Introduzione alle nuove religioni (parte I)

Questi appunti sono la trascrizione delle lezioni tenute alla
Scuola di Educazione Civile
il 26 ottobre 1995 sul tema:

Introduzione alle Nuove Religioni

nuove_religioni

di Massimo Martinucci

“Nuove Religioni”, un inquadramento del fenomeno, una sua classificazione, una premessa che cercherà di fare stato della situazione attuale e soprattutto delle ragioni storiche, sociologiche, psicologiche che hanno portato alla situazione attuale per quanto riguarda appunto il nostro tema.Innanzitutto occorre, premessa alla premessa, affrontare la questione terminologica. Questione già questa complessa e che ha dato origine a discussioni a non finire tra gli studiosi e a un nutrito dibattito anche tra gli esperti del settore appartenenti sia alle chiese tradizionali che alle stesse nuove religioni. Perché tutte queste dispute?

Ho chiamato il mio corso Introduzione al tema “Nuove Religioni”, e questo aggettivo, nuove, richiama immediatamente il fatto che ci occuperemo di movimenti religiosi che sono nati recentemente oppure che hanno in sé degli elementi di novità, ma già questo termine non è del tutto convincente, perché immediatamente nasce la domanda «recentemente quanto?» oppure «novità rispetto a che cosa?». Per esempio: sono le varie forme di quello che noi chiamiamo Protestantesimo sufficientemente recenti (e quali di queste?) o abbastanza vecchie (e quali altre?) per essere considerate una religione tradizionale oppure una nuova religione?

C’è da dire che specificamente su questo gli studiosi sembrano essere tutti d’accordo, e riconoscono alle denominazioni nate in seguito alla Riforma Protestante lo status di religioni tradizionali – e infatti non ci occuperemo di protestantesimo in questo corso – ma la domanda era lecita, tanto è vero che in Giappone si è dovuto procedere ad una ulteriore specificazione per distinguere i movimenti recenti da quelli recentissimi, e così si parla di “nuove religioni” -shin-shukyo, nate nell’Ottocento – e di “nuove religioni nuove” – shin-shin-shukyo, nate negli anni trenta del nostro secolo o dopo la seconda guerra mondiale-.

Il termine “nuovo”, infatti, invecchia in fretta, e una cosa chiamata nuova oggi, tra qualche anno, o qualche secolo, potrà essere difficilmente chiamata così. Fatto sta che le espressioni “nuova religione” e “nuovo movimento religioso” sembrano, nonostante le difficoltà di cui ho fatto cenno, i più adatti a definire queste realtà. Ci sono però altri termini che vengono correntemente usati: setta, culto, denominazione, ed altri ancora, non escluso naturalmente il termine chiesa.

Non sembri che queste distinzioni siano pura esercitazione accademica: se i sociologi della religione e i teologi si preoccupano di distinguere bene tutte queste espressioni ci sono validissimi motivi, per esempio perché usare un termine o l’altro può avere una grande importanza nell’orientare l’ascoltatore, quando si parla di questo o quel gruppo. Supponete di sentire alla televisione la notizia di un incontro tra il “santone di una oscura setta” e il “responsabile di una pacifica comunità religiosa”.

E’ evidente come il primo sia presentato negativamente e il secondo invece in modo positivo da chi vi dà la notizia, e magari la setta è oscura solo perché sconosciuta e poco appariscente, e i suoi membri (ma verrebbero presentati come adepti, che è una parola più… oscura) non hanno mai fatto male ad una mosca, mentre la pacifica comunità può darsi che non sia altro che una organizzazione che serve a spillare pacificamente denaro ai creduloni che le si rivolgono.

Per la stampa e per noi persone normali, utenti dei mass media, infatti, un gruppo percepito come “diverso” o “ostile” verrà chiamato “setta”, mentre un gruppo percepito come “buono” o “legittimo” verrà chiamato “chiesa” o “comunità”.

Per questo, nel linguaggio corrente di ciascuna denominazione cristiana (rimaniamo per il momento nell’ambito cristiano), un tempo si utilizzava senza troppe preoccupazioni il termine “setta” per designare tutte le altre confessioni religiose, riservando il termine “chiesa” solo per sé. Ma la sociologia della religione si preoccupa invece di definire in termini obiettivi la differenza fra “chiese” e “sette”, e sono nate molte classificazioni, anche se nessuna veramente convincente.

