La sbornia libertaria è finita. Sta arrivando l’era dei limiti

da “La Verità”, 3 marzo 2019

Da 50 anni, l’Occidente vive una follia collettiva. Molti segnali, tuttavia, indicano che una svolta è vicina. Ma i progressisti la scambiano per ritorno del fascismo.

di Claudio Risé

Negli ultimi cinquant’anni il mondo occidentale è stato conquistato da una follia collettiva che solo ora sembra in esaurimento. Dal punto di vista psicologico eravamo nel campo della manìa: grandiosità, sonno disturbato, iperattività, smarrimento del senso del rischio. Soltanto che a viverlo non sono stati individui isolati, ma intere masse di persone, nazioni, sistemi culturali e politici.

Alla base c’era un’inflazione psicologica, una sopravvalutazione delle proprie risorse, un senso di onnipotenza e negazione del limite. Del tutto infondata: di qui fasi di depressione profonda, quando le persone (o i gruppi) si accorgevano che non era vero niente. Che si trattava solo di “panna montata” (come scrisse Eugenio Scalfari, in un fulminante titolo sull’avvocato Agnelli).

PANNA MONTATA

La civiltà di panna montata non fu un fenomeno solo italiano, ma dell’intera società occidentale, nella quale la gioia di vivere si era esaurita dopo i primi anni 60, lasciando poi spazio all’esplosione maniacale degli anni del 68 e del cinquantennio successivo. Ma quali ne furono le cause?

Dal punto di vista materiale, sicuramente la ricchezza, che ha sempre messo in pericolo l’equilibrio e la forza degli individui e dei gruppi, come la storia racconta. Avere già tutto o quasi, senza dover produrre nulla e faticare per farlo, non ha mai fatto bene a nessuno.

L’ingresso negli anni 70 fu infatti il primo picco, con successivi crolli, del lungo ciclo di sviluppo iniziato dopo la seconda guerra mondiale, che portò al benessere interi gruppi sociali, sottraendoli alla necessità di procurarsi un lavoro e un salario appena possibile. Fu un’importante conquista, ma anche una difficile sfida, come aveva avvisato Arnold Gehlen e l’antropologia, mostrando come il confronto con la fatica del lavoro fosse indispensabile allo sviluppo della personalità, che senza di esso non prende forma.

L’uomo ha prevalso sugli altri animali anche perché la sua intelligenza stimolava fatiche e occupazioni che poi gli davano benessere, e ciò sviluppava ulteriormente le sue capacità. Nello sviluppo diffuso verso la fine del novecento però, intere generazioni vennero esonerate dalla fatica di trovarsi rapidamente un lavoro: cadde così per loro il confine rappresentato dalla necessità economica. I lavori che richiedevano un coinvolgimento fisico vennero svalutati: il corpo fu affidato a considerazioni esclusivamente narcisistiche e visto per piacere agli altri, non per servire a sé (e anche agli altri).

La caduta di questi limiti procurò, a cascata, la scomparsa di altri confini, limiti e riferimenti esistenziali. Caddero i limiti del tempo, i ragazzi presero l’abitudine di tornare a casa quando volevano. I genitori spesso non avevano voglia di intavolare trattative troppo impegnative, più per tutelare la propria immagine di “genitore liberale e comprensivo” che per serie valutazioni su quale fosse il vero interesse dei figli.

Nacquero le situazioni ora chiamate “movide”, le movimentate zone delle varie città, con le loro proposte di vite dove il lavoro è marginale, o è spettacolo. Naturalmente, ognuno di questi cambiamenti produce anche ricchezza, ed è questa la ragione per la quale le movide sono ancora oggi apprezzate dai sindaci più miopi e cinici, che non vedono al di là del loro naso.

Nella realtà, tutte queste libertà producono un graduale dissolvimento della personalità, una debolezza delle persone e delle comunità in cui vengono adottate, con enormi costi sociali. Dico questo non per ostinato moralismo (mai stato una mia categoria di giudizio, casomai la morale, a esserne capaci), ma per esperienza personale e professionale: ho verificato da sempre come queste forme di vita generino e nutrano i disturbi di personalità.

VITA LIQUIDA

Si tratta di un fenomeno naturale, dell’intero mondo vivente. Sono necessari confini, argini perché l’elemento primordiale dell’acqua diventi fertilizzante e non devastante, sommergendo la terra, o trasformandola in palude. Se la società è diventata liquida come l’ha descritta Zygmunt Bauman (senza capirne fino in fondo il perché, per via della personale chiusura al mondo trascendente), bisognerà trovare nuovi argini che la contengano.

