S.Pio X Notre charge apostolique, 28 agosto 1910

Notre_Chargedi Rino Cammilleri

La lettera apostolica all’episcopato francese (tecnicamente non un’enciclica, ma equivalente a una enciclica per importanza) dal titolo Notre charge apostolique condanna il movimento del Sillon (il Solco), fondato in Francia nel 1902 – sulla scia di una precedente associazione, la Crypte, nata nel 1894 da Marc Sangnier, che costituiva all’epoca l’esempio più articolato di una “democrazia cristiana” nel significato ideologico del termine.

La lettera costituisce il vertice dell’insegnamento sociale di S. Pio X, e una delle descrizioni più complete della “democrazia cristiana” come ideologia, contrapposta alla “democrazia cristiana” come legittima preferenza per la democrazia all’interno della dottrina sociale della Chiesa o come insieme di opere sociali.

Insieme il documento mostra i riflessi politico-sociali dell’eresia modernistica, che rappresenta il sistematico cedimento dei cattolici al relativismo filosofico e morale, e costituisce quindi un complemento indispensabile alla grande enciclica Pascendi del 1907 in cui S. Pio X descrive e condanna il modernismo, denunciando le sue «piaghe subdole» per «salvare la Chiesa dal rischio di dottrine alienanti per l’integrità del Vangelo» (Così Giovanni Paolo II, Omelia, Treviso 16.6.1985, in La Traccia 1985, n. VI, pag.775).

Nella lettera Notre charge apostolique, seguendo il metodo inaugurato nella enciclica Pascendi e parzialmente nuovo rispetto al magistero precedente, S. Pio X non si limita ad enunciare la condanna del sistema del Sillon, ma ne propone dapprima una ricostruzione e una sintesi, a cui fa seguire la confutazione e la critica. Nella terza parte della lettera mostra i riflessi pratici sul piano educativo e politico delle dottrine del movimento, e nella quarta parte enuncia e motiva la condanna.

1. Esposizione delle teorie del Sillon

1.1 La prima caratteristica del Sillon che S. Pio X prende in esame attiene al metodo: si tratta della «pretesa di sfuggire alle direttive dell’autorità ecclesiastica» con il pretesto che il terreno su cui ci si muove «non è quello della Chiesa». Si tratta, secondo S. Pio X , di distinguere, applicando le regole già enunciate nell’enciclica Il fermo proposito. Dal punto di vista organizzativo i laici del Sillon, impegnati sul piano politico e sociale, godono di una autonomia affidata alla loro responsabilità; non godono, invece, di alcuna autonomia dal punto di vista dottrinale, tanto più che propongono le loro dottrine in nome e come conseguenza del Vangelo.

Non possono, quindi, essere autonomi dalla dottrina né sottrarsi al controllo di carattere dottrinale dell’autorità. La rivendicazione di una autonomia dottrinale è molto sospetta e «anche se le loro dottrine fossero esenti da errore sarebbe già stata una gravissima mancanza alla disciplina cattolica». Ma «il male è più profondo»: anche dal punto di vista strettamente dottrinale il Sillon è «scivolato nell’errore».

1.2 Il Sillon è un movimento politico-sociale che si propone anzitutto il miglioramento della condizione delle classi operaie. Questo scopo, di suo, corrisponde al grande programma tracciato da Leone XIII nella Rerum novarum. Lontanissima dagli insegnamenti di leone XIII è però la dottrina del Sillon in quanto, contro gli espliciti ammonimenti di quel pontefice, ritiene che la elevazione sociale del popolo non possa compiersi se non enunciando come principio la tesi secondo cui appunto nel popolo risiede l’origine dell’autorità, e come programma la realizzazione di un ideale di egualitarismo e di «livellamento delle classi».

Il principio e il programma del Sillon prendono le mosse da un giudizio nuovo sulla storia dell’Europa, diverso dal tipo di giudizio enunciato dal magistero dei Pontefici. Il Sillon sogna una società del tutto nuova e disprezza tutto il passato europeo, dimenticando che nel passato – pur con i limiti e le imperfezioni di ogni realizzazione umana – non tutto è da buttare via, e anzi una civiltà cristiana è già esistita.