Ricordo ad esempio, tra le più seguite, la distinzione di un teologo protestante, Ernst Troeltsch, che distingue tre tipi: il tipo-chiesa, definito come un gruppo religioso in armonia con la società circostante, il tipo-setta, un gruppo religioso che contesta la società circostante, e il tipo-mistico, un gruppo religioso che si disinteressa sostanzialmente della società e concentra la sua attenzione nell’autoperfezionamento dei suoi membri.

Ma i movimenti religiosi subiscono nel tempo delle modificazioni, oppure si presentano diversamente in luoghi diversi, e così queste categorie, che sono tuttora utilizzate in molti manuali di sociologia della religione, appaiono però oggi inadeguate.

Infatti nuove religioni che un tempo erano da considerarsi senza dubbio “sette” secondo questa classificazione (cioè gruppi che contestano la società circostante), si sono andati integrando nella società, e così ci troviamo di fronte a nuovi movimenti che magari in una città sono da considerare “setta” e nella città vicina “chiesa”. Macroscopico il caso dei Mormoni, che a Salt Lake City, nello Utah, costituiscono la maggioranza della popolazione, mentre nel resto del mondo sono una sparuta minoranza niente affatto integrata.

Mi chiedo quindi se sia corretto operare una classificazione che non tenga conto per niente dell’insieme delle credenze, della dottrina di un dato gruppo e che si basi invece esclusivamente sul rapporto che questo gruppo instaura con la società circostante, vale a dire segua meri criteri sociologici.

Queste difficoltà di inquadramento hanno fatto nascere altre proposte terminologiche, ed alla classificazione di Ernst Troeltsch hanno fatto seguito altre, la più nota delle quali però, essendo proposta da due sociologi, ha gli stessi limiti: si tratta della classificazione redatta dagli autori del famoso volume The Future of Religion, del 1985, Rodney Stark e William Sims Bainbridge. Stark e Bainbridge operano una grande distinzione in due gruppi non comprendendo le chiese tradizionali, ma solo le nuove religioni, e seguono il criterio di quanto queste siano “devianti” nei confronti della tradizione dominante.

Allora abbiamo le “sette”, gruppi religiosi devianti all’interno di una tradizione non deviante, e i “culti”, gruppi religiosi devianti all’interno di una tradizione anch’essa deviante. Per esemplificare, sarebbero da considerare come “setta” i Testimoni di Geova, che adottano tutto sommato punti di riferimento di una tradizione cristiana, pur essendo considerati devianti dagli altri cristiani; sarebbero da considerare “culti” invece ad esempio gli Hare Krishna o gli “Arancioni”, perché i loro riferimenti e i loro simboli, tratti dalla tradizione orientale, sono percepiti come esotici ed estranei dalla società circostante. Questi esempi naturalmente valgono per l’Occidente, perché in India sarebbe esattamente l’opposto.

I teologi e le Chiese cristiane maggioritarie, dal canto loro, si sono preoccupati più nel cercare di capire quali di questi gruppi possono far parte di un’area comune cristiana (e quindi meritare l’appellativo di “chiesa”), e quali invece non possono in alcun modo essere definiti cristiani, anche se a volte “di origine cristiana” (e quindi essere classificati come “sette”).

Ma anche qui i criteri per una definizione sono tanti quanti gli studiosi che li propongono; così in anni recenti sia i sociologi della religione che molti studiosi delle Chiese maggioritarie, in particolar modo della Chiesa Cattolica, hanno suggerito di abbandonare del tutto termini come “sette” o “culti”, per il semplice motivo che vengono percepiti come offensivi e denigratori, preferendo utilizzare invece espressioni come “nuove religioni” o “nuovi movimenti religiosi”, rinunciando, con questi termini, a dare loro implicitamente e preventivamente una collocazione.

In pratica però, in Italia e in genere in Occidente, con il termine “chiesa” si intende una religione tradizionale: la Cattolica, le grandi denominazioni protestanti, l’Islam. Con il termine “setta” di solito si intende un nuovo movimento religioso di origine cristiana e con “culto” invece un nuovo movimento religioso di origine non cristiana, quindi, in pratica, le religioni di derivazione orientale.

Questo, quando viene fatto non caricando i termini con significati dispregiativi o denigratori, può già essere utile per abbozzare un tentativo di classificazione non di tipo sociologico ma che tenga invece conto del contenuto dottrinale dei movimenti religiosi, indipendentemente dal contesto sociale circostante.

