina per tessere e la cucina; la parte alta, luminosa e nobile, legata al principio maschile, è il luogo della cultura, dell’attività, del fucile con il quale si afferma l’onore virile. «La parte bassa e oscura si oppone anche alla parte alta, come il femminile al maschile».

L’opposizione all’interno della casa è omologa a quella che si stabilisce tra il dentro e il fuori, tra lo spazio. femminile, la casa e il suo giardino, e lo spazio maschile, lo spazio pubblico; tra i compiti svolti dalle donne e quelli di cui s’incaricano gli uomini; tra le norme differenti che s’impongono ai comportamenti degli uni e delle altre.

Cancellare la distinzione

Facendo il bilancio della conoscenza antropologica, Francoise Héritier prosegue queste analisi: «Mi sembra che l’osservazione della differenza tra sessi sia alla base del pensiero, sia tradizionale sia scientifico. […] Mi sembra che questo sia il limite ultimo del pensiero, perché su di esso si fonda un’opposizione concettuale essenziale, quella che oppone l’identico al differente, uno di quei thernata arcaici che si ritrovano in tutto il pensiero scientifico, antico e moderno, e in tutti i sistemi di rappresentazione.

Supporto principale dei sistemi ideologici, il rapporto identico/differente è alla base dei sistemi che oppongono due a due valori astratti o concreti (caldo/freddo, secco/umido, alto/ basso, inferiore/superiore, chiaro/scuro), valori che contengono contrasti, e che si ritrovano nelle griglie di classificazione del maschile e del femminile» (Masculin-féminin. La pensée de la différence, 1996, trad. it. Maschile e femminile. Il pensiero della differenza, 1997).

Secondo Claude Lévi-Strauss, i tre pilastri della famiglia e della società sono la ripartizione sessuale dei compiti, la proibizione dell’incesto legata all’obbligo esogamico e l’instaurazione di una forma riconosciuta di unione. Questi tre pilastri presuppongono la distinzione dei sessi. Héritier, con la sua opera, ne ha aggiunto un quarto, «”la valenza differenziale dei sessi”, che, a sua volta, è un artefatto e non un fatto di natura», in quanto «la dominanza sociale del principio maschile è un fatto di osservazione generale».

Queste percezioni spontanee sono d’altronde all’origine delle categorie conoscitive: operazioni di classificazione, opposizione, qualificazione, gerarchizzazione, griglie in cui il maschile e il femminile si trovano racchiusi. Se il dominio del maschile, o la «valenza differenziale dei sessi», è un universale, ne consegue che si distinguano il maschile e il femminile.

Erede di un sistema di opposizioni simboliche che non è estraneo a quello che si traduce nell’organizzazione della casa kabila, l’homo democraticus tende, più che nelle altre società, a cancellare la distinzione tra il maschile e il femminile, anche al di fuori della sfera politica e professionale in cui tale cancellazione si impone per principio in nome dell’universalità della cittadinanza. Lo sviluppo della logica democratica rende gli uomini e le donne sempre più uguali – senza tuttavia che l’uguaglianza venga raggiunta – nella vita della città e nel mondo economico dove i posti di lavoro fanno sempre meno appello alla forza fisica, luoghi dove la differenza dei sessi può essere progressivamente neutralizzata.

Di contro, le relazioni familiari sono fondate sulle differenze dei sessi e delle generazioni, anche se le tappe naturali dell’esistenza umana sono sempre reinterpretate dalle diverse culture, anche se la filiazione, il legame coniugale e la morte non vengono naturalmente vissute e pensate, se sono fatti che ogni cultura interpreta e organizza in modo specifico.

Héritier fa giustamente notare che la legge francese si riferisce, a seconda della convenienza e dei desideri del momento, «o alla filiazione sociale legittima così come la si definisce giuridicamente, o alla volontà, o alla verità biologica per rivendicare o rifiutare un figlio». Da quest’osservazione emerge la complessità del legame di filiazione. Possiamo pensarlo come totalmente indipendente da qualunque dato biologico in una società che si vuole organizzata dalla scienza?

Possiamo riconoscere legami di filiazione al di fuori di ogni considerazione del sesso biologico dei genitori? Se esiste, secondo gli psicoanalisti, un’essenziale bisessualità psichica di qualunque essere umano che comporta a un tempo un polo maschile e un polo femminile, tale distinzione che struttura l’esperienza del bambino può essere totalmente indipendente dalla differenza del sesso dei suoi genitori?

