La teologia di Karl Rahner e le difficoltà della Dottrina sociale della Chiesa

Karl RahnerOsservatorio Internazionale Cardinale Van Thuân

Newsletter n.598 15 giugno 2015

Nel suo recente libro La Dottrina sociale della Chiesa. Una verifica a dieci anni dal Compendio (2004-2014) [Cantagalli, Siena 2015], l’arcivescovo Giampaolo Crepaldi risponde, tra l’altro, ad alcune domande sulle difficoltà incontrate dalla Dottrina sociale della Chiesa nel post concilio.

Interrogato specificamente sulla teologia di Karl Rahner, Mons. Crepaldi individua nella teologia del gesuita tedesco una delle principali fonti di opposizione alla Dottrina sociale della Chiesa così come Giovanni Paolo II intendeva rilanciarla (cf pp. 31-32). Le conclusioni sono chiare: «In questo quadro [nella teologia di Rahner, ndr] è molto difficile farci entrare la Dottrina sociale della Chiesa, a meno di smantellarne il carattere di corpus dottrinale, eliminarne la valenza missionaria e salvifica ed intenderla come una prassi dell’accoglienza, dell’ascolto e del camminare insieme, ma senza la luce della verità che viene dall’esterno di questo mondo, dal trascendente» (p. 32).

Naturalmente, non che il trascendente in Rahner non ci sia, solo viene inteso in un senso esistenziale e non più metafisico.

A partire da questo spunto intendiamo qui verificare più a fondo i motivi teologici per i quali la teologia di Rahner va annoverata tra le maggiori difficoltà che la Dottrina sociale della Chiesa ha incontrato nell’epoca recente, difficoltà che possono arrivare anche ad impedirla nella sua stessa possibilità.

Il “buco nella serratura”

Il primo aspetto da verificare è quello dello strumento filosofico adoperato da Rahner. La filosofia, infatti, è la grammatica della teologia ed è essa che detta il metodo [1]. Ora, la filosofia di Rahner, come scrisse Padre Cornelio Fabro, parte dalla “accettazione del trascendentale moderno” [2]. Con esso si vuol significare che la nostra conoscenza è sempre orientata da delle strutture a priori che la precedono e la costituiscono. Non possiamo mai conoscere le cose così come esse sono in sé, dato che la conoscenza avviene all’interno e a-partire-da queste strutture trascendentali che, come un orizzonte che abbiamo alle spalle, ci condizionano.

Scrive Rahner: «Quando amo, quando sono tormentato da domande, quando sono triste, quando sono fedele, quando sento nostalgia, allora questa realtà dell’esistenza umana è un’unità, un’unità originaria, fatta di realtà e del suo proprio essere-presso-se stessa» [3]. Non si conosce niente di per sé, ma sempre dentro questa unità originaria, sicché quando si conosce qualcosa si conosce anche il nostro conoscere, che fa parte di ciò che si conosce, «si con-conosce sempre il conoscere del soggetto» [4].

Questa conoscenza originaria «si svolge per così dire alle spalle del conoscente» [5], ossia è una struttura apriorica e atematica. Si dice atematica in quanto non è qualcosa di particolare, ma l’orizzonte che si permette di conoscere le cose particolari. Come accade quando guardiamo dal buco di una serratura. Questa con-conoscenza Rahner la chiama «esperienza trascendentale» [6]. Essa non può mai essere oggettivamente rappresentata, ma ci permette di rappresentarci oggettivamente il resto. Ciò che c’è al di qua del buco della serratura è e rimarrà sempre un mistero, ma intanto mi permette di vedere ciò che c’è al di là del buco della serratura come qualcosa di determinato.

In questa esperienza trascendentale c’è già anche una conoscenza anonima e atematica di Dio [7], almeno e soprattutto come domanda. Quindi «esiste un cristianesimo anonimo, implicito» [8]. L’esperienza originaria di Dio non consiste nel conoscere un oggetto ma nell’avere un’esperienza. Questa esperienza è evidente, dato che tutte le altre conoscenze ne derivano, ma è incomprensibile perché sta alle nostre spalle.

