Il giorno della vittoria in Europa

anniversario_vittoriaPubblicato su Il Corriere della Sera
08 maggio 2005

Il mondo sessanta anni dopo. Stralci del discorso pronunciato da Bush a Riga

«Il giorno della Vittoria ìn Europa non segnò la fine dell’oppressione» Signore e signori, vi ringrazio del caloroso ben­venuto. (…) Questa settimana, le nazioni su entrambe le sponde dell’Atlantico celebrano il Sessantesi­mo anniversario della sconfitta di Hitler. Il male che conquistò il potere in Germania portò la guerra in tutta Europa e dichiarò guerra alla stessa morale. Quello che iniziò come un movi­mento di criminali, divenne un governo senza co­scienza, quindi un impero di crudeltà infinite.

Il Terzo Reich promosse il forte sul debole, invase e umiliò Paesi pacifici, perseguì una folle ricerca della purezza razziale, pianificò freddamente e realizzò l’assassinio di milioni di persone, definì il senso del male una volta per tutte. Uomini e donne coraggiosi di molti Paesi affrontarono quel male e combatterono in anni cupi e dispera­ti per le loro famiglie e le loro patrie. Infine, un dittatore che venerava il potere fu confinato tra le quattro mura di un bunker e quello della cadu­ta della sua squallida tirannide è un giorno da ricordare e festeggiare.

Le cause possono essere giudicate a partire dai monumenti che si lasciano dietro.Il terrore nazista oggi è ricordato in luoghi come Au­schwitz, Dachau, Rumbula, dove sentiamo anco­ra il grido dell’innocente e giuriamo a Dio e alla storia: mai più. L’alleanza che vinse la guerra è ricordata oggi in cimiteri ben curati in Norman­dia, a Margraten, San Pietroburgo e altrove in Europa, nei quali rammentiamo brevi vite di grande onore e facciamo questa promessa: sare­mo sempre riconoscenti. (…)

Ripensando alla vittoria di sei decenni fa, ri­chiamiamo alla memoria un paradosso. Per gran parte della Germania, la sconfitta portò la libertà. Per gran parte dell’Europa centrale e orientale, la vittoria portò il dominio dì ferro di un altro impero.Il Giorno della Vittoria in Euro­pa segnò la fine del fascismo, ma non pose fine all’oppressione. L’accordo di Yalta seguì nell’in­giusta tradizione di Monaco e del Patto Molo­tov-Ribbentrop.

Ancora una volta, negli accordi stretti tra potenti governi, la libertà di piccole nazioni era in qualche modo sacrificabile. Eppu­re questo tentativo di sacrificare la libertà in no­me della stabilità lasciò un continente diviso e instabile. La prigionia di milioni di persone in Europa centrale e orientale sarà ricordata come una delle più gravi ingiustizie della storia

.La fine della Seconda guerra mondiale sollevò inevitabili interrogativi per il mio Paese: ci erava­mo battuti e sacrificati solo per realizzare la per­manente divisione dell’Europa in campi arma­ti? Oppure la causa della libertà e i diritti delle nazioni chiedevano di più? Infine, l’America e i nostri forti alleati presero una decisione: non ci saremmo accontentati della liberazione di mez­za Europa – e non avremmo dimenticato i no­stri amici al di là della Cortina di ferro. (…)

Il co­munismo iniziò a cedere sotto le pressioni ester­ne e sotto il peso delle sue stesse contraddizio­ni. Stabilimmo l’ideale di un’Europa intera, libe­ra e in pace in modo che i dittatori non potesse­ro più riprendere e inasprire antiche rivendica­zioni e il conflitto non si sarebbe protratto all’in­finito. (…) Dal privilegiato punto di osservazio­ne di questo nuovo secolo, riconosciamo la fine della Guerra fredda come parte di un movimen­to ben più ampio nel nostro mondo.

Dalla Ger­mania al Giappone dopo la Seconda guerra mon­diale, fino in America Latina, Asia, Europa orien­tale e centrale, e ora fino al grande Medio Orien­te, il progresso della libertà è un grande tema del nostro tempo. E in questo tema ci sono lezio­ni importanti. Abbiamo imparato che le nazioni libere crescono più forti nel tempo, perché pog­giano sulla creatività e lo spirito di iniziativa del­le loro popolazioni.

(…) Tutti noi siamo impegna­ti nel far avanzare la libertà in Bielorussia La po­polazione di quel Paese vive sotto l’ultima ditta­tura d’Europa e merita di meglio. (…) Abbiamo bisogno di un realismo che compren­da le difficoltà, ma dobbiamo voltare le spalle a un pessimismo che consegna milioni di persone a una tirannia senza fine. Abbiamo ragione di es­sere ottimisti. Quando la popolazione dell’Af­ghanistan ha finalmente avuto l’opportunità di andare al voto, ha scelto governanti rimani e un futuro di libertà.

Quando gli abitanti dei Territo­ri palestinesi hanno votato, hanno scelto un lea­der votato al negoziato piuttosto che alla violen­za. Quando gli elettori iracheni si sono rivelati milioni, hanno ripudiato gli assassini che odiano e attaccano la loro libertà. C’è molto ancora da fare, ma la direzione degli eventi è chiara nel grande Medio Oriente: la libertà è in cammino.

(…) Il 7 maggio di sessant’anni fa, il mondo reagi­va con gioia e sollievo alla sconfitta del fascismo in Europa. Il giorno seguente, il generale Dwight D. Eisenhower annunciava la totale sconfitta della «più potente macchina di conquista della storia». Eppure le grandi democrazie scopriro­no presto che una nuova missione le attendeva – non solo battere un singolo dittatore, ma l’idea stessa della dittatura in un continente.

(…) La libertà ha prevalso, perché abbiamo leva­to lo sguardo e tenuto fede ai nostri principi. Ora, signore e signori, la libertà dell’Europa, conquistata con coraggio, deve essere garantita con l’impegno e la buona volontà. Anche oggi dobbiamo levare lo sguardo. A distanza possia­mo scorgere un nuovo grande obiettivo -non solo l’assenza della tirannide in questo continen­te, ma la fine della tirannide in tutto il mondo. Ancora una volta siamo chiamati a tener fede ai nostri principi e a valorizzare la libertà degli al­tri. Ancora una volta, se facciamo la nostra par­te, la libertà prevarrà.