Vera e falsa simmetria tra Est e Ovest

muro_Berlinosaggio pubblicato su “L’altra Europa” n.199 gennaio-febbraio 1985

di Francois Rouleau

L’idea che si possa stabilire una simmetria tra le tare dell’Est e dell’Ovest costituisce un’abitudine ormai consolidata: v’è, si dice, un imperialismo sovietico cui corrisponderebbe un imperialismo americano, v’è un materialismo teorico all’Est cui corrisponderebbe un materialismo pratico all’Ovest.

Questa abitudine mentale coinvolge un po’ tutti, non solo le persone che sono più politicizzate ma anche quelle che lo sono di meno. Il mondo cattolico risente di questo modo di vedere in maniera del tutto particolare. Quando si accenna alla persecuzione religiosa che imperversa all’Est, ci si sente rispondere che le cose non vanno meglio in casa di Pinochet e che anche là i cristiani sono perseguitati.

Pregare per la “Chiesa del silenzio” fa nascere immediatamente delle proteste se non si aggiunge un’intenzione che denunci i morti dell’America del sud. Secondo questa mentalità, la Chiesa e i cristiani “combattono una identica lotta, all’Est come all’Ovest, in Polonia come in Cile”, opponendosi ad una identica ingiustizia, sia essa di destra o di sinistra.

Questo modo di presentare le cose è estremamente affascinante, poiché sembra essere quello dell’equilibrio e della imparzialità, e più ancora quello dello spirito cristiano: tutti sono peccatori e nessuno sfugge al potere del male. In realtà, questo modo di pensare possiede solo l’apparenza dell’imparzialità. Dipende da una logica più emozionale che razionale, una logica che maschera le differenze là dove invece si dovrebbe porle in risalto. Per dirla in maniera chiara e coincisa, questa simmetria tra Est e Ovest si fonda su di un’analisi tre volte falsa: da un punto di vista politico, morale e religioso.

1 Simmetria politicamente falsa

Esiste ovviamente una simmetria tra le lotte che sono sostenute all’Est e all’Ovest dagli uomini di buona volontà, nel senso che, da una parte come dall’altra, ci si oppone all’ingiustizia e al male. Ma la simmetria regge soltanto da un punto di vista puramente negativo, nella misura in cui si tratta di una lotta contro. Quando si considera il contenuto di questa lotta, la simmetria scompare, perché non si può identificare un potere tirannico e un potere totalitario, tanto da un punto di vista teorico quanto da un punto di vista pratico.

Le tirannie sono sempre esistite nel corso della storia: e pensiamo qui alle dittature o, per parlare dei casi più frequenti, ai colpi di stato militari (anche se non tutti i “poteri forti” possono essere assimilati a una tirannia). In questo sistema, la chiave di tutto è l’uomo forte. E’ sì vero che l’uomo forte cerca di giustificare la propria azione con delle argomentazioni e persino con una dottrina, ma nel sistema tirannico l’essenziale resta l’uomo forte, e la dottrina non è che un mezzo per giustificare l’uomo.

E la prova migliore di questo fatto è che se l’uomo scompare il gioco politico tradizionale può riprendere il proprio corso (il franchismo è esemplare a questo proposito: meno di dieci anni dopo Franco, il paese può optare per il socialismo). Non si è mai dato il caso invece che un potere totalitario abbia lasciato libero un paese: il nazismo ha sì lasciato la presa, ma sotto il peso delle bombe e delle macerie.

Nel sistema totalitario moderno le cose funzionano in maniera completamente diversa. Il cuore del sistema non è tanto l’uomo forte quanto la dottrina. Hitler, una volta al potere, applica alla lettera il Mein Kampf; Lenin, al potere, resta soggetto alla dottrina da lui elaborata molto tempo prima della Rivoluzione del 1917. La dottrina infatti si impone a tutti: al capo come ai semplici cittadini, poiché è il carattere scientifico della dottrina a darle il suo valore universale e assoluto, e quindi obbligatorio.

La chiave di un regime dittatoriale è, così, l’uomo forte, mentre la chiave del potere totalitario è l’ideologia. E’ questa la differenza radicale sul piano dei principi. Questa differenza teorica è confermata sul piano dell’esperienza sociale e politica, perché essere dominati da un uomo (anche se malvagio) è un’esperienza assolutamente diversa da quella di essere governati da un’astrazione (soprattutto se è falsa)!