Poiché essa non si riduce mai alle cose conosciute, si può dire che sia trascendente e che tutti noi facciamo esperienza della trascendenza quando sperimentiamo che tutte le nostre singole conoscenze hanno bisogno di questo orizzonte che le precede. La trascendenza quindi ci sta dietro e non davanti oppure sopra. Trascendenza è quanto precede il buco della serratura. Trascendente e trascendentale coincidono. In questo modo alla trascendenza in senso metafisico viene sostituita dalla trascendenza in senso esistenziale.

In Rahner c’è un’impostazione filosofica molto diversa e perfino contraria a quella espressa da Giovanni Paolo II nella Fides et ratio. Quest’ultima può essere considerata come una “filosofia dell’essere” [9] e della verità come adaequatio [10]. La Fides et ratio non solo ammetteva ma richiedeva la metafisica [11] e sosteneva la capacità della ragione umana non solo di fare domande o interpretare [12] ma di conoscere l’universale e di comporre il quadro unitario del sapere [13].

Rahner, invece, nega la metafisica che viene sostituita dall’ermeneutica, dato che ogni uomo si trova solo e sempre in un contesto interpretativo, data la ineliminabilità dell’apriori che precede e rende possibile ogni conoscenza. Alle spalle della filosofia di Rahner ci sono Kant (per la fondazione apriori della conoscenza), Hegel (per la strutturale dimensione storica del conoscere) e soprattutto Heidegger (per l’interpretazione esistenzialista che egli dà del trascendentale moderno). In lui abbiamo la piena accettazione della impostazione della filosofia moderna.

La “svolta antropologica”

Secondo Karl Rahner, Dio si auto comunica in questa esperienza trascendentale, si auto comunica nell’uomo e si auto comunica a tutti perché questa esperienza trascendentale è propria dell’uomo in quanto tale, quindi di tutti gli uomini. Si auto comunica non però proponendoci dei contenuti o informandoci di fatti riguardanti Lui. In questo modo Dio diventerebbe una cosa tra le altre cose e le sue parole diventerebbero parole tra le altre parole. Piuttosto egli si auto comunica come il Silente, il Senza Volto. «Esso si dà a noi nem modo di uno che si rifiuta, nel modo del silenzio, della lontananza, di uno che si mantiene costantemente in uno stato di non espressività»[14], l’Anonimo.

E’ in questo modo che la Parola, il Logos di Dio diventa «il muto richiamo della nostra esperienza trascendentale» [15] e che la Luce assoluta diventa l’Abisso e la Tenebra. Se abbiamo pensato che Dio ci abbia “detto qualcosa” abbiamo finora sbagliato – sostiene Rahner – perché Dio è Colui che tace, proprio perché non può ridursi ad una cosa detta, essendo Egli la condizione di ogni cosa detta. Tuttalpiù Dio suscita domande, ma non può mai dare risposte. Questo spiega tra l’altro un atteggiamento oggi molto frequente.

Se Dio non può essere conosciuto in maniera oggettiva, ecco allora «l’odierna tendenza a parlare non di Dio, bensì del prossimo, a predicare non l’amor di Dio bensì l’amore del prossimo, a non dire Dio, bensì Mondo e responsabilità verso il mondo» [16].

Del resto, Dio può essere conosciuto nella dimensione della mondanità. Dell’auto comunicazione di Dio – ossia della trascendenza – si fa esperienza nell’esistenza, quindi tutti la fanno e sarà un’esperienza mondana. Padre Cornelio Fabro ci ricorda che San Tommaso chiama la teologia “Sacra Doctrina”. Il termine sacra indica l’origine soprannaturale della teologia. «Le fonti della verità teologica non sono in terra ma in cielo» [17], egli diceva. Per Karl Rahner, invece, esse sono in terra, perché l’uomo è un essere storico e Dio non si rivela dall’alto ma dal basso, da dentro la vita mondana dell’uomo.

Il Padre Garrigou Lagrange diceva che «Per sapere ciò che è il dogma non sono le necessità attuali delle anime che bisogna studiare, ma il dogma stesso, e il suo studio ci permetterà di scoprire e di suscitare nelle anime aspirazioni molto più profonde che non i bisogni attuali di cui si parla» [18]. E continuava: «Dobbiamo dunque, per quanto è possibile, studiare il dogma in se stesso e non già in funzione dei bisogni attuali. Se del resto questi bisogni diventassero la norma delle nostre affermazioni, che resterebbe della Verità rivelata?» [19]. Ma dopo Karl Rahner il percorso avviene al contrario: per capire il dogma bisogna guardare alla nostra esistenza e al mondo.