Superato dunque questo inciampo terminologico, quasi spontaneamente si presentano questi due grandi gruppi di nuovi movimenti religiosi: quello formato dalle cosiddette “sette”, ma che io chiamerò “nuovi movimenti religiosi di origine cristiana”, e quello formato dai cosiddetti “culti”, vale a dire i “nuovi movimenti religiosi di origine orientale”. Ma non tutte le realtà presenti nel vastissimo panorama della nuova religiosità possono essere inquadrate in questi due gruppi.

Ci sono infatti movimenti che non sono di derivazione né cristiana né orientale: in alcuni di essi l’accento viene posto sull’autoperfezionamento e sul “potenziale umano” – e ci troviamo di fronte ad un terzo gruppo -. Ce ne sono poi altri che privilegiano un rapporto con il sacro diverso dalla religione come viene comunemente intesa: in questo caso troviamo, in un ulteriore quarto gruppo, elementi di “New Age”, o forme di magia e di spiritismo; allora è lecito chiedersi se siamo di fronte a – seppure nuovi – movimenti ancora denominabili “religiosi” o non si passi invece in quell’altro “universo parallelo” rappresentato dai “nuovi movimenti magici”.

In questo abbozzo di classificazione in quattro grandi gruppi, basata su criteri di contenuto dottrinale, osserviamo come, passando dal primo – movimenti di origine cristiana -, al secondo – di origine orientale – , al terzo – movimenti del potenziale umano – e infine al quarto – movimenti con elementi magici – si affievolisca progressivamente in essi il concetto che noi abbiamo comunemente di religione.

Se per il primo gruppo infatti non abbiamo problemi a riconoscere il carattere di religione a chi si ispira al cristianesimo, anche se ha modificato in molti punti la sua dottrina, già con il secondo gruppo può venire qualche dubbio, se si pensa che il buddhismo, per esempio, è considerato più una filosofia che non una religione; allo stesso modo il caposaldo dei movimenti di origine orientale, – ma presente anche in altri movimenti non del secondo gruppo – e cioè la dottrina della reincarnazione, non è considerata una dottrina religiosa, ma un’idea filosofica.

Se poi passiamo al terzo gruppo, che insiste sulle potenzialità dell’uomo mettendo in secondo piano l’intervento divino, e al quarto gruppo, che addirittura lo ignora completamente rivolgendosi a pratiche che di religioso non hanno più nulla, vediamo che ci siamo allontanati completamente dall’idea che di solito si ha di una religione.

E sta qui infatti la chiave di lettura e di interpretazione che ci permette di districarci nel complicatissimo campo della nuova religiosità organizzata nei movimenti religiosi alternativi. La chiave ci è offerta proprio da questa classificazione in quattro gruppi, che è stata elaborata sulla base di criteri storici e teologici da Massimo Introvigne, di Alleanza Cattolica, direttore del CESNUR, il Centro Studi sulle Nuove Religioni, che è uno dei massimi esperti nel mondo su Nuova religiosità, Magia e Satanismo.

Questa classificazione è attualmente la più accreditata, ed è la più utile, soprattutto per la mentalità occidentale, per orizzontarsi come dicevo in questa intricata foresta. Massimo Introvigne preliminarmente nota come la tradizione occidentale e cristiana sia caratterizzata da quattro temi centrali: il senso religioso, come modo tipicamente occidentale di porre la domanda sulle origini e sul destino dell’uomo e del mondo; Dio, considerato come l’unica risposta adeguata a questa domanda; Gesù Cristo, mediatore fra Dio e gli uomini; e la Chiesa, come luogo in cui Gesù Cristo si fa continuamente presente e incontrabile nella storia.

Per i cattolici, evidentemente, questo schema ha valore di verità teologica; ma anche il sociologo e lo storico non cattolici si trovano obbligati a riconoscerli come elementi che hanno connotato la visione del mondo occidentale per molti secoli. Da ciò ne consegue che lo schema stesso, e la classificazione che ne deriva, che vedremo sùbito, non ha solo valore storico e teologico, ma anche sociologico.

Inoltre questa classificazione dà ragione anche dell’aggettivo nuova usato nei confronti di una religione alternativa; ci chiedevamo infatti poco fa: in che senso nuova? Quando si può considerare nuova? Nel momento in cui ci si trovi di fronte ad una religione che rifiuta uno o più di questi elementi, appare legittimo usare l’aggettivo nuova, perché nuova rispetto a tutta la tradizione precedente, nuova non solo in termini cronologici, di successione temporale, ma più propriamente di contenuto.