Si può notare che le coppie omosessuali rivendicano non solo il diritto di adottare bambini, ma auspicano anche di avere un legame biologico con essi grazie alla procreazione medicalmente assistita (Pma) o alla gestazione per altri (Gpa), riconoscendo così che il riferimento biologico, nelle nostre società, resta una delle dimensioni del senso della filiazione.

Una società “de-naturalizzata”?

Seguendo la stessa ispirazione, alcuni autori hanno teorizzato la nascita di una società che sarebbe “post-etnica”, “post-razziale”, “post-mortale” o anche “post-umana”, cioè integralmente de-naturalizzata. David Hollinger auspica, ad esempio, che si elabori una società americana “post-etnica”, nella quale le affiliazioni degli individui ai gruppi etnici non sarebbero più imposte dall’ordine sociale, ma liberamente scelte dall’individuo stesso (cfr. Post-etnical America. Beyond Multiculturalism, 1995).

Per riprendere l’esempio proposto dall’autore, quelli che percepiamo come afro-americani potrebbero smettere di essere avvertiti come membri di quel gruppo etnico sulla base del loro fenotipo, e scegliere di essere, ad esempio, irlandesi-americani in nome di uno dei loro avi ed essere riconosciuti come tali nella vita sociale. È tuttavia difficile immaginare una società dove la percezione dell’affiliazione a un gruppo etnico particolare possa essere solo il prodotto della volontà dell’individuo e non della percezione degli altri.

E’ difficile pensare che l’afro-americano, individuato per la sua pelle scura, sarà considerato dagli altri come un irlandese-americano, anche se lui stesso decide d’identificarsi con questo gruppo etnico. Comunque, la cosa significativa è che, post-etnica, post-razziale, post-mortale o post-umana che sia, ci si sforza di pensare una società nella quale le distinzioni biologiche o ereditate sarebbero superate: una società radicalmente democratica per il fatto che sarebbe il puro prodotto della volontà degli uomini. «Le società del passato, la maggior parte delle società, credevano di basarsi sull’ordine delle cose (tanto naturali che sociali), pensavano di copiare o di disegnare le loro stesse convenzioni sui principi della vita e del mondo.

La società moderna vuole essere “razionale”, intendendo con questo che essa si distacca dalla natura per instaurare un ordine umano autonomo. Si tratta di prendere le reali misure dell’uomo e di dedurne l’ordine umano» (Louis Dumont, Homo hierarchicus. Le système des caste et ses implications, 1967, trad. it. Homo hierarchicus. Il sistema delle caste e le sue implicazioni, 1991).

Questa concezione evoca anche, su di un altro piano, il «patriottismo costituzionale» pensato da Jùrgen Habermas che, contro la forma «convenzionale» di identità nazionale, non si riferirebbe più che a processi e principi astratti. Gli individui non sarebbero più legati alla nazione culturale e affettiva, sarebbero uniti dalla loro partecipazione all’ordine della legge e della cittadinanza. Non sarebbero più impegnati nella vita collettiva dalla loro nazione che resterebbe il luogo dell’affettività e della tradizione culturale, ma attraverso i principi dello Stato di diritto.

È tuttavia difficile trascurare il radicamento degli uomini nelle nazioni storielle concependo una pratica civica, puramente razionale, legata al solo rispetto della legge. Il «patriottismo costituzionale», che trascura le realtà sociali e i limiti della condizione umana, sembra appartenere più all’ordine delle utopie nutrite dalla democrazia che a progetti politici concreti.

Possiamo chiederci se la riflessività e la storicizzazione di tutte le norme sociali, l’edificazione di un ordine umano che si vuole costruito dalla sola volontà degli uomini, e che si esprime in particolare per il disturbo della divisione tra i sessi, possano essere senza limiti. Possiamo “fare società” senza condividere una concezione del mondo e delle relazioni tra gli esseri umani, trascurando i grandi principi che regolano la reciprocità, la parentela e l’unione coniugale?

(Traduzione di Mario Porro)

Dominique Schnapper, sociologa e scrittrice, si è dedicata in particolare allo studio della storia delle religioni. È autrice, fra l’altro, di L’Esprit démocratique des lois (2014), da cui sono tratte le pagine qui pubblicate (originariamente comparse sulla rivista «Commentaire»).