Si è sostenuto che il Concilio Vaticano II avrebbe cambiato il rapporto tra la Chiesa e il mondo e avrebbe attuato una “svolta antropologica”. Questa interpretazione del Concilio avviene spesso con le lenti della filosofia di Rahner. La svolta antropologica come la intende Rahner rende inutile la Dottrina sociale della Chiesa come è stata tradizionalmente pensata dal Magistero. La vita di fede è una dimensione totalmente mondana perché è nel mondo che Dio si rivela a tutti gli uomini. La Chiesa non deve illuminare la costruzione del mondo tramite la Dottrina sociale della Chiesa, ma deve vivere nel mondo e lì ascoltare insieme a tutti gli altri uomini, l’auto rivelazione di Dio. Non ci sono contenuti da diffondere, ma esperienze da fare insieme con tutti gli uomini.

La storia della salvezza

Se Dio si auto comunica a tutti nell’esistenza umana, nel mondo, allora la storia della salvezza coesiste con la storia dell’umanità. Il mondo e la sua storia non sono più qualcosa di diverso dalla storia della Chiesa e della vita religiosa. La distinzione tra storia sacra e storia profana non ha più senso.

La storia della rivelazione non inizia con Abramo e Mosé: «Il cristiano non ha alcun diritto di limitare l’evento effettivo della salvezza all’esplicita storia veterotestamentaria e neotestamentaria» [20]. «La storia della salvezza non è limitata alla storia delle realizzazioni positive e negative della religione bensì abbraccia anche la storia puramente profana dell’umanità e del singolo» [21]. Sacro e profano non si distinguono più.

La grazia di Dio opera già nel mondo, perché Dio si auto comunica nell’esistenza. Questa auto comunicazione è data prima delle decisioni religiose e può accadere che assuma una forma concettuale anche non religiosa. Essa «può essere così generale, così atematica e così areligiosa da verificarsi – in maniera anonima ma reale – ovunque noi rivolgiamo la nostra esistenza» [22].

Questa concezione della salvezza come storia e come storia della salvezza nonché della rivelazione stessa come storia ed esperienza trascendentale è all’origine delle varie “teologie del genitivo” – a cominciare dalla teologia della rivoluzione di Richard Shaull – che dagli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso hanno impedito e sostituito la Dottrina sociale della Chiesa. Questa parte dalla fede apostolica e da una rivelazione trascendente, quelle partono invece da una rivelazione e una salvezza che si esprimono nella situazione. Anche nell’ateismo e nel nichilismo c’è rivelazione di Dio ed anche essi sono occasioni della storia della salvezza. La concezione della Dottrina sociale della Chiesa come l’impegno soprattutto tramite i cristiani laici di riaprire un posto per Dio nel mondo risulta su questi presupposti incomprensibile.

Il peccato e le sue strutture

L’auto comunicazione di Dio avviene nella nostra esperienza, nella complessa dialettica tra l’orizzonte apriorico (trascendentale) e le singole cose e situazioni della vita (categoriale). Dio non rivela la sua volontà dandoci dei precetti, delle indicazioni, dei contenuti. Diventa quindi impossibile sapere quando siamo peccatori. Il soggetto «non possiede mai una sicurezza assolkuta circa la qualità oggettivale e quindi morale delle sue azioni» [23]. Le scienze umane, infatti, si sono talmente scaltrite da dare molte spiegazioni a quello che noi chiamavamo peccato: «non sappiamo mai con un’ultima sicurezza se siamo realmente peccatori» [24].

Non possiamo mai indicare un punto della nostra esistenza in cui si possa dire che c’è stato un no radicale a Dio, però sappiamo anche che la vita è inevitabilmente una risposta alla domanda in cui Dio ci si presenta e quindi può darsi un no a Dio. Può darsi, ma noi non sappiamo quando ci sia. La dottrina non dice in quale caso il no a Dio è diventato realtà. L’Inferno è una illustrazione plastica della perdizione. Anzi, può essere che sotto un presunto crimine non ci sia nulla o ci sia dell’altro, mentre «dietro la facciata di una rispettabilità borghese può nascondersi un no a Dio» [25].