Altrimenti, dopo averli a lungo cercati, gli argini se li scaverà l’acqua stessa (la vita), nel suo fluire. Come fanno appunto le acque nelle situazioni di caos primordiale, quando nessuno le organizza. È quanto sta accadendo oggi. È lo stesso scorrere dell’acqua che, scavando nella terra morbida (studiata dal filosofo e matematico Gaston Bachelard) si procura argini naturali, nell’impulso tipico del mondo vivente di darsi dei confini, limiti all’interno dei quali incanalare le proprie forze.

Tutto ciò sta avvenendo dal 2016, l’anno del referendum sull’uscita dell’Inghilterra dalla Unione Europea e dell’elezione di Trump alla Presidenza degli Stati Uniti. Un movimento confermato dalle elezioni avvenute in Italia negli ultimi due anni, dalle nazionali del marzo scorso alle ultime in Abruzzo e Sardegna. Le nazioni riscoprono la necessità di porre confini verso forme liquide come la globalizzazione, o burocratiche come l’Europa degli interessi tutelati nei trattati e non dei popoli europei.

Forme astratte, lontane dai fenomeni vitali, ideate da governanti sleali verso le proprie Patrie, o dagli interessi privati dei grandi gruppi industriali e finanziari. Oggi la tendenza è a uscire o trasformare radicalmente queste terre di nessuno, utili solo ai pochi privilegiati che ne hanno ispirato la costituzione, per ritornare tra le persone che sui propri territori lavorano, scavano argini e reclamano una rappresentatività.

Uomini e donne che vogliono studiare, lavorare, essere persone, madre e padre, figli. Individui che chiedono di essere rappresentati da una classe politica espressa da loro e non da burocrazie partitiche o di affari lontane mille miglia dai territori nazionali e dalle loro esigenze, bellezze e forze vitali. Questa ricerca di argini al caos primordiale degli interessi della società liquida, tende naturalmente a ristabilire confini nei quali poi tutti devono stare, anche chi prima non ne aveva. E ciò provoca reazioni furibonde. Lo slogan del “fascismo alle porte” nasce dall’intolleranza per il limite di chi si era abituato a non averne.

Come quella manifestata dalle avvocate dell’ufficio legale dell’Associazione befree (sii libera), che protestano energicamente contro il progetto di decreto di legge N. 735 sull’affido condiviso presentato dal senatore Simone Pillon. È pubblicata nell’articolo “Sulla famiglia, indietro tutta”, sul numero dell’interessante rivista femminista Leggendaria, in distribuzione dall’8 marzo prossimo.

Le avvocate, che come è noto assieme ai loro colleghi maschi sono diventate indispensabili nell’attuale organizzazione della vita dei bimbi dopo la separazione, sconvolta da una conflittualità senza confini tra i genitori, protestano energicamente per gli ostacoli alla “libertà personale di interrompere la relazione” (oggi richiesta nei tre quarti del casi da donne), a loro parere messa in pericolo dalla legge.

Non parlano però dei costi e danni psicologici e fisici prodotti da queste “interruzioni della relazione” non solo sui mariti-padri (peraltro visibili nelle cronache), ma sui figli. Danni che oggi sono alla base dei noti disturbi dei “figli del divorzio”, studiati e chiariti da tempo in tutto il mondo, e quindi presi in considerazione da tutte le altre leggi che nel mondo cercano (come il decreto proposto da Pillon) di non incentivare la conflittualità famigliare, attualmente fra i primi problemi e costi sociali dell’ Occidente.

Non è però più tempo di arroganze egocentrate. Sulla stessa rivista, l’intervento della studiosa femminista Saveria Chemotti, delegata dall’Università di Padova per gli studi di genere, segnala la problematicità di molte figure materne: “la madre subdola, la madre aggressiva, la madre colpevolizzante, la madre assente”, che emerge anche nel recente libro: Lettere alla madre, a cura di Anna Di Cagno.

È sempre Chemotti (che ha approfondito il tema anche in toccanti romanzi e memoir) a notare come anche queste lettere mostrino che: “Fin dalla nascita si verifica una situazione del tutto naturale, biologica, che innesta nel rapporto madre-figlio un comportamento seduttivo, ma che può diventare patologico per le madri manipolatrici che vogliono avere un controllo totale della vita del figlio e quindi si intromettono in qualsiasi sua decisione”.

Nessuno dei due genitori è un santo, ma ognuno deve essere consapevole e rispettare il ruolo dell’altro: il figlio ha bisogno di madre e padre. Dare del fascista autoritario al padre per non accettare confini al proprio enorme e incancellabile potere non è più praticabile. Tornano i limiti, per tutti. Nella speranza che tornino anche le forze che quei confini, fisici e psicologici, hanno da sempre assicurato lungo l’intera storia umana.