Nei paesi che si trovano sotto una dittatura militare ciò che è perduto è la libertà politica. Nei regimi ideologici ciò che va perso non è soltanto la libertà politica ma anche la libertà civile: il diritto ad un sindacato libero, alla libertà di associazione, alla libertà di parola, alla libertà della proprietà privata sono soggetti al monopolio ideologico. In ultima analisi ci si trova in una situazione in cui è la società civile ad essere contestata come ingiusta.

Ed è il mondo tale e quale esiste – e quale è stato costruito dagli uomini da sempre – a essere proclamato radicalmente ingiusto e degno di essere sostituito da un mondo nuovo, ideale un mondo la cui costruzione ci è garantita come possibile e doverosa dalla scienza ideologica.

Un regime dittatoriale cerca di sottomettere la società civile esistente. Un regime ideologico cerca di sostituirla con qualcosa di diverso. Quale simmetria si può mai stabilire allora tra questi due sistemi, se l’uno si riferisce all’esperienza immemoriale degli uomini, al diritto tradizionale, alla composizione tra interessi contrastanti, mentre l’altro rimette in causa le realtà esistenti credendo nella propria superiorità sia morale che scientifica?

2 Simmetria moralmente falsa

Anche da un punto di vista morale si può trovare una certa simmetria tra l’Est e l’Ovest, nel senso che i regimi polizieschi cono comunque condannabili in ragione di una ingiustizia che essi impongono ai loro cittadini. Ma, una volta di più, il contenuto di questa ingiustizia è di natura diversa, così diversa che questi regimi sono fondamentalmente asimmetrici.

In un regime dittatoriale, le ingiustizie sul piano del diritto e della morale non sono negate in quanto tali. Si cerca o di dissimularle (facendo semplicemente sparire certe persone), o di attribuirle a degli errori, a delle insufficienze o banalmente all’inevitabile debolezza umana. Ma il crimine resta un crimine – nella misura in cui può essere provato – e la legge resta un’ancora di salvezza (spesso, peraltro, puramente teorica) contro l’ingiustizia.

Così, per esempio, nell’Argentina dei generali, le madri dei desaparecidos potevano manifestare e pretendere giustizia. In un sistema totalitario ideologico, le cose vanno in maniera completamente diversa. Ciò che è stato modificato dalla teoria ideologica è il rapporto con il bene e il male. Il giovane nazista che uccideva un ebreo non solo non commetteva un crimine, ma faceva una buona azione. Il comunista che liquidava un kulak non solo non commetteva un crimine, ma compiva una buona azione.

In un sistema totalitario, il crimine diventa un bene se è commesso per il bene del partito. In un sistema tirannico, per odioso che sia, il crimine in quanto tale resta un crimine e resta – moralmente – lo stesso per tutti gli uomini. In un sistema ideologico, il crimine può diventare un bene se è conforme al sistema: viene ad essere giustificato, non secondo le concezioni della morale tradizionale, ma perché fa avanzare la storia e perché partecipa alla verità e al carattere indiscutibile della scienza (ideologica).

Tra il tiranno e l’ideologo c’è una differenza essenziale che altro non è se non la scienza o, più esattamente, la pseudoscienza deformata dall’ideologia (la teoria che stabilisce la superiorità di una certa razza per il nazismo o la superiorità del proletariato per il marxismo).

Tutta la differenza tra le due mentalità dipende appunto da questa scienza. E’ lei che dà all’ideologia la sua certezza irremovibile e determina la sua predisposizione a negare la realtà e i fatti di cui si ha esperienza in nome di una teoria che è ritenuta capace di spiegare e di portare ogni cosa al suo esito necessario.

3 Simmetria teologicamente falsa

Da un punto di vista religioso, una simmetria tra il male all’Est e all’Ovest esiste, ed è ovvio: per la buona ragione che si è peccatori all’Est come all’Ovest. Anzi, questo è un punto sul quale la simmetria è totale, e voler riservare il bene a un solo campo e il male all’altro sarebbe il peggiore di tutti i fariseismi: vorrebbe dire addirittura che si è già degli ideologi. Ora, ogni uomo ha bisogno di essere salvato. La linea di confine non passa tra due campi, passa nel cuore di ogni uomo.