Nella teologia di Rahner sia il peccato delle origini, sia il peccato come tale, si defilano sullo sfondo e non richiedono la Dottrina sociale della Chiesa stessa. Leone XIII aveva fondato la Dottrina sociale contro l’apostasia della modernità che aveva rifiutato il peccato, rendendolo naturale e perfino utile al progresso [26]. Ma con Rahner una simile visione è ormai improbabile e la Dottrina sociale della Chiesa non serve più alla salvezza del mondo dopo la caduta iniziale e dopo i peccati umani che diventano anche “strutture di peccato” [27]: il centro della storia della salvezza è transitato dalla Chiesa al mondo stesso, nella cui complessità storica ed esistenziale il peccato diventa indecifrabile.

Osservazioni conclusive

La teologia di Karl Rahner è stata definita una “nuova Scolastica”. Ed invero essa ha un intento sistematico, è un ripensamento globale della fede cristiana nella modernità e in accordo con essa. La dogmatica diviene storia dei dogmi, la pastorale precede la dottrina, il peccato viene sostituito da diversi livelli di bene, il rapporto chiesa-mondo è pensato in termini di pariteticità o addirittura di priorità del mondo come luogo della rivelazione e della salvezza, sacro e profano vengono unificati e la laicità diventa anche lo stile della Chiesa, i dogmi vengono demitizzati per renderli comprensibili all’uomo secolarizzato di oggi, la secolarizzazione è vista non solo come positiva e ispirata dal cristianesimo ma come il contesto ottimale per una fede che parta dal mondo, la metafisica è sostituita con l’ermeneutica e la dottrina viene storicizzata e fatta nascere dalla situazione.

Tutto questo comporta l’archiviazione della Dottrina sociale della Chiesa così come è stata proposta da Leone XIII in poi. Essa è ritenuta quantomeno inattuale e quindi inadatta. Il contrasto appare evidente su tutti i punti e spiega le grandi resistenze che Giovanni Paolo II dovette incontrare per rilanciarla, come giustamente nota l’Arcivescovo Crepaldi nel libro già citato all’inizio e da cui abbiamo preso le mosse.

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[1] «Se il teologo rifiutasse di avvalersi della filosofia, rischierebbe di fare filosofia a sua insaputa» (GIOVANNI PAOLO II, Lett. Enc.Fides et ratio, n. 77).

[2] FABRO, Cornelio, L’avventura della teologia progressista, EDIVI, Segni 2014, p. 24. Vedi anche: FABRO, Cornelio, La svolta antropologica di Karl Rahner, EDIVI, Segni 2011.

[3] RAHNER, Karl,  Corso fondamentale sulla fede. Introduzione al concetto di cristianesimo, (prima edizione Freiburg i. B. 1976), San Paolo, Cinisello Balsamo 20036, p. 34.

[4] Ivi, p. 37. La tesi riprende Heidegger secondo il quale l’uomo che si interroga è parte del problema.

[5] Ibidem

[6] Ivi, p. 40.

[7] Cf Ivi, p. 41.

[8] Ivi, p. 393.

[9] «Se la comprensione della fede vuole integrare tutta la ricchezza della tradizione teologica, deve ricorrere alla filosofia dell’essere» (Fides et ratio, n. 97. Si veda tutto il paragrafo).

[10] Cf Ivi, n. 82.

[11] Cf Ivi, n. 83.

[12] Cf Ivi, n. 84.

[13] Cf Ivi, n. 85.

[14] RAHNER, Karl, Corso fondamentale sulla fede cit., p. 95.

[15] Ivi, p. 173.

[16] Ivi, p. 196.

[17] FABRO, Cornelio, L’avventura della teologia progressista … cit.,p. 74.

[18] GARRIGOU-LAGRANGE, Reginald, Il senso comune, la filosofia dell’essere e le formula dogmatiche, Nuova edizione italiana a cura di Antonio Livi e Mario Padovano, Casa editrice Leonardo da Vinci, Roma 2013, pp. 211-218

[19] Ivi, p.

[20] RAHNER, Karl, Corso fondamentale sulla fede … cit., p. 200.

[21] Ivi, p. 196.

[22] Ivi, p. 181.

[23] Ivi, p. 136.

[24] Ivi, p. 145.

[25] Ivi, p. 142.

[26] DEL NOCE, Augusto, I cattolici e il progressismo, Leonardo, Milano 1994, p. 150.

[27] GIOVANNI PAOLO II, Lett. Enciclica Sollicitudo rei socialis (1987), nn. 16, 36.