Fate pure cerimonie

galateoRadici cristiane n.97 settembre 2014

La buona creanza cristiana non è un vizio o una malattia. Non è nemmeno formalismo, nel senso negativo oggi attribuito a questo termine. È piuttosto ciò che ha salvato anime e che le ha rese sante. È «l’abito di fare il bene, acquistato ripetendo atti buoni», come ricorda il Catechismo di san Pio X. E che ritroviamo nei vari “manuali del giovane cristiano”d’un tempo…

di Alessandro Gnocchi

Ora si trovano soltanto nei mercatini dell’antiquariato o nella case dei cattolici refrattari all’aggiornamento. Sono quei volumetti dai titoli come Educazione della giovinetta cattolica, Manuale del giovane cristiano, Decoro della sposa cristiana o Doveri, responsabilità e precetti del capofamiglia: roba da far ridere i pedagoghi d’oggi, ma formavano l’ambiente in cui ragazzini come Domenico Savio si santificavano, preferendo la morte al peccato, oppure fanciulle come Maria Goretti e Pierina Morosini sceglievano la purezza a costo della vita, e tanti altri, senza oltrepassare la soglia di una santità conclamata, mettevano su famiglie, in cui l’emergenza non riguardava il degrado dei costumi.

II segreto della loro efficacia stava in quello che oggi viene scambiato per formalismo. Ma, per comprenderli davvero, bisogna saperli leggere con almeno un po’ di amore a ciò che trasmettevano. Allora si scoprirebbe che educavano alla buona creanza cristiana, applicando un metodo condensato in sonante essenzialità al punto 252 del Catechismo di san Pio X: «Che cos’è la virtù morale? La virtù morale è l’abito di fare il bene, acquistato ripetendo atti buoni».

E padre Carlo Dragone, nella sua Spiegazione del Catechismo, così glossava nel 1956: «Nel Battesimo vengono infuse le virtù teologali e le virtù morali, che però danno soltanto la capacità di compiere atti soprannaturali e virtuosi. La facilità si acquista ripetendo gli atti buoni, in modo che formano le buone abitudini o abiti virtuosi acquisiti. Perciò le virtù morali, che rendono buoni i nostri costumi, sono inclinazioni buone, abitudini di fan atti buoni, acquistate con l’esercizio».

Come dire che la grazia è la materia prima della Grazia, un’evidenza che ha origine i pagine e pagine evangeliche, dove la Buona Novella si fa per le buone maniere come lo stampo per la cera. Nel Vangelo è proprio la buona grazia di Gesù risorto a sanare la sgarbata incredulità di Tommaso. Per lui, che otto giorni prima non era presente alla Sua apparizione nel cenacolo, il Signore torna a mostrare con mansuetudine cerimoniosa le piaghe sul suo corpo: «Metti qua il tuo dito, osserva le mie mani, accosta la tua mano e mettila nel mio costato: e non essere più incredulo, ma credente». «Dóminus meus et Deus meus»: vinto dall’estrema grazia con cui lo ha trattato il suo Signore e suo Dio, Tommaso ne confessa la divinità come nessun altro apostolo aveva fatto fino ad allora.

È in questo intrattenersi così intimo e cerimonioso, dove la forma purissima del sacro fa da calco alla materialità del gesto e della parola, che l’uomo ha fruttuosa relazione con Dio. Qui dimora la saldezza delle vere conversioni, a patto che la cerimonia, fosse anche per la debolezza dell’uomo, possa ripetersi orientandosi al rito.

LE BUONE MANIERE DEI SANTI

La cerimoniosità rituale risponde alla natura liturgica dell’uomo: cosicché, per esempio, un san Francesco di Sales amava insegnare che le buone maniere sono il principio della santità o un Leon Bloy diceva che «solo le persone senza profondità non si fidano delle apparenze». Ma oggi si manifesta un Cristianesimo, che si sente tanto più autentico quanto più si fa nemico del minimo fremito di reverenza per la forma.

La vita e l’insegnamento di Gesù, i gesti più veri di chi gli sta intorno sono uno spreco di bellezza, parto della devozione spirituale al mistero di tutto ciò che esiste. Negli eventi grandiosi e nelle cose minime, nei gesti regali e nelle piccole attenzioni quotidiane, i personaggi del Vangelo sono gentiluomini vocati alle buone maniere.