Ma a questo punto parlare di simmetria non ha più un gran significato. A meno che non serva a mascherare una falsità mostruosa: si può stabilire una simmetria tra la vittima e il carnefice con la scusa che sono entrambi peccatori. Osa è si vero che sono entrambi peccatori, ma non lo sono né ugualmente né simmetricamente (vittima e carnefice non sono delle realtà contrarie ma contraddittorie). Si tratta, quindi, innanzitutto e prima di tutto, di mostrare tutto ciò che differenzia le due situazioni. Allo stesso modo, nella falsa simmetria che viene ipotizzata a proposito dell’Est e dell’Ovest, si tratta di distinguere tutto ciò che separa la lotta nell’uno e nell’altro campo.

Per il cristiano che vive all’Est il problema decisivo è quello della fede. La sua fede è condannata come “scientificamente superata”, oppure viene tollerata nella misura in cui resta puramente rituale e formale, e diventa, cioè, una caricatura della vera fede. In ultima analisi, è in nome della sua fede – della sua idea su Dio e della sua idea sull’uomo – che egli viene perseguitato nella misura in cui si rifiuta di lasciarsi confinare in una religione puramente rituale. Questa persecuzione, inoltre, non è mai ammessa poiché perché la legge sovietica pretende di garantire la libertà di coscienza e di religione: è appunto per questo che i credenti che sono rinchiusi in prigione, in lager o in ospedale psichiatrico lo sono sempre in base a capi d’accusa non religiosi ma politici o di diritto comune.

Per il cristiano che lotta all’Ovest contro una dittatura il problema decisivo è quello della giustizia. In nome della sua fede egli non può tacere la situazione intollerabile in cui sono costretti a vivere certi uomini. Questa giustizia è certamente legata alla sua fede: “Chi dice di amare Dio e non ama il proprio fratello dice il falso”. Ma questa lotta per la giustizia non è riservata ai soli cristiani. Il rispetto dei diritti dell’uomo non è proprio dei soli cristiani. Nell’ambito della giustizia, il consenso della coscienza umana unisce appunto tutti coloro che non sono contaminati dalla mentalità ideologica.

Tra fede e giustizia i legami sono ovviamente molto stretti: la lotta per la fede si sviluppa in una lotta per la giustizia e la lotta per la giustizia, nel cristiano che la porta avanti, implica come propria anima la fede. Resta comunque il fatto che da entrambe le parti le priorità sono diverse, così come sono diverse le poste in gioco, tanto che in ultima analisi la simmetria si rivela illusoria. All’Est, infatti, v’è un preliminare che non esiste all’Ovest e che basta da solo a modificare i dati del problema.

All’Est, la lotta per la giustizia non è possibile perché la distinzione tra il giusto e l’ingiusto è stata cancellata: anzi, è proprio questa menzogna a essere costitutiva dell’ordine ideologico. La restaurazione dell’ordine naturale costituisce un preliminare alla lotta della fede, o, nella pratica, una difficoltà supplementare di questa lotta. All’Ovest, invece, le strutture dell’ordine naturale, per quanto siano attaccate, non sono state distrutte: è appunto questo il motivo per cui la lotta per la giustizia è al primo posto.

Come si vede tra le due situazioni v’è una grande asimmetria. Il fatto stesso che un cristiano possa lottare per la giustizia implica che la fede cristiana sia riconosciuta nella sua specificità: l’identica urgenza delle due lotte per Dio e per l’uomo. Nei sistemi totalitari-ideologici, questo riconoscimento della specificità cristiana è contestato e negato, e ciò basta per rendere la lotta diversa e giustificare la distinzione tra lotta per la giustizia e lotta per la fede. Parlando in questi termini non si diminuisce il valore né dell’una né dell’altra lotta, non si fa altro che distinguerle. E dire che Socrate non è il Cristo non significa certo sminuirlo.

Il mondo totalitario-ideologico ha come propria particolarità specifica quella di riservare solo per sé il campo del bene e della scienza e di confinare gli “altri” nelle tenebre del male e dell’ignoranza. Si tratta di un mondo dualista e manicheo: da una parte c’è il bene e dall’altra il male, l’ideologo lotta per il bene, gli altri agiscono necessariamente contro il bene.

E’ appunto questa semplificazione a essere intollerabile sul piano religioso, sul piano morale e sul piano politico: non si può mettere nello stesso mazzo Pinochet e… Mitterand, con la scusa che sono entrambi dei rappresentanti del mondo borghese e del campo dell’imperialismo. Un semplicismo di questa portata genera una visione delle cose che non è soltanto falsa ma che si situa fuori della realtà. Si è già in un mondo puramente immaginario o “fantasticato”.