Infatti si tratta proprio di questo: di un maggiore o minore allontanamento di quei princìpi-cardine che hanno retto la società occidentale per secoli. Andando dunque ad esaminare i quattro gruppi già prima descritti per sommi capi, e interpretandoli alla luce dei quattro elementi caratterizzanti la tradizione cristiana ed occidentale, ovvero il senso religioso, Dio, Gesù Cristo, la Chiesa, ci accorgiamo di trovare in ciascuno dei gruppi un progressivo allontanamento da questi stessi princìpi, e una negazione, un rifiuto di ciascuno di essi, partendo dall’ultimo, la Chiesa, per arrivare fino al primo, il senso religioso, potendo abbinare ciascun gruppo a ciascun principio.

Il primo gruppo, quello dei nuovi movimenti religiosi di origine cristiana, rifiuta, come ho detto, il quarto di questi elementi caratterizzanti – la Chiesa -, secondo la celebre formula «Cristo sì, Chiesa no». Si tratta dei nuovi movimenti religiosi che nascono dalla cosiddetta Riforma radicale, che non si accontentano della Riforma protestante, ritenendo che la Chiesa fosse talmente corrotta da non essere più possibile riformarla, ma soltanto rifondarla.

Da questo ceppo nascono tutti quei nuovi movimenti religiosi, e sono veramente moltissimi, che dagli anabattisti come i Mennoniti, Hutteriti, Amish, Quaccheri, eccetera, passando per Scienza Cristiana, Mormoni, Avventisti del Settimo Giorno, Testimoni di Geova, Bambini di Dio, (solo per citarne qualcuno!), vanno fino alla Chiesa dell’Unificazione del Reverendo Moon e alle cosiddette Piccole Chiese.

Il passaggio successivo, in questo itinerario, dopo la negazione della Chiesa, è la negazione di Gesù Cristo: dopo «Cristo sì, Chiesa no», abbiamo un secondo gruppo che riconosciamo nella formula «Dio sì, Cristo no». Il rifiuto del cristianesimo – che incomincia a manifestarsi con l’Illuminismo e la Rivoluzione francese – porta a riscoprire culti dell’antichità pagana, reinventati in modo spesso fantasioso; ma ancora più spesso porta all’incontro con le religioni orientali, anch’esse quasi sempre adattate in qualche modo al gusto occidentale, tanto da diventare, così trasformate, delle vere e proprie nuove religioni di origine orientale, che, ripeto, nascono dal rifiuto successivo della Chiesa e di Gesù Cristo.

In questo secondo gruppo, anche questo nutritissimo, riconosciamo facilmente, tra le altre, nuove religioni come gli Hare Khrishna, Aurobindo, Sai Baba, le nuove religioni giapponesi di origine buddhista come la Soka Gakkai, quelle non buddhiste come Tenrikyo oppure Oomoto o Mahikari.

Procedendo ancora, troviamo il terzo gruppo di nuovi movimenti religiosi, quelli che, dopo il rifiuto della Chiesa e di Gesù Cristo, rifiutano anche la nozione che la tradizione occidentale ha di Dio stesso: abbiamo quindi la formula «Religione sì, Dio no». Rifiutando l’idea di Dio ovviamente viene messa in discussione il loro stesso essere religioni, ma essi lo rivendicano tenacemente, forse anche per non perdere le facilitazioni fiscali di cui le denominazioni religiose godono, specialmente negli States, e a cui invece le attività commerciali o semplicemente culturali non possono accedere.

In questi gruppi Dio non viene negato, ma si pone in un orizzonte lontano, in posizione defilata, mentre l’accento viene posto, come abbiamo visto, sull’autoperfezionamento e sul “potenziale umano”. In questo terzo gruppo spicca su tutti la Scientologia, fondata, curiosamente, da un famoso autore di libri di fantascienza, Ron Hubbard.

Il quarto e ultimo gruppo è quello che, non contento della negazione della Chiesa, di Gesù Cristo, di Dio, nega lo stesso senso religioso. E viene evocata una nuova formula: dopo «Cristo sì, Chiesa no», poi «Dio sì, Cristo no» e «Religione sì, Dio no», abbiamo finalmente «Sacro sì, Religione no», facendo cadere l’ultimo baluardo degli elementi della tradizione cristiana e occidentale, il senso religioso.

In questo caso parlare ancora di nuovi movimenti religiosi è in effetti un po’ azzardato e il termine diventa semplicemente convenzionale. Troviamo qui il New Age e tutto un mondo di idee, di tendenze, di aspirazioni dette “religiose” ma che in realtà recuperano rapporti con il sacro diversi dalla religione, come lo sciamanismo e la magia. Si trovano qui poi altri temi, come la reincarnazione e l’ecologia profonda, che però sono presenti anche in altri nuovi movimenti religiosi.

