Morto un mito se ne fa un altro

comunismoArticolo pubblicato su Tempi n.42 anno 5

Quando (settimana scorsa) Veltroni si svegliò dal letargo e scoprì che “il comunismo non è compatibile con la libertà”, sedi Ds e rubrica delle lettere dell’Espresso furono invase da missive e fax di protesta. Il dramma personale della Rossanda e la militante paura di aprire gli occhi. Breve disanima della più promettente e fallimentare delle religioni dell’epoca

di Massimo Tringari

La sortita di Walter Veltroni sull’incompatibilità di comunismo e libertà richiede una riflessione sulla natura del comunismo e dell’attuale postcomunismo che rappresenta una realtà alquanto enigmatica, se non altro perché parte dal presupposto che il comunismo è “morto”, nel senso che è fallito storicamente.

La chiave di volta per comprendere l’essenza del comunismo si trova, come acutamente ha messo in luce il più autorevole interprete del marxleninismo, Augusto Del Noce, nell’ultima delle Glosse a Feuerbach, dove Marx scrive: “I filosofi hanno soltanto diversamente interpretato il mondo, ma si tratta di trasformarlo”. In altri termini il comunismo è una filosofia che nasce sul solco tracciato dal razionalismo (illuminismo e idealismo tedesco) e che continua l’opera di Hegel: questi riteneva che la totalità della Storia si fosse manifestata nella forma del Sapere assoluto e del Sistema filosofico.

Marx ritiene invece che la “totalità della Storia” sia qualcosa che l’uomo può e deve costruire. Di conseguenza al Sistema di Hegel sostituisce l’azione politica rappresentata dal partito e nella fattispecie dal partito comunista. In estrema sintesi compito della filosofia non è pensare il mondo, quanto costruire un mondo completamente nuovo, il mondo socialista, un paradiso in terra senza contraddizioni sociali. Quindi, punto primo, il marxleninismo è filosofia che si risolve in azione politico-sociale.

Quale religione fu l’oppio dei popoli? Ma la caratteristica peculiare del comunismo è stata quella di unire due elementi assolutamente irriducibili: da una parte il realismo politico portato alle estreme conseguenze (nemico numero uno del comunismo è stato infatti Bakunin e l’anarchico Stirner), da qui l’idea di vari passaggi, come la dittatura del proletariato, che a differenza di quanto sostenuto da Walter Veltroni, rappresenta un momento necessario per l’affermazione del socialismo in attesa dell’obiettivo finale della Rivoluzione, cioè l’estinzione dello Stato e il conseguimento della piena ed assoluta libertà; dall’altra l’utopismo portato alle estreme conseguenze, al punto che non si trova nemmeno una pagina in Marx in cui viene descritta la situazione dell’umanità una volta raggiunta la Rivoluzione e una volta affermatosi l’Uomo socialista.

Ora, soprattutto per questo secondo aspetto, indisgiungibile però dal primo, il comunismo ha esercitato una certa attrattiva tra gli intellettuali, ma non solo: noi non staremmo a parlare del comunismo se non avesse avuto tra le masse il largo seguito che ha avuto. Quel che ha reso il comunismo “formidabile”, infatti, è la sua capacità di trascinare milioni di uomini. In questo senso appare più simile a una religione che non a una dottrina.

Ma la ragione della sua diffusione è da ricercare non tanto nella sua essenza razionalistica che fa del marxismo una delle più grandi negazioni della persona umana (Marx rimproverava all’ateismo esistenzialista di mantenere ancora, a suo modo, la nozione di individuo, incompatibile con “l’uomo socialista”), quanto nella sua capacità di comunicare attraverso grandi miti e di parlare in termini di avvenire.

