Telefono rosso sangue

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Sofri, Bompressi e Pietrostefani

Pubblicato su L’Italia settimanale

30 dicembre 1992

Ecco cosa si dissero, il giorno dell’arresto di Sofri, i membri del clan di Lotta Continua che ruotava attorno a Claudio Martelli: «Quand’è morto Calabresi ero ben contenta» disse la compagna del ministro della giustizia

di Luciano Garibaldi

Nel libro di Leonardo Marino La verità di piombo. Io Sofri e gli altri, edizioni Ares, a pagina 95 si legge: «La mattina del 28 luglio 1988 furono eseguiti i mandati di cattura firmati dal giudice istruttore Antonio Lombardi contro Sofri, Pietrostefani e Bompressi. I telefoni degli arrestati erano stati posti sotto controllo. (…) Peccato, davvero peccato, che nessuno abbia ancora scritto “un doloroso mistero” su quelle telefonate, divenute pubbliche soltanto dopo il deposito degli atti».

Ecco uno stimolo per mettersi al volante e andare a trovare a Modena, l’avvocato Odoardo Ascari, una delle “parti civili” (per conto della vedova di Calabresi) al processo Sofri, e, come tale, depositario degli atti dibattimentali, tra cui le migliaia di pagine di quelle registrazioni. Dall’archivio di Ascari, scelgo quelle effettuate sul telefono di Sopori, il personaggio più interessante del quartetto, e m’immergo nella lettura.

E’ uno spaccato unico della società di sinistra nel nostro Paese, un documento che mostra, di volta in volta, la spocchia, la sicumera, l’improntitudine, ma anche la falsità, l’astuzia, la freddezza e il calcolo (con pochissimi sprazzi di generosità) di un ambiente che nell’”area socialista”, già allora ruotava attorno a Claudio Martelli, il figlio che, dopo aver pugnalato il padre, si propone come il rinnovatore della sinistra travolta dallo scandalo delle tangenti.

E’ infatti attorno al ruolo di Martelli, massimo sponsor politico ed amico personale di Sofri, che si muovono le più significative conversazioni telefoniche tra la signora Randi Krokaa, compagna dell’ex estremista appena arrestato, e i vari interlocutori, tutti impiegati nella ricerca e nella creazione di una giurisdizione alternativa che confluirà presto nel rifiuto della magistratura e nel suo aperto vilipendio che da carnefici si facevano giudici.

Per ordine del magistrato inquirente, il telefono era sotto controllo fin dal giorno precedente l’arresto, e cioè mercoledì 27 luglio 1988.

Ignaro della tempesta che sta per abbattersi sul suo capo, in seguito alla confessione di Marino, Sofri, 45 anni professore di lettere e arte, è più che mai impegnato nel suo nuovo ruolo di testa pensante del Psi. Deve incontrare “Gianni” (Gianni De Michelis, vicepresidente del Consiglio) perché gli faccia ottenere un contratto pubblicitario per un nuovo giornale che ha in mente dopo il recente fallimento del quotidiano Reporter, sponsorizzato da Martelli. Non sa se intervenire, su l’Unità, nel dibattito che si è aperto su Togliatti. Tal Guelfo Guelfi gli legge i nomi degl’invitati a un dibattito in Versilia: oltre a lui, Lietta Tornabuoni, Miriam Mafai, Oreste del Buono, Paolo Spriano, Raffaele La Capria, Vittorio Foà e, toh! persino Renzo De Felice.

Telefona Marco Boato, l’antico compagno ai vertici di Lotta Continua, ora senatore “verde”. «Da De Michelis ho conosciuto Ruffolo», dice Sofri: «mi ha dato l’impressione di un uomo spento». E aggiunge: «De Michelis mi ha chiesto di lavorare con lui perché tutto va a catafascio a sinistra». C’è un tal Vuodek, che par di capire sia considerato una spia sovietica, in procinto di essere arrestato, e Sofri si arrabbia di brutto: o questa cosa la insabbiano, o fa un grosso scandalo: «Io ormai in Italia non sono uno qualunque, sia come giornalista, sia come… insomma».

L’idea è di andare da Cossiga, al Quirinale, dicendogli che questa è una «cosa mostruosa» che «o forniscono le prove, o io faccio un gran casino». ottima idea, dice Boato. Ok, conclude Sofri «Da Cossiga vacci tu, io parlo con De Michelis».

