La Cruna dell’Ago 2 Giugno 2025
33 anni dopo il Britannia:
chi autorizzò il colpo di Stato angloamericano in Italia?
di Cesare Sacchetti
Sono passati 33 anni da quel 2 giugno del 1992.
33 anni da uno dei più infami tradimenti della Repubblica creata dagli angloamericani sotto la tenda di Cassibile l’8 settembre del’43, quando il generale Castellano cedeva la sovranità italiana agli alleati, non avendone, tra l’altro, nemmeno il diritto.
Se si volesse aprire una discussione giuridica sulla origine di tale repubblica a sovranità limitata, allora sarebbe impossibile non ripartire da lì, da quel 25 luglio del 1943 quando il re Vittorio Emanuele III ordinò l’arresto del presidente del Consiglio, Benito Mussolini, in quello che fu il primo colpo di Stato di una lunga serie.
Sotto il punto di vista della concatenazione storica degli eventi, il Britannia può definirsi a pieno titolo come il figlio di Cassibile.
Britannia vuol dire tradimento non solo contro il simulacro giuridico nato nel 1946 dopo la frode elettorale del referendum del 2 giugno, il giorno della festa della Repubblica, ma tradimento contro gli italiani tutti, perché, quel giorno, su quella nave, salivano dei rappresentanti della classe politica ed industriale italiana che di fatto consegnavano i gioielli di famiglia della industria pubblica del Paese alle banche angloamericane, che altro non sono che espressione del potere della finanza ebraica.
Il 2 giugno a bordo del panfilo della regina Elisabetta, c’erano praticamente tutti.
C’era in particolare il gran cerimoniere della svendita, Mario Draghi, che ebbe il compito principale di svalutare le varie partecipazioni statali italiane per la gioia di banche come JP Morgan e Goldman Sachs, che, casualmente, assumerà poi proprio il dirigente del ministero del Tesoro italiano, in quello che è stato un vero e proprio trampolino di lancio della sua carriera, come per quella di molti altri che quella notte si trovavano a bordo di quella nave.
Draghi disse in tale occasione che si “stava per passare dalle parole ai fatti”, e i fatti erano il saccheggio dell’Italia a favore della finanza angloamericana che aveva ben congegnato un simile attacco già molto tempo prima perché la fine della Prima Repubblica e dello Stato imprenditore, gioiello di crescita economica e industriale ancora oggi impareggiabile, non sono state decise in un giorno.
Il piano concepito negli anni’70 dal club di Roma
Erano state decise diversi anni prima, già ai tempi della fondazione del club di Roma di Aurelio Peccei, dirigente FIAT e uomo di fiducia di un altro incallito mondialista come Gianni Agnelli, che aveva in mente un piano di attacco molto preciso e ben delineato nei riguardi di questo Paese.
Non si doveva soltanto destrutturare l’Italia attraverso un assalto economico, ma bisognava portarla verso una vera e propria inedia spirituale e demografica attraverso la promozione delle leggi a favore del divorzio e dell’aborto, che segnarono il passaggio dall’Italia cattolica a quella post-cattolica, secolarizzata, e senza i più precedenti riferimenti della tradizionale civiltà cristiana sulla quale si sono rette la cultura e le radici di questo Paese per quasi due millenni.
Il passaggio era stato deciso già allora in una paziente strategia concepita per iniettare nelle vene di questo Paese tale veleno, e il Britannia, evidentemente, non è altro che il risultato di tale intossicazione.
La classe politica della Prima Repubblica era così diventata d’un tratto d’intralcio per l’anglosfera
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Washington in quel periodo aveva senza dubbio alcuno il ruolo di garante del (dis) ordine mondialista e nei centri di potere che contano, o meglio che contavano, della politica americana, quali il CFR della famiglia Rockefeller, il Bohemian Grove e l’immancabile Bilderberg si arrivò alla conclusione che era giunto il tempo di liberarsi di una classe politica troppo ingombrante, troppo al di sopra della media delle altre classi politiche europee e soprattutto troppo autonoma e recalcitrante nell’eseguire gli ordini tassativi che arrivavano dagli Stati Uniti.
Il rapimento di Aldo Moro – una operazione concepita ai vertici del potere politico americana rappresentato da Henry Kissinger, ed eseguita attraverso la struttura deviata che controllava il Paese, formata da massoneria, servizi e Gladio, l’esercito clandestino della NATO – e il caso Sigonella sono lì a dimostrare che l’Italia non era un zerbino pronto ad eseguire qualsivoglia ordine piovesse dal patto Atlantico.