Rivolgendosi ai Vescovi francesi, in una delle pagine più significative della lettera, S. Pio X esclama: «No, venerabili fratelli, occorre ricordarlo energicamente in questi tempi di anarchia sociale e intellettuale, in cui ciascuno si pone quale dottore e legislatore; non si edificherà la società diversamente da come Dio la edificata; non si edificherà la società se la Chiesa non ne pone le basi e non ne dirige i lavori; non si deve inventare la civiltà, né si deve costruire la nuova società tra le nuvole. Essa è esistita ed esiste; è la civiltà cristiana, è la società cattolica. Non si tratta che di instaurarla, ristabilirla incessantemente sulle sue naturali e divine fondamenta contro i rinascenti attacchi della malsana utopia, della rivolta e della empietà: omnia instaurare in Christo».

1.3 S. Pio X prosegue nell’esposizione della dottrina del Sillon attraverso l’analisi di tre parole chiave: dignità umana, emancipazione, partecipazione. Il Sillon si propone anzi tutto come scopo «la cura della dignità umana», ma il suo concetto di dignità, intesa come autonomia delle coscienze da ogni regola esterna ha radici filosofiche molto dubbie.

Lo strumento per promuovere la dignità umana consiste in una triplice emancipazione del popolo: emancipazione politica (da ogni autorità estranea al popolo); emancipazione economica (dai “padroni” che opprimono chi lavora); emancipazione intellettuale (da una “casta dirigente” che ingiustamente pretende di imporre un predominio culturale). Il popolo, secondo il Sillon, deve essere libero ma la vera libertà è la uguaglianza, intesa come «livellamento delle condizioni», appiattimento della società perché tutti siano uguali.

1.4 Nel sistema del Sillon la promozione della dignità umana tramite l’emancipazione è il momento negativo, che dovrebbe aprire la strada ad un momento positivo, «la partecipazione, più grande possibile, di ciascuno al pubblico governo». Anche la partecipazione, come l’emancipazione, si articola in tre livelli: politico, attraverso la proclamazione del principio che l’autorità risiede nel popolo e solo temporaneamente viene delegata per elezione, «in modo tale che ogni cittadino divenga in un certo modo re»; economico, attraverso – dice il Sillon non il socialismo ma il lento affermarsi di un sistema cooperativo che a poco a poco sostituisca l’impresa a conduzione privata e padronale, in modo che «ogni operaio diventerà in un certo senso padrone»; morale, attraverso la crescita nel popolo dell’«amore per l’interesse professionale e per l’interesse pubblico» che trasformerà ogni cittadino in autorità, abolendo l’odiosa e umiliante distinzione fra chi esercita l’autorità e chi vi è sottomesso.

L’elemento morale della partecipazione – il più importante per la «educazione democratica del popolo» che il Sillon si propone – realizza la fraternità e completa, con la libertà e l’eguaglianza assicurate dall’emancipazione, la versione sillonista (pretesa versione cristiana) dell’ideale della Rivoluzione francese: Libertè, Egalitè, Fraternitè

2 Confutazione e critica

2.1 Le teorie del Sillon possono sembrare attraenti e favorevoli al progresso dei più poveri. Contengono, tuttavia, degli errori fatali. Anzitutto il Sillon pone nel popolo la fonte dell’autorità, contro l’insegnamento di tutta la dottrina sociale della Chiesa (esposto in particolare da Leone XIII nell’enciclica Diuturnum) secondo cui l’autorità non è stata inventata da qualcuno, o conferita tramite un contratto sociale, ma deriva dalla natura e quindi da Dio autore della natura. Non è illecito – insegnava Leone XIII, e conferma S. Pio X – che sia il popolo a designare i detentori dell’autorità tramite le elezioni: purché sia chiaro che con le elezioni non si “inventa” o si crea l’autorità, ma si stabilisce semplicemente da chi deve essere esercitata.

