Al Jazeera la tv degli integralisti islamici

Aljazeera

Abstract: Al Jazeera la tv degli integralisti islamici. nata nel 1996 con una identità liberale per tre anni l’emittente era l’unica nel mondo arabo che osava ospitare delle personalità israeliane. Proprio per allontanare il sospetto di simpatie filo-israeliane, le autorità qatarine cominciarono a favorire l’assunzione di giornalisti palestinesi lasciando loro piena libertà d’azione . Adesso  i redattori sono legati ad Hamas e altre organizzazioni fondamentaliste

Pubblicato su Il Corriere della Sera del 4 maggio  2004

«Vi racconto com’è cambiata Al Jazira»

 Parla Munir Mawari, giornalista yemenita che ha lavorato all’emittente araba dal 2000 al 2003

di Magdi Allam

Perché i sequestratori dei nostri tre connazionali in Iraq hanno scelto la televisione araba Al Jazira per diffondere il terzo comunicato che di fatto ha bloccato il rilascio che sembrava imminente? C’è una differenza sul piano politico e delle conseguenze concrete rispetto all’altra emittente, Al Arabiya , impiegata per trasmettere i primi due comunicati? Finora gli osservatori esterni hanno potuto registrare il dato di fatto che la più nota rete di sole news del mondo arabo si presta a fungere da megafono di Osama Bin Laden. Ma è grazie alla testimonianza di Munir Mawari, un giornalista yemenita che vi ha lavorato per tre anni, dal 2000 al 2003, che ora possiamo comprendere come e perché Al Jazira sia un vero e proprio apparato mediatico dell’integralismo e dell’estremismo islamico: «Posso dire con certezza che tra il 50 e il 70 per cento dei giornalisti e dei funzionari amministrativi di Al Jazira sono membri a pieno titolo o simpatizzanti di gruppi fondamentalisti islamici».

Nel suo intervento al convegno «Lumi dall’islam contro il fondamentalismo», organizzato a Bruxelles dall’Istituto italiano di cultura e dalla Fondazione Corriere della Sera, Mawari si era spinto al punto da sostenere che «il minimo che si possa dire è che ci sia un coinvolgimento spirituale dei giornalisti di Al Jazira nelle stragi di innocenti». Nell’intervista che ci ha concesso subito dopo in un salone della sede del Parlamento Europeo, spiega: «In redazione si scherzava su alcuni colleghi legati a Hamas e agli estremisti islamici. Non sto parlando di giornalisti semplici. Bensì di capi redattori. Li guardavamo mentre lavoravano e dicevamo che stavano preparando una “breaking news”, una notizia dell’ultima ora, su un attentato terroristico che si sarebbe verificato dopo qualche ora. E che loro disponevano di tutte le informazioni. Non dovevano far altro che attendere per aggiungere il numero delle vittime. Lo dicevamo perché erano intimamente legati a Hamas e alla Jihad islamica».

Eppure, sottolinea Mawari, Al Jazira era nata nel 1996 con una identità liberale: «Per tre anni l’emittente era l’unica nel mondo arabo che osava ospitare delle personalità israeliane. Proprio per allontanare il sospetto di simpatie filo-israeliane, le autorità qatarine cominciarono a favorire l’assunzione di giornalisti palestinesi lasciando loro piena libertà d’azione. Il giornalista palestinese quando si occupa della propria causa lo fa in modo emotivamente coinvolto».

Ebbene, prosegue Mawari, «questa emotività esplose con l’inizio della seconda Intifada nel settembre 2000. Nei primi tre giorni, il palestinese ucciso veniva definito “morto” al pari dell’israeliano ucciso. Ma, all’improvviso, un gruppo di giornalisti e impiegati protestò. Fu convocato il Consiglio di amministrazione e fu deciso che i palestinesi, vivi o ammazzati, sarebbero stati definiti fedayin , “coloro che sacrificano la propria vita per la pace”. E in una fase successiva fu deciso di ribattezzare le vittime palestinesi shahid , martiri, sia che fossero autori di attentati suicidi o uccisi negli scontri con gli israeliani. Il direttore del sito on line, Mohammad Daoud, un palestinese, ci disse: “Noi non possiamo considerarci neutrali nel conflitto con Israele”. Da allora Al Jazira non è mai più stata neutrale. Ed è così che è diventata un media d’opinione anziché di informazione. La verità è la grande sconfitta. Perché vi prevale un’unica opinione».

Mawari afferma che l’involuzione islamica di Al Jazira è stata un processo inarrestabile: «Con l’evoluzione dell’Intifada è aumentato il numero di giornalisti e funzionari amministrativi legati a gruppi islamici. La maggioranza dei palestinesi sono membri di Hamas. La gran parte degli egiziani sono membri dei Fratelli Musulmani. Molti di loro hanno vissuto in Afghanistan e Pakistan. La percentuale dei liberali è minima, ininfluente. Alla fine i palestinesi sono riusciti a mettere le mani su tutte le leve di comando di Al Jazira . Il direttore generale, Waddah Khanfar, è un palestinese. Il direttore giornalistico, Ahmed el-Sheikh, è un palestinese. Il direttore della produzione, Ahmed al-Shouly, è un palestinese. La gran parte dei giornalisti, dei tecnici e degli addetti alla produzione sono palestinesi».

Più volte ci siamo chiesti come sia possibile che il Qatar, alleato dell’Occidente, simpatizzi al tempo stesso con Bin Laden: «L’emiro deve tener conto degli equilibri interni – spiega Mawari -. Dal momento che il Qatar ospita la maggiore base militare americana del Medio Oriente, egli ha ritenuto di dover controbilanciare la presenza americana ospitando Al Qaeda, in arabo La Base, quella di Bin Laden». La sua conclusione è netta: «Mi sembra chiaro che Bin Laden ha scelto Al Jazira perché vi ha constatato una sincera simpatia nei confronti delle sue idee. Oggi in Iraq Al Jazira incita alla violenza e sostiene la sedicente resistenza irachena. Non si tratta di resistenza. E’ terrorismo. E’ evidente che la linea di Al Jazira è di non attenersi ai fatti, ma di dar sfogo alla propria emotività»

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