Se c’era da dire no, lo si diceva, e allora serviva qualcos’altro agli americani.
Mani Pulite: il piano per eliminare una classe dirigente
Serviva appunto Mani Pulite, che sin dai primi istanti della sua creazione, è stata a stretta contatto con gli ambienti diplomatici e di intelligence americani, fatto questo che non ha mai suscitato la curiosità o le attenzioni del dormiente CSM, che quando si tratta di sanzionare la condotta di un magistrato integerrimo, si attiva subito, quando invece c’è da sanzionare la condotta di magistrati corrotti o infedeli, allora nulla si muove a piazza Indipendenza.
Tale passaggio è semplicemente fondamentale. Il Britannia non ci sarebbe mai stato se non ci fosse stata Mani Pulite.
Soltanto quell’evento destabilizzante della politica italiana ha consentito di aprire una sorta di vuoto di potere che è stato riempito da personaggi che ancora oggi non si sa bene a che titolo hanno eseguito tale svendita.
Se si torna indietro con la memoria a quei tormentati mesi, si ricorderà che il governo Andreotti nemmeno c’era più.
Giulio Andreotti era uno di quei politici che non doveva sopravvivere a tale falsa rivoluzione come la definiva Craxi, e difatti per lui, che non venne messo sotto inchiesta per tangenti o reati di corruzione, venne confezionato un’altra macchina del fango, quale quella del processo per mafia.
A Washington sapevano che il leader della DC era troppo restio ad eseguire gli ordini e restare nel perimetro assegnato dell’anglosfera.
Non molto tempo il crollo del muro di Berlino nel 1989, il suo governo era stato infatti tra i primi ad annunciare il 24 ottobre del 1990 l’esistenza di un esercito clandestino come quello di Gladio che era stato utilizzato per diverse operazioni di carattere chiaramente eversivo in Italia, come certamente quelle della strategia della tensione, che ricorreva ad attentati terroristici contro la popolazione, si vedano piazza Fontana, la strage dell’Italicus, la strage di piazza Bologna, la banda della Uno Bianca a altre tecniche di guerra psicologica come quelle del mostro di Firenze, del quale si è parlato in un recente contributo.
Andreotti attraverso il suo annuncio, caso unico nell’Europa Occidentale, aveva evidentemente sparigliato le carte a Bruxelles, la sede del patto Atlantico.
D’un tratto, gli atlantisti si trovano scoperti perché uno dei politici più importanti d’Europa aveva annunciato che la NATO metteva in atto operazioni clandestine senza aver avuto alcuna autorizzazione dai vari parlamenti nazionali, e la dichiarazione del presidente del Consiglio in Italia deve aver suscitato non poche ire perché l’atlantismo doveva aver già capito allora, nel 1990, che Andreotti voleva traghettare l’Italia fuori dalla NATO.
Il presidente del Consiglio aveva già iniziato a rilasciare alcune interviste nel biennio dal 1990 al 1992 nelle quali attraverso la sua arguta ironia esprimeva perplessità sia sul progetto della moneta unica europea, sia sulla riunificazione della Germania, pagata poi dagli altri Paesi europei, e sia sulla necessità di continuare ad avere l’ombrello atlantico una volta che il grande nemico del comunismo, l’URSS, si era ormai disciolta dopo l’esecuzione di una operazione di demolizione interna eseguita dal segretario del PCUS, Mikhail Gorbachev, membro della massoneria da diversi anni e uomo di Soros nell’ex Unione Sovietica.
Andreotti era uno di quelli che non poteva evidentemente sopravvivere a quella tempesta e la fine del suo esecutivo giunse il 24 aprile del 1992, soltanto due mesi dopo l’inizio del golpe di Mani Pulite che già, secondo le stesse parole di Di Pietro pronunciate al console americano Semler, una volta terminata la decima legislatura.
La falsa rivoluzione era appena iniziata e sin dai primi istanti era ovvio che essa si proponeva di spazzare via il duo DC-PSI, in quanto lo scopo dei giudici del pool era quello di aprire un vuoto, un’autostrada per i vincitori già designati, ovvero gli uomini del post-PCI, il PDS nato dopo la svolta della Bolognina, che era stato già scelto accuratamente dagli ambienti angloamericani e sionisti tra la fine degli anni’70 e gli anni’80.
Mani Pulite difatti mai sfiorò il PDS, e l’unico uomo che “osò” aprire una inchiesta sull’enorme afflusso e riciclaggio di fondi neri che partivano da Mosca e arrivavano a Botteghe Oscure, per poi finire in società fantasma della mafia, fu Giovanni Falcone, che pagò questa sua scelta a caro prezzo quando il 23 maggio del 1992 fu fatto saltare in aria con la sua scorta sull’autostrada di Capaci, nei pressi di Palermo.
