Solgenitzin e i tanti "anonimi" dei campi di sterminio comunisti

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Alexander Solgenitzin

Il Giornale della Toscana 25 ottobre 2003

di Pucci Cipriani

Forse pochi tra i giovani – anche per colpa nostra che non abbiamo saputo mantenerne intatta la memoria – conosceranno Alexander Solgenitzin e la sua monumentale opera di denuncia del Comunismo. Negli anni ’60 e ’70 i comunisti (con l’acquiescenza di altri partiti “democratici”) avevano imposto in Italia una sorta di censura – e ancora tende a sopravvivere – per cui si poteva parlare, come giustamente si parlava e tuttavia si parla, dei campi di sterminio nazisti, ma giustamente non si poteva parlare dei Gulag, dei campi di sterminio comunisti, non solo “stalinisti”, come si cerca di far credere adesso, per gettare addosso a un solo uomo le colpe di un sistema criminale.

Allora, mentre in tutto il mondo venivano tradotte le opere di Solgenitzin, il grande scrittore russo, oggi ritenuto da tutti non soltanto la “memoria storica” ma l’unico vero profeta dell’Occidente cristiano, in Italia nessun editore osava (mancava il placet del P.C.I.) pubblicare quelle opere che avrebbero finalmente aperto il sipario sulla cortina dell’Est, su quei paesi dominati dal terrore comunista ma che in Italia venivano da molti considerati come “il paradiso terrestre”.

Solo nel 1971 un editore, e non certo sospetto di simpatie per la destra, Giangiacomo Feltrinelli, pubblicò Una giornata di Ivan Denissovic, un racconto, probabilmente autobiografico di A. Solgenitzin, nel quale viene narrata appunto, una drammatica, agghiacciante giornata di un deportato nell’arcipelago Gulag.

Alla pubblicazione del racconto, impetuoso come un torrente in piena, probabilmente non fu estraneo l’allora direttore editoriale della Feltrinelli Valerio Riva che, poco dopo, nel 1975, pubblicherà il saggio introduttivo (“Il dissenso degli intellettuali a Cuba”) al libro di Pierre Galendorf, Un comunista nelle prigioni di Castro e che, recentemente, ha pubblicato per la Mondadori, riuscendo a mettere le mani sugli archivi segreti del K.G.B., L’oro da Mosca dove si prova come, per quasi un secolo, un vero e proprio fiume di denaro ha attraversato l’Europa e il mondo: si tratta di due miliardi di euro attuali spesi dall’URSS per finanziare i partiti comunisti dei cinque continenti, di cui un quarto destinati all’Italia.

Finalmente Mondadori decise di pubblicare Reparto Cancro e quindi, nel 1975, (il sottoscritto aveva già letto l’opera tre anni prima nell’edizione francese) ecco i tre volumi di Arcipelago Gulag, alla quale Solgenitzin lavorò gran parte della sua vita e che dedicò “a tuffi coloro cui la vita non è bastata per raccontare”.

E i libri dello scrittore russo venivano venduti (in molte librerie comunque boicottati) ma intanto non riuscivano a entrare nelle scuole e nelle Università; alcuni “cervelli marxisti” ne misero in dubbio l’autenticità, perfino molti catto-comunisti – che a quei tempi formavano una fortissima lobby all’interno dell’allora “chiesa conciliare” – criticarono l’opera di Solgenitzin che certo non favoriva l’Ostpolitick del Cardinal Casaroli, quando, tra lo sgomento dei “progressisti”, apparvero, nello stesso anno, le “Memorie” del Confessore della Fede, Cardinale Josef Mindzenty, che contenevano rivelazioni sconvolgenti e scottanti sulle sopraffazioni, le menzogne, le atrocità del Comunismo e sulla connivenza dell’Occidente.

Comunque, tra mille difficoltà, questo arcipelago comincia a configurarsi in tutta la sua drammatica, agghiacciante e gigantesca realtà, una realtà alla quale il comunismo italiano rimarrà impermeabile, nonostante le testimonianze degli esuli avvalorate da saggi e documentazioni di scrittori e giornalisti italiani, tra i quali si distinsero, appunto, Valerio Riva e il toscano Pietro Sinatti, allora militante nelle file della “Nuova Sinistra”.

E Valerio Riva non si ferma ai ricordi di un passato più o meno remoto, ma va avanti nelle sue martellanti e documentate denunzie, fino alla condanna delle ultime criminali fucilazioni di due “balzeros” effettuate nella Cuba castrista, fino alla resistenza anticomunista in Vietnam e in Cambogia, fino alla Cina che “ha rifiutato la tentazione dell’utopia della guerra civile purificatrice (giacobinismo, n.d.r.); ma non avendo mal sconfessato il suo fondatore (Mao), è sempre pronta (…) a rimettere in auge qualcuno dei suoi funesti metodi”.

Dobbiamo proprio a Valerio Riva e Antonio Socci la segnalazione de L’Ultimo Gulag (la tragedia di un sopravvissuto nell’inferno della Corea del Nord) le memoria scritte – non nel 1970 ma nel 1991 – insieme a Pierre Rigoulout da Kang Chol Hwan, il calvario durato dieci anni, praticamente tutta l’adolescenza, del giovane coreano che, con parole semplici, denunzia l’agghiacciante realtà dell’universo concentrazionario nord coreano, uno degli ultimi bastioni del Comunismo, dove si stima che oggi siano rinchiuse duecentomila persone, detenuti politici, in gran parte colpevoli soltanto di avere rapporti di parentela con presunti traditori del regime.

Oggi a Firenze, dalle ore 10, nel Salone dei Cinquecento, in Palazzo Vecchio, si terrà un incontro per promuovere l’istituzione di una giornata mondiale in ricordo delle vittime dei Gulag; l’illustre politico On. Paolo Bartolozzi, deputato al Parlamento Europeo, insieme a Laura Lodigiani (Comitati per la libertà) e Luigi Bellini (Centro Europa Unita) illustrerà l’iniziativa, mentre Giorgio Albertazzi declamerà: “Quant’era bella quest’utopia” dal libro di Jacques Rossi.

E intanto – con le immagini di quelle vicende – Valerio Riva e il croato Ante Zemljar, internato per cinque anni nel lager titino di Goli Otor, faranno rivivere le drammatiche vicende di Alexander Solgenitzin, Variom Salomov, Daniel Siniaskij, del poeta cubano Armando Valladores, di Jurj Malcev, del Cardinal Mindzentj e quelle sconosciute, ma non per questo meno vere e vive, di tanti, tanti “anonimi”; ascolteremo, insomma, la testimonianza del “silenzioso coraggio della vittima”, per usare le parole dette da Jean Paul Sartre per commentare il racconto di un torturato algerino