L’hidalgo senza paura

Il Foglio 30 giugno 2005

Il Cav. espone il petto e si rilancia nella corsa: bene, ma per fare che cosa?

La nostra opinione su Berlusconi, dopo la sua legislatura di governo e a oltre dieci anni dalla entrata in politica, la conoscete. Ha compiuto la sua missione, con molti errori e con molto onore. Non siamo delusi da lui, come clienti di Vanna Marchi e del mago Do Nascimiento.

Sapevamo che era un uomo privato, un imprenditore milanese, una folle anomalia prodotta da circostanze eccezionali; sapevamo che il conflitto di interessi era il sale e l’energetico della sua avventura politica, e quando vinse nel duemilauno gli demmo il consiglio di diventare un po’ più povero o appena meno ricco allo scopo di emergere come statista, uno dei suggerimenti meno ascoltati nella storia universale, Weltgeschichte, dei consigli tra amici; credevamo tuttavia che valesse la pena sostenerlo perché, in mancanza di alternative serie, si poteva sempre contare sull’eterogenesi dei fini, e buscando l’oriente ci saremmo ritrovati in occidente, il che è accaduto con una nuova faccia e migliore del sistema politico italiano e con scelte strategiche di cui la storia darà al Cav. e ai suoi Sancho Panza riconoscimento generoso, in particolare dopo l’11 settembre.

Però, senza nemmeno una punta di delusione, registriamo che la missione è compiuta e che, specie dopo il distratto rifiuto di intercettare il mutamento di mentalità e di cultura segnalato clamorosamente dal referendum sulla bioetica, il Cav. non ha più niente da dire se non che i comunisti l’hanno sculacciato da piccolo e che bisogna impedire che l’Italia cada nelle mani di questa sinistra. Un po’ poco, ci pare, nonostante lo 0,9 di simpatia riscosso da Romano Prodi tra i seguaci dell’Unione ci sembri perfino esagerato.

Il Cav. non è di questo avviso. Dopo crisi e tormenti, balzi e balzelloni post elettorali, dopo aver digerito la “crisi ripugnante”, ora Berlusconi ridiventa un hidalgo, e si lancia a petto nudo contro i mulini elettorali del 2006, sicuro di vincere con l’aiuto della volontà, di alleati improvvisamente tornati“cordiali”, e dei soliti sondaggi. Volere è potere, il progetto è in sé encomiabile, lo spirito e il carattere non sono acqua. Però ci resta una curiosità insoddisfatta: vincere per fare che cosa?

La Prestigiacomo sarà capacissima di rimettersi a recitare dal palco azzurro il “credo” o la “carta dei valori”, e una buona campagna elettorale valorizzerà senz’altro quel non poco che è stato fatto e darà ragione di quel non poco che è andato a schifio, ma ci vorrebbe forse un segnale, un progettino, un’ideuzza capaci di dimostrare, se non che l’Italia ha ancora bisogno di Berlusconi, almeno che Berlusconi ha ancora bisogno di lei, per fare politica e realizzare qualcosa. Che cosa?ì