Cala la notte. All’alba, arrivano i carabinieri. Sofri è portato via. Senza manette, senza codazzo di fotografi, come fu per Tortora. La signora Randi resta sola, e si prova simpatia per questa donna, che si batte con dignità ed intelligenza per organizzare la difesa del suo uomo. E’ una delle poche persone non sgradevoli della straordinaria piece, con Carlo Pannella, ex amministratore di Reporter, amico fedelissimo, oggi giornalista alla Fininvest, tra i primi ad essere informati dalla compagna di Sofri: «Credi sia il caso di andare da Claudio?».

Randi: «Io direi per ora no». Carlo: «Vuoi che faccia un saltino da Claudio? magari un fischio a lui varrebbe la pena di farlo». Randi: «Anche a quell’altro signore…». Carlo: «Al grasso?» Randi: «E’ troppo grasso… Comunque, domani uscirà tutto sui giornali, per cui decideranno loro».

Telefona tal Paolo, giornalista di Repubblica: «Non ti converrebbe chiamare Martelli? Perché lo chiedano al governo, lo chiedano a Vassalli (Ministro della Giustizia, socialista), di che si tratta». (L’Ansa non ha ancora dato la notizia. nessuno sa bene i motivi dell’arresto, salvo la signora Randi, che, nel mandato di cattura, ha potuto frettolosamente leggere quel nome, Calabresi). Richiama Panella. Randi: «Che facciamo? Parliamo anche con quel signore grasso?».

Pannella: «No, bastano Claudio (Martelli) e Gianni (De Michelis), per cui puoi chiamare tu direttamente, che è meglio. Io mi occupo dei giornali, in modo che escano subito degli articoli scandalizzati sulla cosa».

Ed ecco Randi che, alle 9,08, forma il numero del Psi in Via del Corso, a Roma. Dice chi è, chiede di parlare urgentemente con Martelli. Dall’altra parte del filo rumori, attese, poi cade la linea. Ore 9,36: Randi chiama la presidenza del Consiglio, dice chi è, chiede di parlare urgentemente con De Michelis. Breve attesa, vari passaggi di persone, scambi di parole, poi la conclusione: «Richiami». Si mobilita, da Napoli, tal Mimmo per cercare Martelli: «Io sono amico di Gava. Posso chiamare anche Gava». Randi, io ora sto provando sia Claudio che Gianni».

Richiama Paolo, dà a Randi il numero di Ludovica, «al mare». E’ la compagna di allora di Martelli ed è a Sabaudia. Poi la rassicura: «A Claudio vado a dirglielo di persona». Ma lei: «Ci volevo parlare». «Ah, ci volevi parlare? A casa non c’è, ho provato a suonare. restelli (capo ufficio stampa di Martelli) non c’è e al partito non risponde ancora nessuno». randi chiama Sabaudia. Risponde la segreteria telefonica. Allora riprova col Psi. Sono le 9,59. martelli, le dicono, non c’è. «Attenda, le passo Alessandra». E’ la segretaria di Martelli. Randi da la notizia. Sofri è stato arrestato. «Ho capito» dice Alessandra «provo ad avvisare Claudio. Dove possiamo richiamarla?». Cade la linea.

Frattanto, le telescriventi dell’Ansa e il Televideo hanno ormai reso pubblica la notizia. Si susseguono le telefonate di indignazione e di solidarietà. Sono amici, giornalisti, deputati (Franco Piro), senatori (Marco Boato). Grandinano insulti all’indirizzo dei magistrati che hanno osato arrestare quell’uomo così «mite» (Piro) e per di più alla fine di luglio, proprio per rovinargli le vacanze: «Sono maiali, stronzi, mi viene il voltastomaco, schifosi, Cristo, è una cosa vergognosa, quelle merde!». «Ma che porci!», esplode da Bolzano il deputato “verde” Alex Langer: «Coraggio, Randi, lo Stato si abbatte e non si cambia. Lo dico perché chi ci ascolta possa eventualmente estendere le imputazioni a me».

Non sarà accontentato. Tutti sono assolutamente consapevoli del fatto che le telefonate sono intercettate, e tale consapevolezza consiglia ai più di evitare discorsi davvero compromettenti. Ai più ma non a tutti. Per esempio, non all’onorevole Piro, il quale, appreso che tra gli arrestati c’è anche Bompressi, si lascia scappare un eloquente «…merda!». Né al giornalista Enrico Deaglio, ex direttore di Reporter:

«Si, scusa, ma cos’è… E’ Marino quello che ha parlato?». Nel pomeriggio anche alla Randi, sempre così perfetta e controllata, sfuggirà una frase di troppo. le accadrà conversando con Tit, collaboratore di Boato, che la ragguaglia sulla conferenza stampa tenuta nel pomeriggio a Milano dai carabinieri: «Hanno detto che Marino un mese fa si è sgravato la coscienza di questo peso. Loro hanno fatto dei riscontri dai quali risulta che Adriano è il mandante». E Randi: «Non è possibile. Se Marino fosse stato arrestato un mese fa lo avremmo saputo». Già. Ma come? Da chi? E perché?