Vedete come quella semplice e quasi spontanea classificazione in quattro gruppi e quella osservazione secondo cui vi si notava un progressivo affievolirsi del concetto di religione vengono corroborati da una solida argomentazione storica e teologica.

Lo stesso percorso di classificazione dei nuovi movimenti religiosi – lo accenno solo brevemente – è valido anche per i movimenti magici, con la differenza che in questo caso non ci troviamo di fronte ad un atteggiamento di rifiuto, ma ad un tentativo di appropriazione. Intendo dire che la magia si differenzia dalla religione proprio per essere, più che un’esperienza del divino, un’esperienza del potere. Ci imbatteremo quindi in un primo tipo di movimenti magici che non rispondono alla formula “no alla Chiesa” ma piuttosto a “voglio essere la Chiesa”, e qui troviamo i movimenti di tipo iniziatico.

Poi, parallelamente ai movimenti religiosi che negavano il ruolo di Gesù Cristo, troviamo il corrispondente magico “voglio essere il Cristo”, cioè “voglio possedere i suoi poteri”, essenzialmente il potere di comandare agli spiriti: movimenti magici di tipo spiritista.

Avanzando ancora in quello che Massimo Introvigne chiama il “sentiero magico” in questa “foresta dei simboli”, troviamo il terzo gruppo, quello che pretende di appropriarsi dei poteri di Dio, gruppo formato dai movimenti magici di tipo cerimoniale. Il quarto gruppo corrisponde alla vera e propria voragine in cui cadono coloro che, spesso dopo anni e anni di tentativi infruttuosi, si rendono conto, guardandosi allo specchio, di non vedere Dio ma un pover’uomo, e non di rado con grossi problemi esistenziali e psicologici.

A questo punto, se non riescono a trovare la forza di tornare sui propri passi percorrendo la via della conversione, rovesciano la propria impossibilità di “essere Dio” in un odio metafisico per Dio e cadono nel satanismo, vero e proprio punto di arrivo, a cui per fortuna giungono pochi.

Quanto finora detto già ci dimostra come una possibile futura grande diffusione delle idee portate avanti dai nuovi movimenti religiosi possa veramente cambiare in modo sostanziale e profondo l’intera nostra civiltà anche agendo su quegli uomini, e donne, che intendono rimanere in qualche modo religiosi. L’attacco alla nostra civiltà non viene dunque solo da parte di coloro che intendono secolarizzare completamente la nostra società, già tanto secolarizzata, ma viene anche dal versante religioso.

Ecco quindi che ci accorgiamo che l’argomento ha una importanza straordinaria, e che non interessa soltanto la Chiesa Cattolica — o, in altre Nazioni, le Chiese maggioritarie — preoccupate della fuga di fedeli nelle più disparate direzioni, ma che investe tutta la cultura dei popoli, incidendo nella vita della società a tutti i livelli, e producendo dei mutamenti che spesso sono preoccupanti non esclusivamente a livello religioso.

Per un cattolico, naturalmente, la preoccupazione maggiore rimane quella della salvezza dell’anima del suo prossimo, e il suo atteggiamento di fronte alla persona che abbraccia un credo diverso o assolutamente contrastante con la dottrina cattolica sarà quello di tentare di ricondurlo alla fede cristiana perché ritiene che solo in questo modo potrà salvare la sua anima.

Ma non dobbiamo dimenticare nemmeno che l’avanzata di nuovi modelli di pensiero e di vita sono spesso un pericolo per la stessa convivenza civile, per i rapporti umani che si instaurano quotidianamente nella società, anche senza andare a scomodare i grandi cambiamenti che possono operare a livello di civiltà.

Come esempio è sufficiente ricordare l’atteggiamento dei Testimoni di Geova di fronte alle trasfusioni di sangue, il loro rifiuto a partecipare alle consultazioni politiche e amministrative, i grossi problemi che creano agli insegnanti delle scuole elementari (non si possono festeggiare in classe i compleanni, o organizzare delle recite in occasione del Natale); o l’atteggiamento di alcuni gruppi di mormoni che ammettono la poligamia, o ancora quello di movimenti di origine orientale che non ammettono pratiche sessuali, nemmeno all’interno del matrimonio, e quindi rendono impossibile la procreazione (questi ultimi a dire il vero sono fenomeni piuttosto marginali).