E’ appunto questo ordine del reale che deve essere considerato, perché è proprio lui ad essere in gioco. Il nostro mondo non è il frutto di un sistema o la deduzione di una teoria scientifica, esso dipende da un ordine di cose e da uno sforzo continuo dell’uomo per migliorarlo e per liberarlo dalle ingiustizie che pesano su di esso. E’ la regola del diritto che consente di individuare queste ingiustizie e di correggerle, nella misura in cui l’uomo si assoggetta a questa regola superiore.

La teoria totalitaria, al contrario, credendo di detenere la chiave della scienza, dispone di un sistema che applica a tutto il reale e che pretende più sicuro dell’esperienza stessa degli uomini. E’ questa pretesa specifica a far si che il totalitarismo non solo neghi al mondo la sua legittimità ma abbia la certezza di saperlo riorganizzare, eliminando senza mezze misure tutti gli strumenti che gli uomini avevano messo a punto nel corso dei secoli per regolamentare le loro relazioni. Il male più profondo dell’ideologia sta tutto nel suo idealismo che, con il pretesto di fare la felicità degli uomini, li imprigiona in strutture peggiori di quelle della tirannia.

In ultima analisi ciò che differenzia i due sistemi, quello tirannico e quello totalitario, è il senso del peccato. Nel sistema tirannico, anche se il crimine resta impunito e anche se implica l’esercizio di una grande violenza, esso resta pur sempre un crimine denunciato dalla legge e dalla morale comune (per lo meno nel senso che la responsabilità individuale non viene meno). L’uomo resta al centro della questione e quando lo si combatte si lotta contro la sua ragione, contro la sua libertà, contro la sua coscienza.

Il senso del peccato personale sussiste. Per la mentalità totalitaria, ciò che conta in prima istanza sono, invece, le “strutture”: essa situa il male non tanto nelle violazioni della giustizia quanto nelle strutture sociali che rendono possibile lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. In questo sistema, l’uomo non è il criterio ultimo, poiché è il collettivo designato dalla scienza ad avere il monopolio dell’interpretazione di ciò che è bene per l’uomo. Il fatto che secondo la scienza il criterio sia la razza piuttosto che il proletariato non cambia la sostanza del problema.

Una fatto deve essere assolutamente chiaro: quando si parla dei crimini che vengono commessi all’Est come all’Ovest, non si tratta di attenuare le colpe dell’uno per sottolineare quelle dell’altro, le due forme di asservimento dell’uomo sono entrambe condannabili. La Palice avrebbe osservato che essere fucilati da un tiranno o da un ideologo porta a un identico risultato. E in questo senso la simmetria è rigorosa. Ma subire un’ingiustizia criminale (caso disgraziatamente frequente in un mondo quale è il nostro) è una cosa, e presentare un crimine come un bene o come un progresso è una cosa completamente diversa. Confondere queste due realtà significa perdere il senso della morale e cessare di essere uomini.

Se ci si vuole servire di un linguaggio meno drammatico, ci si può ricordare che Solzenicyn, quando era ancora in Unione Sovietica, proponeva nella sua Lettera ai dirigenti dell’Unione Sovietica (3 settembre 1973) di fare un passo decisivo in direzione della libertà instaurando nel paese un “regime autoritario”: in Unione Sovietica una dittatura militare rappresenterebbe un passo verso la democrazia!

Per chi la vuol capire, questa proposta consente, meglio di ogni altro discorso, di misurare la distanza che separa un regime ideologico da un regime tirannico. Non si è voluto capire questa verità in passato, si è voluto trattare con il nazismo come se si trattasse di un potere identico a tanti altri, e si sa quanto sia stato un errore. Oggi si rifà lo stesso errore con il regime comunista: quale sarà domani il prezzo sa pagare per questo nuovo errore?

V’è anche un altro tipo di considerazioni cui la gente dell’Est è più sensibile e che dovrebbe impedire a tutti noi di accettare la simmetria alla moda: il fatto di mettere in uno stesso mazzo le tirannie e i totalitarismi può essere percepito da chi lotta contro un potere totalitario come un vero e proprio insulto.

Questa gente sa bene che le condizioni della lotta e le poste in gioco sono diverse da una parte e dall’altra. Distinguerla dalla lotta per la fede non significa diminuire la lotta per la giustizia: significa semplicemente essere capaci di discernere le rispettive urgenze nelle diverse situazioni. Vi sono degli ordini differenti che non devono essere confusi se non si vuole uscire dalla realtà.

(da “Plamja”, n.65, 1984)