A metà mattinata il problema dei problemi sono i telegiornali, dell’una e della sera, e i quotidiani del giorno dopo. Tra questi, soprattutto il Corriere e Repubblica. Gli amici di Sofri sanno perfettamente che chi fa l’opinione sono quei due giornali, e nessun altro, talché la signora Randi manda all’inferno senza tanti complimenti i giornalisti di tutte le altre testate, scelti peraltro con cura, dai rispettivi direttori, tra gli “oriundi” di Lotta Continua che nell’88 già affollano le testate.

Eccone uno, Giuseppe Di Piazza, del Messaggero: «Stavo a Reporter e prima a Lotta Continua. Per fortuna devo scrivere io il ritratto di Adriano…». Chiama ancora Carlo: «Abbiamo questa linea di pressione: uno è Manca, il Presidente della Rai. Due, il ministro della Giustizia è Vassalli, che è socialista. A Martelli devi chiedere di parlare con Manca. Nuccio Fava è il direttore del Tg1 ed è un democristiano, però aperto. La Volpe è direttore del Tg2 ed è proprio uno che ubbidisce».

Al Corriere pensa Giuliano Ferrara, che si fa “dare lo spazio” per una intervista con Boato «perché è un personaggio in fondo abbastanza integrato, e poi sa parlare il linguaggio istituzionale».

L’intervista uscirà puntualissima la mattina dopo, su quattro colonne: «Boato: so che Sofri è innocente, lo giuro. Quello a Calabresi fu un processo sommario, ma Lotta Continua non ha mai emesso la sentenza di morte». E ci vuole un bel coraggio a sostenere una simile tesi, quando Lotta Continua scriveva un giorno si e l’altro pure che il verdetto contro Calabresi era stato emesso e che «il proletariato l’avrebbe reso esecutivo nelle strade e nelle piazze».

Più difficile controllare Repubblica. A Scalfari, che è in ferie, non arrivano. Contattano la figlia, ma non basta. Allora provano con Pansa, il vicedirettore, ma è cilecca. «Sono in vacanza», dice il giornalista con aria di circostanza, alla signora Randi: «Non so chi farà il pezzo. Comunque, lei stia tranquilla. Si affidi soprattutto a un buon avvocato».

Tanti sforzi generosi (Piro: «Abbiamo parlato con decine e decine di giornalisti»), ma risultati parziali, perché, per esempio, «Sul Tg1 c’era quel cretino di Remondino». Quando, finalmente, i boss socialisti si decidono a mandare in avanscoperta Sergio Restelli, la signora Randi sa ormai come stanno le cose e perché il suo compagno è stato arrestato, ma con il collaboratore di Martelli si mostra reticente e cauta.

Per esempio, all’uomo che vorrebbe saperne di più, si guarda bene dal fare il nome di Calabresi. Poi parlando con un’amica dirà: «Quel Restelli è troppo stupido». E, col solito Carlo: «E’ assolutamente deficiente». Il risultato è che passano le ore, ma né Martelli né De Michelis si fanno vivi. E allora Carlo: «Devi parlare con Giuliano (Ferrara) che parli col ciccione…». E a tal Tonino: «Sono dei cacasotto. magari si muovono anche, faranno delle cose, non so. ma l’unico che è stato veramente schietto e immediato è stato Giuliano Ferrara».

Telefona tale Andrea per leggerle la dichiarazione di Pannella («So di poter dare fiducia piena ed intera a quel che Adriano dice e dirà, fa e farà»), e Randi: «l signori, quelli la, non fanno un passo nemmeno…, si parano il culo, pensano solo a quello, nella vita… li mortaci loro, guarda!».

A sera, con i telegiornali, finalmente le dichiarazioni e le prese di posizione. C’è un comunicato di ventuno deputati del Pci, di Dp, del Gruppo Federalista Europeo, dei Verdi, e del Psi: «Non possiamo non dichiarare lo sconcerto e la preoccupazione che tale operazione giudiziaria di sapore tipicamente emergenziale suscita».

C’è la dichiarazione di Boato: «Escludo totalmente che Sofri, come del resto Pietrostefani, possano avere avuto la benché minima responsabilità giudiziaria nell’omicidio di Calabresi» (e gli altri due?). E c’è finalmente, anche quella di Martelli: dopo aver premesso che la sua conoscenza con Sofri risale soltanto al 1984, dice che lo considera un amico «e finché non vedo le prove non credo che possa essere il responsabile di quell’assassinio.

