Borgia da riabilitare

Alessandro_VI_Borgia

Alessandro VI Biorgia

Articolo pubblicato su Avvenire – Martedì 01 ottobre 2002

di Franco Cardini

Le crociate, l’inquisizione, la «caccia alle streghe»: vecchi stereotipi d’una ricostruzione storica tendenziosa, esplicitamente e volgarmente anticlericale e anticattolica, che dal pieno Settecento illuministico attraverso il Risorgimento laicistico e antipontificio sono giunti ai nostri giorni, e hanno anzi ripreso slancio negli ultimi tempi (magari ambiguamente travestiti da istanze tollerantistiche, da par condicio, da politically correct).I mass media continuano a far circolare questa paccottiglia pseudostorica fin dentro le scuole cavalcando sovente la mancanza di aggiornamento e la miseria intellettuale d’insegnanti frustrati.

In questa desolante galleria dei mostriciattoli storici, i Borgia occupano naturalmente uno dei primi posti: infame genìa di Papi corrotti, di tiranni infami, di principesse bagasce e avvelenatrici. Continuano a circolare nelle librerie e nelle scuole i libri del protestante Ferdinand Gregorovius, pur vecchi di più d’un secolo: anche se si preferisce abbuiare il fatto che fu proprio lui, l’austero luterano tedesco, a scagionare dalle infamie da romanzaccio d’appendice che ancora l’avvolgevano proprio la figura di Lucrezia Borgia.

Recenti convegni storici di alto livello ed esposizioni di ottimo profilo non saranno sufficienti – nessuno si faccia illusioni – a «riabilitare» la «maledetta» memoria di quella famiglia. Il pregiudizio è sordo: e non c’è peggio sordo di chi non vuol sentire. Una società civile che sta forse progredendo economicamente ma imbarbarendo culturalmente, che ama gli stereotipi, che si accontenta in storia come in politica di un rozzo manicheismo, non ha alcun interesse alla verità storica. I Borgia continueranno ad essere i mostri del Rinascimento.

Chi fossero nella realtà, è un altro discorso. La famiglia valenciana dei Borja, che vantava funzioni comitali fin dal XII secolo, si trasferì a Roma nella prima metà del Quattrocento, quando da poco vi era definitivamente rientrata la corte pontificia dopo gli anni tempestosi del «grande» e del «piccolo» scisma d’Occidente: dolorosa e tempestosa vicenda che si era trascinata per un settantennio intrecciandosi con gli eventi della guerra dei Cent’Anni. Demiurgo della fortuna familiare fu il cardinal Alonso, uomo di fiducia della dinastia aragonese che all’epoca dominava il Mediterraneo occidentale e si stava apprestando all’ultima fase della Reconquista della penisola iberica contro l’ultimo potere «moro», l’emirato di Granada.

Elevato alla tiara nel 1455 col nome di Callisto III, il Borgia non esitò a riempire di favori i suoi più prossimi congiunti: i nipoti Pedro Luis, Rodrigo e Francesco (che si diceva fosse suo figlio naturale). Con il primo pontefice di casa Borgia la cosiddetta politica «nepotista», fatta di favori e di prebende elargite ai familiari, toccò l’apice: e lo scandalo ch’essa provocò tra gli spiriti pii (ma anche lo scontento ch’essa determinò tra i ben meno pii rivali e concorrenti) furono senza dubbio tra le cause di quella che sarebbe stata, nel primo Cinquecento, la Riforma protestante. Ma pratiche quali venalità e nepotismo erano all’epoca comuni, e non solo in seno alla Chiesa.

Per oltre un secolo, tra Quattro e Cinquecento, la tiara pontificia fu in mano alle grandi famiglie: i Colonna, i Della Rovere, i Borgia, i Medici, dietro a ciascuna delle quali stava un potente protettore (i sovrani iberici, l’imperatore, i re di Francia e d’Inghilterra). In effetti il Sacro Collegio cardinalizio funzionava come una specie di «gran consiglio» dell’Europa cristiana, dove ogni re disponeva del suo cardinale-portavoce (e talora di più d’uno).

Rodrigo Borgia, divenuto Papa – grazie all’appoggio del re di Francia – col nome di Alessandro VI nel «fatale» 1492, non esitò a sfruttare per le esigenze del suo governo anche l’abilità, l’intraprendenza e la disponibilità dei suoi numerosi figli, specie quelli avuti dalla prediletta Vannozza Catanei: Cesare, Giovanni e Lucrezia.

Che Alessandro sia stato un Papa «mondano», è innegabile. Di lui restano gli appartamenti vaticani riccamente affrescati dal Pinturicchio, la memoria della raya tracciata nel 1494 per separare le terre del Nuovo Mondo spettanti alla corona di Spagna da quella del Portogallo e la memoria del martirio ch’egli avrebbe fatto subire al domenicano Girolamo Savonarola. In realtà, con il frate ferrarese divenuto dittatore a Firenze il Papa fu molto paziente, e non è del tutto vero che fu la sua volontà a determinare il golpe cittadino che, nel 1498, mise fino al suo governo e alla sua vita.

Vero è invece che questo pontefice, tutt’altro che modello di spiritualità, fu animato comunque da una sua pietas religiosa e seguì molto da vicino Ordini religiosi e ambienti rigoristi nei quali si andava preparando lo stesso spirito della Riforma. In ciò, Rodrigo avrebbe in qualche modo preceduto l’atteggiamento di sua figlia Lucrezia, che alla fine della sua non lunga vita – che le aveva valso l’amicizia e l’ammirazione di uomini come l’Ariosto e il Castiglione – seppe sviluppare una devozione religiosa sincera e fu a stretto contatto di figure femminili di grande spiritualità. Particolarmente discussa la figura di Cesare, il «duca Valentino» nel quale Nicolò Machiavelli avrebbe riconosciuto uno degli Idealtypus del Principe del suo tempo, abile e spregiudicato fino alla spietatezza.

Ma il giovane cardinale, poi datosi all’attività politica e militare, fu uno dei creatori d’uno Stato pontificio caratterizzato da una grande flessibilità istituzionale e al tempo stesso da un solido controllo centrale: insomma, favorì un processo di modernizzazione che il Papa successore di suo padre, quel Giulio II ferocemente avverso alla dinastia Borgia, avrebbe in realtà continuato. L’inserimento dei Borgia nel contesto del passaggio dal Medioevo al Rinascimento e del rinnovarsi delle istituzioni politiche della Chiesa era da tempo realtà storica ben nota agli specialisti.

È forse il tempo che cadano anche molti vecchi pregiudizi diffusi che si sono trascinati fino ai giorni nostri: ciò è condizione per una crescita culturale che, tuttavia, stenta a mostrare i suoi frutti in una società nella quale, al contrario, pregiudizi e schemi di comodo sembrano venire adottati da quegli stessi soggetti – ad esempio tv e giornali – dai quali ci si dovrebbe legittimamente aspettare la promozione d’una crescita intellettuale collettiva.