2.2 Potrebbe sembrare che il problema dell’origine dell’autorità sia semplicemente una questione filosofica, senza grandi conseguenze pratiche: una volta ammessa la liceità del sistema delle elezioni potrebbe apparire non poi così importante stabilire se le elezioni creano l’autorità o semplicemente stabiliscono chi deve esercitarla. Ma in realtà non è così, e la risposta al quesito circa l’origine dell’autorità (se derivi dalla natura, e quindi da Dio, oppure dal popolo) ha conseguenze pratiche molto importanti.

Chi, come il Sillon, non riconosce l’origine naturale dell’autorità finisce normalmente per considerare l’autorità e la gerarchia nella società come qualche cosa di sgradevole, al massimo come un male necessario da cui ci di deve per quanto possibile liberare. E’ questo il significato profondo e il sentimento rivelato dalla teoria sillonista della emancipazione. Una teoria, nota S. Pio X, che corrisponde alla concezione rivoluzionaria e illuministica della Libertè, ma non ha nulla a che vedere con la rivendicazione del valore positivo dell’autorità e della gerarchia caratteristica della dottrina sociale della Chiesa.

2.3 Se l’emancipazione politica corrisponde alla Libertè in senso rivoluzionario, quella che il Sillon chiama emancipazione economica e intellettuale realizza l’egalitè intesa come livellamento sociale, per cui «ogni disparità di condizione è una ingiustizia o, almeno, la minima giustizia». «Principio – nota S. Pio X – sommamente contrario alla natura delle cose»: non è affatto dimostrato che la società su cui sia fatto passare un ideale rullo compressore per livellare le differenze, che la società più livellata e priva di gerarchia sia la migliore, anzi la dottrina sociale della Chiesa insegna – salva la condanna delle disuguaglianze così eccessive da essere ingiuste – il contrario.

2.4 L’adozione dei principi rivoluzionari della Libertè e della Egalitè trascina il Sillon ad un terzo errore: la tesi che soltanto la democrazia sia – tra le forme di governo – compatibile con la giustizia. Leone XIII ha invece costantemente affermato che la giustizia cristiana è compatibile con qualunque forma di governo, rettamente intesa e volta al bene comune, e che ogni popolo ha diritto al sistema di governo che meglio conviene alla sua indole e alla sua storia.

E’ legittimo preferire la democrazia, e argomentare in favore della propria preferenza; non è legittimo condannare per principio e comunque chi manifesta preferenze diverse. Infatti «la democrazia non gode di un particolare privilegio. I membri del Sillon che pretendono il contrario, o rifiutano di ascoltare la Chiesa, o si formano sulla giustizia e sull’eguaglianza un concetto che non è cattolico».

2.5 In quarto luogo, accanto alla Libertè e alla Egalitè, il Sillon accoglie anche la Fraternitè nel senso rivoluzionario di relativismo e indifferentismo. La fraternità consisterebbe nel ritenere che le questioni dottrinali e lo stesso problema della verità non siamo poi molto importanti, nel porsi «al di là di ogni filosofia e religione» e nel rinunciare a convertire gli altri alle proprie idee, accontentandosi di condividere una comune umanità. S. Pio X insisterà nella terza parte della lettera sulle conseguenze di questa tesi sul piano educativo, ma già in questa sede enuncia il principio che invece «non vi è vera fratellanza fuori della carità cristiana».

2.6 Infine la radice stessa del pensiero del Sillon, la sua nozione di dignità umana, non appare conforme alla dottrina della chiesa . “Dignità” per il Sillon significa autonomia della coscienza da ogni maestro esterno, costruzione di una coscienza responsabile la quale «non obbedisce che a se stessa». Errore, nota il Pontefice, di natura illuministica che porta fra l’altro non al vero amore per il “popolo” ma al disprezzo sistematico degli umili ritenuti “immaturi” in quanto non hanno ancora raggiunto una tale autonomia e, quindi, la “dignità umana”. Come spesso accade l’affermazione di un concetto ideologico di “povero” finisce facilmente per portare al disprezzo dei poveri veri e concreti.

3 La vita nel Sillon

3.1 Nella terza parte della lettera S. Pio X mostra gli errori del Sillon in azione nella vita quotidiana del movimento e nel suo comportamento socio-politico. La dottrina del Sillon, infatti, non rimane nei discorsi e sui libri, ma si cala nella proposta di uno stile di vita e di un metodo educativo.