Dalla “lotta di classe” alla “concertazione economica” L’emancipazione della classe proletaria, la libertà sessuale, il “mito Stalin”, la pace universale tra i popoli, ed anche i miti, per così dire negativo-distruttivi, quali l’abbattimento della borghesia, della Chiesa cattolica, dei grandi capitalisti, l’antiamericanismo, ecc. hanno contribuito a formare un senso comune comunista, fatto di ideali, per così dire, forti, capaci di attrarre l’attenzione e di suscitare la passione tra milioni di uomini e donne. Cioè il comunismo nel suo aspetto “sacrale” ha creato un popolo. E di questi miti o principi, elaborati dalla mente di una setta di intellettuali, si è nutrito il popolo comunista negli anni del dopoguerra.

Ma oggi ci troviamo in una dimensione politico-culturale, che proprio la stessa logica inerente alla rivoluzione comunista ha contribuito a creare, dominata dal pensiero debole e a da una radicale demitizzazione e desacralizzazione della realtà, per cui alla dura e appassionante lotta di classe si è sostituita ad esempio la “concertazione economica”.

La ragione di ciò risiede nel fatto che la pretesa marxista di tenere insieme il massimo del realismo politico e dell’oppressione, con la ricerca della massima libertà e l’idea di realizzare il paradiso in terra, storicamente è fallita, finendo in tirannide e semplice oppressione: la dittatura del proletariato è divenuta permanente e non premessa per il passaggio al “mondo nuovo”.

Amletici quesiti: Ingrao o Veltroni? Ma quel che oggi interessa sottolineare è ciò che è rimasto del mondo comunista. Da una parte troviamo personaggi quali la Rossana Rossanda o Pietro Ingrao, per non parlare di Armando Cossutta, orgogliosi di appartenere alla tradizione comunista, ma che tuttavia, sconfitti storicamente e dunque idealmente per le ragioni esposte precedentemente, si trovano a vivere in un mondo nel quale hanno ben poco da dire, sia in termini di critica sia in termini propositivi.

Pertanto l’unica posizione culturale e umana che viene loro riservata dalla Storia è un esasperato narcisismo e una valutazione iperbolica di sé stessi, manifestata, ad esempio, dalla presunzione di aver rappresentato un pericolo reale per il sistema democratico in Italia.

In un’intervista rilasciata al Corriere della Sera (19/10/1999), la Rossanda ha affermato: “È impossibile che in Italia si dia a Ingrao o a me, comunisti, una patente di illibertà quando dal ’47, è stato prima implicito e poi esplicito che se il Pci avesse vinto le elezioni ci sarebbe stato un colpo di Stato. Noi saremmo stati presi dai carabinieri, sulla base del piano Gladio, e portati in un campo militare in Sardegna. Questa è storia d’Italia”. Da ciò la Rossanda è portata a concludere che in Italia c’è stata un’ordita campagna antidemocratica ai danni del Pci.

Niente di più falso: nessun comunista è finito in galera per attività sovversiva contro le Istituzioni, e nessun comunista ha subito un processo che lo vedeva imputato di corruzione, o peggio di associazione mafiosa. È bene che la Rossanda sappia e riconosca, che certo solo per un semplice caso e non per una malevola intenzione, i nemici storici del Pci, quali Andreotti o Craxi hanno avuto un trattamento ben diverso da quello che è stato riservato a lei o ai “compagni” Ingrao e Cossutta.

Dall’altra parte dell’arcipelago postcomunista, i veri eredi del comunismo in Italia sono Veltroni e i Ds, che mantengono a fatica alcuni aspetti di critica del sistema capitalistico formulati da Marx, ma che soprattutto sono caratterizzati da riferimenti ideali quali Kennedy e Hollywood e l’immancabile Che Guevara, espressione dell’omologazione e dell’appiattimento tecnocratico dominante.

A loro, legittimamente beninteso, interessa unicamente la gestione del potere. Cosa che può manifestarsi in una piccola levata di scudi contro gli Usa per vicende come il Cermis e Ustica, o in un “diverso” modo di intendere l’azione di bombardamento della Nato contro la Yugoslavia. Ma quale di queste due posizioni intellettuali e umane sia la più “degna” e meritevole di oggetto di stima, è argomento che francamente non si vede chi possa interessare.