Sulla "serietà" morale dei comunisti italiani

PciIl Corriere del Sud n. 17/2001 Anno X
16 ottobre/31 ottobre

I Comunisti italiani agli inizi della “guerra fredda”, dopo il ’45 hanno svolto con piena consapevolezza il ruolo di “quinta colonna”

Non sono seri i comunisti italiani che hanno collaborato a eliminare gli esuli

di Domenico Bonvegna

Occorre sfatare un luogo comune diffuso, quello della “serietà” morale del PCI e quindi dei suoi “eredi”, che determina complessi di inferiorità negli avversari. Eticamente superiori non possono essere considerati coloro che fin dall’inizio hanno falsificato la propria storia, facendola iniziare da Antonio Gramsci e Palmiro Togliatti, cancellando con perfetta ed orwelliana metodologia il vero fondatore del PCd’I che fu Amedeo Bordiga.

Non sono eticamente superiori questi dirigenti comunisti che hanno prima isolato i Gramsci e i Terracini in mano al nemico fascista (salvo poi “riabilitarli” secondo convenienza) e poi pronunciato il famoso appello ai “fratelli in camicia nera”… Non sono seri quei dirigenti che in Spagna, durante la guerra civile(1936-39), hanno provveduto prima a liquidare i militanti e le organizzazioni repubblicane che non fossero di stretta obbedienza comunista e “cominternista” e poi combattere contro i nazionalisti di Francisco Franco.

Non sono seri i comunisti italiani che hanno collaborato ad eliminare gli esuli antifascisti e comunisti di ogni nazionalità e quindi anche quei comunisti italiani che si erano rifugiati nella “patria dei lavoratori”, che gioivano quando morivano migliaia di prigionieri italiani nei campi di concentramento sovietici. Che hanno utilizzato la guerra civile in Italia, la cosiddetta “resistenza” per eliminare possibili futuri avversari e per affermarsi come forza egemone tra i partiti antifascisti.

Non sono moralmente seri questi comunisti italiani che agli inizi della “guerra fredda”, dopo il 45 hanno svolto con piena consapevolezza il ruolo di “quinta colonna” in Italia del potere sovietico, compiendo vere e proprie azioni di spionaggio e di tradimento della patria, cospirando affinché Trieste fosse lasciata in mano al maresciallo Tito, dando informazioni ai sovietici sulla forza militare e sull’economia nazionale, nonché sui nostri rappresentanti diplomatici nell’URSS e nei suoi paesi satelliti.

Fatti documentati dai resoconti custoditi negli Archivi di Stato e di partito a Mosca, dal quale si evince che i dirigenti del PCI si recavano quotidianamente “a rapporto” dall’ambasciatore sovietico a Roma, Mikhail A. Kostylev. “I dirigenti del PCI si sentivano in primo luogo e soprattutto rappresentanti degli interessi sovietici, anche quando rivestivano posizioni ufficiali nel governo italiano”. (Aga Rossi e V. Zaslavsky, Togliatti e Stalin, il PCI e la politica estera staliniana negli archivi di Mosca, Il Mulino, Bologna 1998).

Certamente non sono per niente seri questi compagni comunisti italiani, che hanno preso, fino alla implosione dell’URSS e tramite l’organizzazione criminale il KGB, danari che possono essere definiti senza retorica lordi di sangue e segnati dalla fame delle popolazioni vittime del comunismo. Dirigenti che hanno assistito alla edificazione del Muro di Berlino e alla sua esistenza senza fiatare, o addirittura esaltandone la funzione e continuando ad avere fino alla fine relazioni più che amichevoli con i suoi custodi e gestori (puntuali erano gli stand della DDR ai festival dell’Unità).

Molto altro si potrebbe scrivere della serietà morale dei comunisti italiani, ma si può rilevare che anche dal punto di vista ideologico e politico non ne hanno azzeccata una, come direbbe Di Pietro. Ci avevano detto che senza Dio e senza la Chiesa, l’umanità sarebbe stata libera e felice, ora non possono dirlo più, addirittura certe volte, cercano di strumentalizzare lo stesso Pontefice. Volevano l’Italia fuori della NATO, in nome dell’indipendenza e della pace. Applaudirono ai carri armati che invadevano Budapest e a tutte le rivoluzioni comuniste e terzomondiste, abbiamo visto quanti lutti e rovine hanno lasciato dietro di sé.

Proponevano una economia socializzata e statalizzata ed hanno ingessato la vita sociale. Ancora oggi vediamo i frutti di questa politica statalista: un fisco persecutorio nei confronti delle famiglie, una burocrazia di lacci e lacciuoli che hanno impedito la crescita economica. Senza il “loro” decisivo contributo, almeno dall’inizio degli anni settanta, non sarebbero state possibili le politiche di bilancio che hanno generato il mostruoso debito pubblico che grava sulle presenti e sulle future generazioni italiane.

Si potrebbe continuare a lungo, una cosa e certa, tutto quello che proponevano o che hanno realizzato si è rivelato tragicamente dannoso, e nessuna delle loro previsioni storiche e politiche si è realizzata. Quello che ci preme sottolineare, è che nessuno sia più succubo del mito della “serietà” del PCI e dei suoi eredi, sia per quanto riguarda l’affidabilità e rispettabilità, sia nel senso dell’integrità morale o del valore delle scelte e delle prospettive politiche, occorre liberarsi da ogni complesso d’inferiorità nei loro confronti.