Il vuoto di potere dell’aprile-giugno 1992
Le elezioni politiche che si tennero il 5 e il 6 aprile del 1992 ancora non avevano portato al terremoto dei mesi successivi che provocò lo scioglimento della DC e del PSI, i principali obiettivi della falsa rivoluzione giudiziaria, soprattutto se si pensa che la Democrazia Cristiana aveva perso qualcosa per strada, il 4%, ma aveva ancora una percentuale di tutto rispetto come il 29%, mentre il PSI aveva invece perduto soltanto lo 0,65%, fermandosi a quota 13,62%.
Il nuovo attore, il PDS di Achille Occhetto, raccolse un non entusiasmante 16%, ed era ben lontano dall’avere i numeri necessari per salire al potere, ma a questo lavoreranno in seguito alacremente i vari amici di Washington e Londra, certi anche di avere una solida sponda al Quirinale come Oscar Luigi Scalfaro, che si adoperò già nel 1994 per provare a far cadere il governo di un attore giunto inaspettatamente sulla scena politica come Silvio Berlusconi.
La situazione della politica italiana era evidentemente ancora di guado, eppure quando ancora non c’era in carica un governo effettivo, il 2 giugno del 1992, salgono a bordo del panfilo Britannia uomini come il citato Draghi, Emma Bonino, Giulio Tremonti, presidente dell’istituto Aspen Italia della fondazione Rockefeller, Romano Prodi, Carlo Azeglio Ciampi, governatore di Bankitalia che aveva svuotato le riserve in valuta estera di palazzo Koch per la scellerata difesa dello SME, una pletora di dirigenti bancari e industriali, tra i quali diversi dell’ENI, e persino un guitto, un personaggio come Beppe Grillo, che, a detta della stessa Emma Bonino, era lì quella notte, poiché il comico genovese era stato scelto da quegli ambienti già in quell’epoca come l’uomo della futura opposizione controllata che prenderà le sembianze del Movimento 5Stelle negli anni 2000.
Ogni cosa era stata evidentemente preparata, ma nessuno è sembrato chiedersi, allora come oggi, chi mai autorizzò tutti questi personaggi a salire sul panfilo di una nave di una potenza estera, la Gran Bretagna, e a contrattare il prezzo di (s) vendita dell’industria pubblica italiana.
Quel giorno ancora non c’era effettivamente nessun governo. C’era soltanto il decaduto governo Andreotti che in quel momento poteva soltanto occuparsi del disbrigo degli affari correnti, e che non risulta che diede alcuna autorizzazione a tutti questi personaggi a salire a bordo del Britannia e svendere il Paese.
L’Executive Intelligence Review rivela a gennaio il golpe
Soltanto a distanza di 8 mesi, nel gennaio del 1993, quando venne pubblicato il rapporto dell’Executive Intelligence Review dal titolo “La strategia anglo-americana dietro le privatizzazioni italiane: il saccheggio di un’economia nazionale” si ebbe una idea più precisa del tipo di danni che erano stati fatti all’Italia.
Claudio Celani, uno degli analisti italiani dell’EIR, fece un intervento in Germania, a Wiesbaden, nel quale spiegò che l’episodio del Britannia nemmeno venne fuori sulla stampa italiana all’epoca.
Gli organi di (dis) informazione che incendiavano le prime pagine dei loro giornali con titoli contro i vari politici colpiti dalla pioggia di avvisi di garanzia, esclusi ovviamente quelli del PDS, non dava notizia di questo fondamentale capitolo della storia d’Italia e di quello che a tutti gli effetti era un golpe nel golpe, assieme a quello di Mani Pulite.
La magistratura in pratica su mandato di Washington falcidiava la politica italiana, e questa non perseguiva i veri golpisti salita a bordo del panfilo Britannia.
Sembra che quando l’EIR tirò fuori la notizia, molti rimasero sorpresi e Draghi, che probabilmente non se lo aspettava, risultava investito da un “forte imbarazzo”.