Anzitutto, nota il Pontefice, il Sillon cerca di vivere la sua dottrina dell’emancipazione rinunciando, per quanto possibile, alla gerarchia. Gli studi «vi si fanno senza maestro»: nelle riunioni del Sillon non c’è chi insegna e chi apprende ma si tratta piuttosto di «vere cooperative intellettuali, dove ognuno è maestro e scolaro»; «perfino il sacerdote non è più che un compagno».

Questa è anche la «causa segreta delle deficienze disciplinari» del Sillon anche nei confronti del Papa e della dottrina: l’educazione del Sillon non insegna a obbedire e, – ispirata dal “soffio della rivoluzione” – critica lo spirito di gerarchia che anima la Chiesa. Come spesso accade, nella critica di tutte le autorità, l’unica vera autorità diventa il Sillon stesso, tanto che quelli tra i cattolici che non abbracciano la sua causa diventano – «diventiamo», dice S. Pio X – «ai suoi occhi nemici interni del cattolicesimo, coe se non comprendessimo nulla del Vangelo e di Gesù Cristo».

3.2 In verità il Sillon confonde la causa della Chiesa con quella della democrazia come forma di governo, «infeuda la sua religione ad un partito politico»; mentre «l’avvento della democrazia universale non interessa l’azione della Chiesa nel mondo». Di più: il Sillon non si limita a considerare fuori della Chiesa chi non esprime una preferenza esclusiva per la democrazia, ma considera obbligatoria l’adesione «ad un genere di democrazia le cui dottrine sono errate», cioè il tipo di democrazia uscito dalla Rivoluzione francese e fondato sull’illuminismo.

La Chiesa non condanna la preferenza per la democrazia, ma distingue fra diversi possibili tipi di democrazia, alcuni dei quali – come quello preferito dal Sillon – sono inaccettabili. Il Sillon, invece, accecato dal suo democratismo a senso unico, non si accorge neppure del carattere anticristiano della democrazia francese contemporanea, e di fronte alle leggi esplicitamente anticattoliche, che attaccano la famiglia e la Chiesa, i suoi membri impegnati in politica non reagiscono.

Di fronte «alla Chiesa violentata» il movimento «incrocia le braccia», affermando capziosamente che «in ogni membro del Sillon vi sono due uomini: l’individuo, che è cattolico e il membro del Sillon, l’uomo d’azione, che è neutro». Si tratta di una distinzione che farà molta strada nel nostro secolo, fra quegli uomini politici che diranno per esempio: come individuo sono cattolico, e rifiuto il divorzio oppure l’aborto, come politico non posso certo far cadere un governo per questi problemi.

3.3 Nella sua storia il Sillon iniziò con il proporre una democrazia cattolica, con la formula: «la democrazia sarà cattolica o non sarà». Ma sostituì poi la formula con un’altra, «la democrazia non sarà anticattolica» («non più d’altronde che antigiudaica o antibuddista», nota con spirito S. Pio X): le due formule non sono affatto equivalenti. Venne allora costituito un nuovo movimento, chiamato “Sillon più grande” (di cui l’originario Sillon avrebbe dovuto essere il nucleo), che avrebbe dovuto riunire tutti i fautori della democrazia, «cattolici, protestanti o liberi pensatori».

Programma pericoloso, perché «la riforma della civiltà è opera innanzitutto religiosa; poiché non vi è vera civiltà senza civiltà morale, e non vi è vera civiltà morale senza vera religione: è una verità dimostrata ed è un fatto storico». E tanto più pericoloso perché il “Sillon più grande” impegna i cattolici che ne fanno parte a non fare proselitismo tra i loro compagni di movimento, anzi a «dimenticare ciò che li divide» e insistere su ciò che li unisce (un altro slogan che farà molta strada). Non ne potrà risultare, afferma S. Pio X , che «una rumorosa agitazione, sterile per il fine proposto, e che tornerà a profitto di agitatori di masse meno utopisti. Veramente si può dire che il Sillon, con l’occhio fisso ad una chimera, prepara il socialismo».