Tra gli esempi più luminosi vi è la cena di Betania, nella casa di Simone. Una cerimonia così densa di gesti e di significati ulteriori, che necessitano di diversi racconti evangelici per essere colti tutti. Quella sera, racconta san Luca, Gesù entrò nella casa di Simone il fariseo e si mise a tavola. «Ed ecco una donna, che era peccatrice in quella città, appena seppe che egli era a mangiare nella casa del fariseo, portò un alabastro d’unguento e stando ai piedi di lui, di dietro, con le lacrime cominciò a bagnarne i piedi e coi capelli del suo capo li asciugava e li baciava e li ungeva d’unguento».

Il padrone di casa, costernato per tanta attenzione donata a una peccatrice, aveva certamente organizzato un pranzo di grande livello con accurata distribuzione dei commensali, precisione del servizio, qualità delle pietanze. Ma l’invitato, per il quale tutto questo era stato preparato, lo rimprovera, perché quelle buone maniere non sono degne della Buona Novella che lui porta in dono: «Vedi questa donna? Sono entrato nella tua casa e tu non m’hai dato l’acqua per i piedi; ma essa li ha bagnati cotte sue lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli. Tu non mi hai dato un bacio, ma lei da che è venuta non ha smesso di baciarmi i piedi. Tu non hai unto d’olio il mio capo, ma essa con l’unguento ha unto i miei piedi. Per questo ti dico: le sono perdonati i suoi molti peccati, poiché ha molto amato. Invece quello a cui poco si perdona, poco ama».

Minuzie da povero formalista, si direbbe oggi, eppure Gesù, perfetto Dio e perfetto uomo, ne nota l’assenza. Poiché il rito, con cui si adora il Signore e la cerimonia, con cui si rende omaggio al prossimo, non raggiungono il loro scopo, se non compiono tutto ciò che è prescritto.

UNA DIFESA DAL DEMONIO

La cerimonia, così come il rito di cui è riflesso a uso di chi pratichi il mondo, è fatta di manifestazioni inesplicabili ad occhio laico tanto quanto i nascondimenti cui non può rinunciare. Per questo, nel Vangelo di san Matteo, il Maestro prescrive: «Quando digiunate, non vogliate imitare gli ipocriti, che prendono un’aria malinconica e sfigurano la faccia per far vedere agli uomini che digiunano. In verità, i dico che han già ricevuto la loro ricompensa. Tu invece quando digiuni, ungiti il capo e lavati la faccia, affinchè non agli uomini tu appaia come uno che digiuni, ma al Padre tuo, che è nel segreto; ed il Padre tuo, che vede nel segreto, ti darà la ricompensa».

Principio della santità, le buone maniere sono efficace difesa contro le trappole del demonio. Incapace di conoscere i pensieri dell’uomo, perché di altra natura, insegna san Giovanni Cassiano nella ” VII Conferenza ai monaci“, il principe di questo mondo li può indovinare, osservando i movimenti del corpo: «A nessuno viene il dubbio che gli spiriti immondi riescano a conoscere la natura dei nostri pensieri; quegli spiriti però possono arrivare a individuarli fondandosi sugli indizi sensibili che ad essi appaiono dal di fuori, vale a dire dalle nostre disposizioni o dalle nostre parole, e anche dalle tendenze alle quali ci scorgono inclinati con maggiore apprensione».

Fu questo, infuso da san Filippo Neri nel suo Oratorio, a conquistare il cardinale Newman. In un discorso al Capitolo del 1848 scriveva: «Un Oratoriano possiede la sua stanza e i suoi mobili, i quali, […] senza essere suntuosi, dovrebbero fare in modo che sia possibile affezionarvisi. Insieme non formano una cella, ma un nido. L’Oratoriano deve essere circondato dalle sue cose, i suoi libri, gli oggetti personali: in una parola deve vivere, per dirla con un tipico termine inglese, nel comfort. […] La chiesa deve essere bella, le funzioni religiose devono essere condotte con meticolosità e, se possibile, con magnificenza; la musica deve essere attraente».

Il buon cristiano è tale, quando ripugna al mondo per ciò che testimonia e non per come si presenta. Se deve versare il sangue, tra i suoi modelli contempla Tommaso Moro, che il 6 luglio 1535 salì il patibolo portando come ultimo bagaglio la sua santità, le buone maniere e una parola di conforto per il boia: «Amico, io sono pronto e voi fatevi coraggio… avverto che ho il collo corto e perciò state attento colpire giusto per non macchiare la vostra buon fama».