Parità scolastica e libertà di scelta

scuola_paritaria Nuova Stagione Settimanale diocesano di Napoli n. 41,
25 novembre 2001

di Claudio Circelli

È anche fin troppo scontato definire l’educazione come un processo che tende ad un fine. Sembra, altresì, pacifico, affermare che il fine dell’educazione è lo sviluppo armonico della personalità, sviluppo che presuppone un iter impegnativo, potenzialmente suscettibile di errore.

L’educando, infatti, nel suo percorso formativo, ha la possibilità di scegliere tra bene e male; spetta all’educatore agire sulle facoltà primordiali dell’uomo, intelligenza e volontà, per abituare ogni essere umano al retto uso delle stesse. Ogni educazione eserciterà quindi, un’influenza sull’educando, ciò in aperta polemica con le teorie di Rousseau, il quale afferma nell’Emile che “la prima educazione deve essere puramente negativa”, intendendo, con questo, che l’educatore non deve esercitare alcun’influenza sull’allievo.

La concezione di Rousseau è superata dalle stesse correnti anarchiche e libertarie che finiscono per ammettere l’influenza del maestro sullo scolaro.Premesso che dell’educazione c’è bisogno, occorre chiarire a chi spetta prioritariamente, occorre stabilire una logica gerarchica, una sistematizzazione delle competenze.

Tale organizzazione dovrà fondarsi più che su costruzioni mentali astratte o elucubrazioni politiche, sul diritto naturale. Per questo si può sostenere che il diritto di educare spetta, per la sua stessa natura, prioritariamente e fondamentalmente alla famiglia. E’ nella famiglia che il bambino nasce e si trova subito circondato dall’amore dei genitori, è nella famiglia che apprende le prime conoscenze e i divieti, ciò che è bene e ciò che è male, è nella famiglia che il bambino acquisisce l’originario abito di vita.

I maestri e i professori possono insegnare sì, ma per delega della famiglia, quindi eserciteranno un diritto, in virtù di un mandato della stessa. Lo Stato svolge anch’esso un’azione pertinente l’insegnamento. La sua funzione primordiale è quella di vigilare con carattere sussidiario sull’armonia tra insegnamento e bene comune, lasciando alla famiglia il diritto di educare i figli, diritto che lo Stato può solo riconoscere, non concedere.

Ad affermarlo fu già Guido Gonnella, futuro Ministro della Pubblica Istruzione: il quale s’impegnò a valorizzare il “primato educativo della famiglia” rivendicando che “la Scuola è un’ausiliare della Famiglia per l’istruzione e l’educazione dei figli”. Con questo Guido Gonnella sosteneva il diritto della Chiesa ad istituire proprie scuole e ad ottenere finanziamenti da parte dello Stato; “la scuola cattolica infatti svolgerebbe un servizio pubblico a disposizione della famiglia”, in vece dello Stato, pertanto autorevolmente candidata ad ottenere finanziamenti da parte di quest’ultimo.

Ai fini di una maggiore comprensione del discorso intorno alla sussidiarietà, è estremamente interessante la conoscenza delle tesi alternative a quelle di Gonnella, sviluppatesi in seno ad una delle tre Sottocommisioni dell’Assemblea Costituente, costituita allo scopo di redigere la Costituzione italiana. In particolare modo ricordiamo quella di Aldo Moro e di Concetto Marchesi. Il primo sosteneva che lo Stato possiede “un interesse più squisitamente collettivo da soddisfare, quello della preparazione dei singoli ad assumere funzioni sociali” quindi il suo intervento diretto è pienamente legittimo.

Bisogna però precisare che lo Stato ha si un diritto non ausiliare e diretto ad insegnare, ma soltanto nelle questioni che riguardano l’ottimazione del funzionamento dell’apparato statale. Così, ad esempio, il corpo di polizia, il personale della pubblica amministrazione, l’esercito. In altri termini lo Stato può svolgere un’azione non sussidiaria nell’insegnamento soltanto con tutto ciò che abbia relazione con lo Stato stesso, senza invadere gli spazi della famiglia, alla quale compete l’educazione dei figli, in modo primario.

Quanto alle dichiarazioni di Concetto Marchesi, egli sostiene che per evitare il rischio di aprire la strada allo spirito confessionale, la Scuola deve appartenere allo Stato. Si nota che l’affermazione di questo principio è in funzione dell’obiettivo di evitare la diffusione delle scuole cattoliche. Si può costatare come quella di Marchesi non fu una vera proposta alternativa a quella di Gonnella, ma semplicemente una dichiarazione di ciò che non si voleva. Si nota, quindi, una corrente di pensiero molto ostile alla Chiesa cattolica che ebbe notevole influenza nella redazione dell’art.33 della Costituzione, quando si cita il “diritto di enti e privati di istituire scuole e istituzioni senza oneri per lo Stato” introdotto dalla Costituzione.

Infatti è molto più oneroso per lo Stato finanziare una scuola statale che sovvenzionare una scuola non statale. Con ciò si afferma che il mancato sovvenzionamento alla scuola non statale, si traduce in un maggior costo che lo Stato deve sostenere in termini complessivi. Evidentemente non è un problema di oneri ciò che è a fondamento del rifiuto al riconoscimento di una parità reale, ma solo una radicale ed esclusiva chiusura ideologica. Il principio di sussidiarietà dell’insegnamento, in altre parole l’azione dello Stato di istituire scuole, presuppone l’insufficienza dell’insegnamento non statale.

Il ruolo sussidiario dello Stato si manifesta verso i soggetti e verso i centri dell’insegnamento; nei confronti dei soggetti, come affermava Pio XI nell’enciclica Divini lllius Magistri, “nei casi in cui manchi fisicamente o moralmente l’opera dei genitori, per trascuratezza, incapacità o indegnità”, quanto ai centri privati d’insegnamento, lo Stato non deve istituirne di nuovi, ma limitarsi a concedere borse di studio.

Secondo Estanislao Cantero Nunez, laddove i centri non statali siano insufficienti allora, e solo allora, lo Stato avrà il diritto d’intervenire. In tal caso l’attività di istituire centri presuppone che essi siano costituiti dove sono necessari e non dove lo Stato vuole; presuppone ancora che lo Stato non potrà imporre agli alunni e alle loro famiglie più di quanto richiesto per il compimento del bene comune, vale a dire non può impartire un insegnamento in contrasto con la morale, la religione cattolica, l’ordine sociale etc. Inoltre se il motivo dell’assenza dell’insegnamento privato è di origine economica, lo Stato dovrà lasciare l’insegnamento all’iniziativa privata e supplire solo alla mancanza di mezzi economici.

Infine, suggerisce ancora l’apologista, lo Stato dovrà abbandonare l’opera d’insegnamento diretto non appena l’iniziativa privata può farsi carico di essa, ciò in virtù del fatto che l’insegnamento dello Stato è nato con carattere sussidiario e non totalizzante. Il principio della sussidiarietà ci spinge ad un’inversione di tendenza. Come afferma Michel Creuzet: «Non è l’insegnamento privato che deve supplire quello statale, bensì l’insegnamento statale dovrà essere sussidiario a quello privato».