Celani disse queste parole al riguardo. “II 2 giugno 1992, a pochi giorni dalla morte del giudice Falcone, si svolgeva una riunione semisegreta tra i principali esponenti della City, il mondo finanziario londinese, ed i manager pubblici italiani, rappresentanti del governo di allora e personaggi che poi sarebbero diventati ministri nel governo Amato. Oggetto di discussione: le privatizzazioni. La cosa più grave è che questa riunione si svolse sul panfilo Britannia, di proprietà della regina Elisabetta II, la quale fu presente ai colloqui. Il Britannia, dopo aver imbarcato gli ospiti italiani a Civitavecchia, prese il largo ed uscì dalle acque territoriali. Avvenne dunque che i potenziali venditori delle aziende da privatizzare (governo e manager pubblici) discussero di ciò con i potenziali acquirenti, i banchieri londinesi, a casa di questi ultimi. Non sappiamo che cosa si siano detti questi signori, sappiamo solo che il direttore del Tesoro Mario Draghi provò tale imbarazzo che chiese di poter leggere il suo discorso quando il panfilo era ancora in porto, per poter scendere subito ed evitare di rimanerci quando questo prese il largo”.
“Sappiamo dell’imbarazzo di Draghi perché un settimanale, L’Italia, riprese l’articolo dell’EIR, citando la fonte, ed un parlamentare missino, Antonio Parlato, che lo lesse, presentò un’interrogazione parlamentare, anzi, poté rivolgere una domanda allo stesso Draghi, che quel giorno riferiva su altre questioni in Commissione Bilancio. In seguito, la notizia fu ripresa da numerosi organi di stampa, anche grazie al fatto che l’ex segretario del PSI Bettino Craxi aveva diffuso il documento dell’EIR alla Camera. Ci furono quindi numerose interrogazioni parlamentari (a Parlato, che ne fece mi sembra tre, si aggiunsero l’on. Tiscar, qui presente, e gli on. Pillitteri e Bottini) e altre sollecitazioni ufficiali (la senatrice Edda Fagni citò questo fatto nel discorso al Senato il giorno del voto di fiducia al governo Ciampi), ma né il governo di allora, guidato da Giuliano Amato, né quello attuale si sono sentiti in obbligo di fornire un chiarimento all’opinione pubblica ed al Parlamento.”
In altre parole, non era previsto che quanto accaduto a bordo del panfilo Britannia venisse fuori.
Draghi fu completamente spiazzato dalla notizia resa pubblica, forse perché temeva che questo potesse ingenerare una qualche inchiesta giudiziaria nei suoi confronti così come nei confronti degli altri personaggi della politica e dell’economia saliti a bordo di una nave straniera, dal momento che era chiaro che nessuno di quei signori aveva alcuna legittimità a trattare la vendita delle industrie italiane, e tantomeno avevano alcuna legittimità a farlo in territorio straniero.
In parole ancora più semplici, gli uomini a bordo del Britannia erano andati a casa di uno Stato straniero, la Gran Bretagna, e avevano commesso tutta una serie di gravi crimini a danno dell’Italia, a partire dall’attentato contro la sua sovranità, senza dimenticare l’enorme danno erariale provocato alle casse pubbliche, perché le industrie pubbliche italiane furono svendute a prezzo di saldo per la gioia delle varie banche angloamericane.
A cercare di sollevare la questione fu, come visto, Bettino Craxi che già aveva intuito nel 1992 il tipo di manovra golpista che si stava attuando in Italia, ma le sue denunce in Parlamento non ebbero alcun seguito.
I traditori erano presenti nel PSI stesso a partire da quel Giuliano Amato che si limitò, una volta salito al potere il 28 giugno del 1992, ad eseguire quanto fatto da Draghi e gli altri a bordo del Britannia senza alcun mandato parlamentare o governativo.
Non c’era più molto da fare in quel momento per l’ex segretario del PSI, il cui partito ormai era stato ucciso da Tangentopoli che ne provocò il suo scioglimento nel 1994.
Sono passati ormai 33 anni da quell’infame giorno, e i vari responsabili non sono mai stati toccati perché il corrotto sistema di potere che gli ha consentito di fare carriera li ha protetti per tutti questi anni, anche se adesso la repubblica di Cassibile sembra in una fase di estremo affanno, per via della dismissione del crollo dell’impero americano.
Iniziano ad aprirsi cassetti chiusi, a farsi rivelazioni che un tempo erano proibite, e forse dopo tutto questo tempo forse ci sarà veramente la possibilità di onorare la memoria di chi è stato rovesciato da giudici infedeli e di scrivere una buona volta sui libri di storia che quell’anno non ci fu una “liberazione” ma un colpo di Stato eseguito da una quinta colonna al servizio della finanza internazionale, del gruppo Bilderberg, e della solita massoneria.
Nell’agonia di questo corrotto sistema politico, adesso tutto è possibile
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