Un conto sono le responsabilità politiche e un altro quelle dirette. Sofri non ha mai fatto parte del servizio d’ordine di Lc, data la sua levatura culturale che mal si adattava a questo ruolo». Dichiarazione falsa, come vedremo tra poco, temeraria, perché dà per scontato che il “servizio d’ordine” potesse anche dedicarsi, tra una sprangata e l’altra, alla disdicevole pratica del colpo alla nuca, snobisticamente razzista per l’accenno alla “levatura culturale”, ma comunque ancora lontana da quella demonizzazione dei giudici cui Martelli parteciperà largamente in seguito.

Sia come sia, le dichiarazioni non soddisfano. telefona Giorgio Albonetti: «Boato è uno stronzo e a Martelli sputagli in un occhio». Randi: «Perché?». Albonetti: «ma scusa, ha detto che lui non lo conosceva!».

Albonetti non è il solo. Chiama una donna non identificata: «Ho sentito il telegiornale. Di Boato non ho il numero di telefono, e mi dispiace, perché vorrei dargli dello stronzo». Randi: «Una cagata, vero?». E finalmente Ludovica, la compagna del “delfino”: Randi: «Ehi, signora, come va?». Ludovica: «Ho parlato con Claudio. Chiaramente, assolutamente incredulo. Roba da pazzi… Sono con le gambe che mi tremano… mi sembra una cosa allucinante che si permettano di far arrestare gente dopo anni e anni… Poi, io mi ricordo benissimo quando è morto Calabresi. Ma io ero ben contenta!». Randi: «Infatti, vorrei vedere chi non ha detto qualcosa su Calabresi». Ludovica: «Figurati, era un pezzo di merda!».

Richiudo il dossier e, nel riconsegnarlo al suo legittimo detentore, l’avvocato Ascari, gli chiedo un commento. «Nessuna vicenda processuale come questa», mi dice, «ha conosciuto tanta inciviltà negli uomini e nei modi. Fin dall’inizio, e poi con un crescendo sempre più corale, i grandi mezzi di comunicazione pubblici e privati, caduti in signoria dei compagni d’arme e di fede degli imputati e dei loro potenti amici politici e di “cultura”, hanno cercato di togliere ogni legittimazione anche morale agli organi dello Stato, nel tentativo di privilegiare una sorta di giurisdizione alternativa.

A quest’ultima si rivolse immediatamente la difesa degli imputati individuando giustamente in essa l’unica via di salvezza. Le trascrizioni delle telefonate intercettate costituiscono uno degli spaccati più squallidi e desolanti di questa certa Italia di sinistra, a partire dalle adesioni raccolte in Parlamento per un appello in favore degli arrestati, nel giorno stesso del loro arresto, a scatola chiusa».

«Prestigiosi rappresentanti della vita politica italiana», dice ancora Ascari, «si schieravano così contro l’opera della magistratura, presto seguiti dalla foltissima schiera degli intellettuali progressisti. Sono essi ad avere costituito la giurisdizione alternativa, sulla quale unicamente ha fatto affidamento Sofri, rinunciando all’appello».

Una mossa vincente?

«Senta questo», risponde Ascari: «un difensore di Pietrostefani, nei motivi del ricorso in Cassazione, ha citato per ben due volte filosofi, attori, uomini politici, letterati di altissimo prestigio, illustri firmatari di manifesti, indirizzi, dichiarazioni, petizioni a favore degli imputati: le tesi innocentiste sono state accreditate come di gran lunga più autorevoli delle argomentazioni svolte dalle sentenze della magistratura. Correlativamente, nei motivi del ricorso, per ben due volte si fa riferimento alle luminose carriere dei mandanti dell’omicidio. Per contro, sulla figura di Calabresi “furono pubblicati libri e scritti non propriamente rispettosi della sua ‘innocenza’ (così, tra virgolette), con firme prestigiose ed estranee a Lotta Continua, che, ancor oggi, sono tra le più accreditate dalla scienza e dal giornalismo italiano».

«Capito? L’affannosa ricerca di un falso colpevole tende evidentemente all’inconscia giustificazione del delitto. In un primo tempo , con mistificazione infame, si crea un falso colpevole per aizzare contro di lui “le masse”, bisognose di giustizia e di vendetta. Po, lo si uccide. E infine, nonostante una sentenza passata in giudicato, si continua ad infangarne la memoria. Siamo dunque di fronte al male in senso biblico, conseguenza inevitabile del connubio tra violenza e frode, da sempre considerate categorie ontologicamente separate. In tutto ciò consiste quella giurisdizione alternativa che ha condannato Calabresi ed ora pretende che i suoi assassini siano assolti».