E evidente comunque come questi atteggiamenti, se diffusi nella società, renderebbero veramente problematica la convivenza civile. Per non parlare poi dei metodi della Scientologia, che offre una gran quantità di corsi ai suoi adepti a pagamento, ed il cui costo aumenta progressivamente con l’avanzare del grado di “perfezionamento”, a volte fino a ridurre in miseria i malcapitati.

Dunque la proliferazione dei nuovi movimenti religiosi e più in generale la diffusione della nuova religiosità è un fenomeno molto vasto e in grado di apportare dei significativi mutamenti anche sociali e culturali. Ebbene, nonostante questo, molti non se ne rendono conto, o tendono a minimizzarne la portata.

A questo proposito vengono evocate statistiche dei sociologi secondo cui gli aderenti a nuovi movimenti religiosi, in Italia, non supererebbero in ogni caso il 2 per cento della popolazione (si parla di una percentuale che va dall’1 al 2).Queste statistiche sono certamente affidabili, ma tengono conto esclusivamente della stretta appartenenza ai nuovi movimenti religiosi, senza considerare l’area ben più vasta di persone che subiscono la loro influenza.

In secondo luogo, è molto riduttivo prendere in considerazione solo l’Italia: è giusto invece allargare la prospettiva per rendersi conto che se — dal punto di vista anche solo della stretta appartenenza — l’Italia non è, o non è ancora, uno dei paesi più interessati dal fenomeno, il ricorso a statistiche come quelle citate dà, per altri paesi, risultati ben diversi.

E’ sufficiente un velocissimo giro di orizzonte per rendersi immediatamente conto di questo: in America Latina per esempio statistiche attendibili ci informano che circa ottomila cattolici al giorno, naturalmente non tutti praticanti, abbandonano la Chiesa cattolica per aderire a nuovi movimenti religiosi, in genere di origine protestante. La geografia religiosa di paesi come il Messico, il Cile e il Brasile si è modificata radicalmente a partire dagli anni Settanta: in queste nazioni i non cattolici sono passati dal 2 al 20 per cento, o anche al 30 per cento se si crede alle valutazioni che riguardano il Guatemala.

Come si vede, si tratta di una autentica mutazione che cambia i connotati di un’intero continente e che si riproduce in Asia, nelle Filippine, e in numerosi paesi africani, Nigeria in testa, dove si calcola esista un numero di denominazioni talmente elevato da arrivare a diecimila, la metà cioè di quante ne esistono in tutto il mondo.

Questa “mutazione”, a partire dalle nazioni più interessate al fenomeno, si va spargendo a poco a poco, con ritmi a volte lenti, a volte più veloci, e con il passare degli anni va assumendo una dimensione planetaria.

L’obiezione quindi secondo cui il fenomeno del proliferare dei nuovi movimenti religiosi non sia poi così rilevante denuncia una certa miopia: può darsi infatti che oggi e qui ci si possa permettere il lusso di sottovalutarlo, ma questo significherebbe arrivare impreparati al momento in cui si sarà costretti a fare i conti con esso. Per quanto riguarda poi l’altra obiezione, quella secondo cui si tratta, almeno in Italia, di minoranze ininfluenti, essa misconosce completamente alcuni princìpi fondamentali della dottrina dell’azione.

In molti casi, coloro che aderiscono ad un nuovo movimento religioso non sono semplici fedeli, ma veri e propri militanti: si pensi ai Testimoni di Geova, che non considerano nelle loro statistiche come membri del movimento tutti coloro che partecipano alle loro attività – oltre 400.000 persone in Italia -, ma solo coloro che si impegnano nel “servizio porta a porta”: 250.000 (un numero di tutto rispetto!) in Italia.

Italia, che è al primo posto al mondo (superando anche gli Stati Uniti di America) per numero di Testimoni di Geova in rapporto al numero degli abitanti. Ci si può chiedere quale movimento, o associazione possa contare oggi in Italia su 250.000 militanti, e ci si può chiedere se chi considera questo numero modesto ha riflettuto sul ruolo che nuclei di militanti ben addestrati e attivi possono svolgere nel modificare anche in modo profondo gli orientamenti dell’intero corpo sociale.

E allora non appaiono più così insignificanti nemmeno i 1.000 Hare Krishna impegnati in Italia a tempo pieno, o i neo-buddisti della Soka Gakkai che hanno una forte spinta al proselitismo, o i giovani Mormoni venuti dallo Utah che girano in coppia presentando ai passanti il loro Libro di Mormon.