3.4 Ma, aggiunge il Pontefice, «temiamo che vi sia di peggio». Gli slogan che si vanno diffondendo nel Sillon, del tipo «Non si lavora per la Chiesa, si lavora per l’Umanità» e «il Sillon è una religione», evocano il rischio non solo di un errore di educazione e di metodo, ma di dottrina: un pericoloso scivolamento dalla religione cattolica a quella vaga «religione dell’umanità» laica preparata dalle «oscure officine» massoniche che noi, scrive S. Pio X, «conosciamo anche troppo bene».

I capi del Sillon, che «non temono di fare, fra Vangelo e rivoluzione blasfemi raffronti», rischiano di ridurre la loro associazione a «misero affluente» del grande fiume della Rivoluzione, di cui S. Pio X dà qui una celebre e profetica definizione: «il grande movimento di apostasia organizzato in ogni paese per stabilire ovunque una chiesa universale che non avrà né dogmi, né gerarchia né regole per lo spirito, né freni per le passioni e che, sotto pretesto di libertà e di dignità umana, ricondurrà nel mondo, se questo trionfo fosse possibile, il regno regale dell’inganno e della forza, l’oppressione dei deboli, di coloro che soffrono e che lavorano».

4 Condanna del Sillon e invito alla sottomissione

4.1 Il problema di fondo, nota S. Pio X, non riguarda soltanto un complesso di dottrine politiche o un metodo educativo, ma coinvolge l’idea stessa del Signore, il tipo di figura di Gesù Cristo a cui ci si inspira. Il Sillon trascura in Gesù Cristo la divinità, l’autorità, la legge, la croce, presentando un Cristo pacifista più che pacifico, umanitario più che umano, tollerante nono solo con gli erranti ma con l’errore. Cristo non ha promesso la felicità perfetta in terra, ma ha indicato per una «felicità possibile» la strada dell’obbedienza alla sua legge, del sacrificio, della croce.

La «regale via della Croce» e il rapporto necessario con il Cristo autorevole attraverso l’autorità della Chiesa sono «insegnamenti che a torto si applicherebbero solo alla vita individuale in vista della salvezza eterna; sono insegnamenti eminentemente sociali che ci mostrano in Nostro Signore Gesù Cristo ben altra cosa che un umanitarismo senza consistenza e senza autorità».

4.2 Non basta condannare le deviazioni. Occorre anzitutto che nasca un’azione sociale e politica dei cattolici che prenda le mosse dall’autentica figura di Gesù Cristo, dalla dottrina enunciata dal magistero, ma anche da una lettura della storia della chiesa e della civiltà che mostri come «le questioni sociali e la scienza sociale non sono nate ieri» e anno già trovato in passato linee per una valida soluzione: i «veri operai della restaurazione sociale… i veri amici del popolo non sono né rivoluzionari, né innovatori, ma tradizionalisti».

4.3 Quanto al Sillon i suoi capi devono dimettersi, la sua struttura come organizzazione nazionale deve essere sciolta, i membri devono mettersi a disposizione dei vescovi per ricostruire – senza rinunciare alle proprie preferenze democratiche, «purificate da tutto ciò che non è conforme alla dottrina della Chiesa» – “Sillons cattolici” su scala diocesana, «per ora» indipendenti gli uni dagli altri, di cui comunque non potranno fare parte i sacerdoti.

Questi ordini di S. Pio X saranno ubbiditi: almeno in foro esterno, nella grande maggioranza, i capi e i membri del Sillon daranno al Pontefice una prova di obbedienza e dimostreranno di voler rimanere cattolici. Il grande interesse che la lettera Notre charge apostolique presenta ancora oggi, e anche per i nostri tempi, non consiste tuttavia tanto nello specifico riferimento al Sillon, un movimento morto ormai da tanti anni, ma nel fatto che attraverso la vicenda del Sillon il documento fornisce una magistrale descrizione della “democrazia cristiana” intesa come ideologia e del modernismo sociale, fenomeni – questi – tutt’altro che morti e che, dopo il Sillon, saranno anzi ripresi da uomini forse più astuti nel mascherare le loro vere intenzioni, e certamente meno ubbidienti e meno scrupolosi.