Quel nuovo bisogno di sacro

simboli_religosi da “Il Sole 24 Ore” del 22 dicembre 1999

Da tempo ormai si assiste a una moltiplicazione di movimenti religiosi che rifiutano uno o più elementi della tradizione cristiana

di Massimo Introvigne

Nel 1967 l’antropologo Victor Turner pubblicò un famoso volume dal titolo La foresta di simboli. Questo volume non si occupava di nuovi movimenti religiosi, ma della religiosità tribale africana, che descriveva – appunto – tramite la metafora della foresta, costituita da alberi diversi con simboli a prima vista opposti ma non privi tra loro di collegamenti e di nessi che l’occhio dell’antropologo, a poco a poco, imparava a riconoscere.

Adeguata o meno per rappresentare una certa religiosità africana, l’immagine della foresta di simboli sembra particolarmente adatta per accostarsi al mondo dei nuovi movimenti religiosi contemporanei, certamente costituito da fenomeni che sembrano molto diversi e che tuttavia si può cercare di ricondurre a categorie comuni. Senza pretese di un inventario – per cui non basterebbe Linneo (si calcolano che esistano al mondo oltre diecimila nuovi movimenti religiosi o magici diversi) – la foresta delle nuove religioni può essere accostata tramite un’esplorazione che abbia caratteristiche di percorso o di sentiero.

Partiremo dall’esterno della foresta, cioè dal mondo che si situa chiaramente fuori della nuova religiosità. Questo mondo – per l’Occidente (che è l’area storico-geografica che vogliamo principalmente considerare, e che del resto ha influenzato le altre aree) – è quello della tradizione cristiana caratterizzato da quattro temi centrali: il senso religioso, come modo tipicamente occidentale di porre la domanda sulle origini e sul destino dell’uomo e del mondo; un Dio personale, considerato come l’unica risposta adeguata a questa domanda; un mediatore fra Dio e gli uomini, per i cristiani Gesù Cristo; e una Chiesa, come luogo in cui questa mediazione si fa continuamente presente e incontrabile nella storia.

Anche il sociologo (o lo storico) non cristiano può riconoscere che si tratta di elementi, a prescindere da ogni valutazione teologica, che hanno connotato la visione del mondo occidentale per molti secoli, e hanno esercitato un’influenza cruciale anche sulla cultura laica. In questo senso è legittimo parlare di nuovi movimenti religiosi, nuovi movimenti magici, nuove religioni – anche quando si tratta di fenomeni con radici antiche – intendendo l’aggettivo “nuovo” con un valore relazionale, con riferimento alla visione cristiana del mondo, per secoli prevalente in Occidente, di cui i gruppi “nuovi” rifiutano uno o più elementi.

Procedendo dai margini della foresta verso la zona più folta incontriamo anzitutto i gruppi che rifiutano la nozione di Chiesa secondo il noto slogan “Cristo sì, Chiesa no”. Notiamo subito che questo non è uno slogan dei padri storici della Riforma protestante e dei gruppi che da loro discendono direttamente (luterani, anglicani-episcopaliani, calvinisti-presbiteriani) o indirettamente (tramite movimenti “di risveglio” all’interno della tradizione protestante come i metodisti). “Cristo sì, Chiesa no” era invece lo slogan – già nel secolo XVI – di gruppi radicali che si opponevano ai padri storici della Riforma con scontri non soltanto teorici, tanto che si arrivò spesso al conflitto militare e allo spargimento di sangue.

Per i gruppi più radicali (come molte correnti anabattiste) la Chiesa era talmente corrotta che non era più possibile riformarla ma soltanto rifondarla, per cui la stessa espressione “Riforma” era impropria. Questo atteggiamento ecclesiologico contraddistingue una prima famiglia di alberi nella foresta della religiosità “nuova”. L’atteggiamento ecclesiologico può essere o meno accompagnato da innovazioni teologiche.

Se l’ecclesiologia insiste sulla discontinuità ma la teologia non presenta innovazioni radicali ci troviamo di fronte a quelli che possiamo chiamare “nuovi movimenti religiosi di origine protestante”. Il nucleo più importante è costituito dalle denominazioni pentecostali indipendenti o neo-pentecostali, talora piccole e nate intorno a dirigenze autoctone soprattutto in America Latina, in Asia e in Africa.

Questo mondo deve essere distinto da un altro, dove alla rottura ecclesiologica si accompagna anche una rottura teologica con l’inserimento di idee radicalmente diverse rispetto al protestantesimo storico (e naturalmente rispetto al cattolicesimo): in questi casi, possiamo parlare di “nuovi movimenti religiosi di origine cristiana”. In gruppi come i mormoni e i testimoni di Geova il cristianesimo è un retroterra da cui si muove inserendo nuove idee e nuove scritture, così come – è un’immagine che la studiosa americana Jan Shipps ha utilizzato per il mormonismo – il cristianesimo delle origini si era allontanato dall’ebraismo.

E’ per questo secondo gruppo di movimenti che è stata usata a lungo in ambito cristiano, almeno originariamente senza un intento necessariamente dispregiativo, l’espressione “sette” (anche se molti oggi – e io fra questi – suggeriscono di evitarla del tutto, per il carattere più polemico che scientifico che ha ormai assunto).

Un fenomeno recente è costituito, poi, dai nuovi movimenti religiosi che possiamo chiamare “di origine cattolica”, parte di un “cattolicesimo di frangia”: gruppi che si sono allontanati dalla Chiesa Cattolica seguendo una rivelazione privata che la Chiesa non ha riconosciuto, un profeta, un santone, ovvero – in senso ultra-conservatore oppure ultra-progressista – si sono allontanati dalla comunione con Roma.

Avanzando verso il centro della foresta, troviamo una seconda macchia di alberi. Un secondo gruppo di movimenti non si limita a rifiutare la nozione di Chiesa, ma nega anche (con modalità, peraltro, diverse dalle altre grandi religioni monoteistiche, l’islam e l’ebraismo) quell’altro elemento tipico della religiosità occidentale che attribuisce un ruolo cruciale alla figura di un mediatore fra Dio e gli uomini (“Dio sì, Cristo no”). Questo atteggiamento porta qualche volta a riscoprire culti dell’antichità pagana (egizi, greci, romani o celtici), ma più spesso porta all’incontro con le religioni orientali.

A partire dalla fondazione della Società Teosofica nel 1875 e dal Parlamento Mondiale delle Religioni celebrato a Chicago nel 1893 la presenza di occidentali entusiasti dell’Oriente non sfugge a dirigenti di movimenti indiani e giapponesi, che – anche come reazione organizzata alle missioni cristiane in Oriente – iniziano a promuovere vere e proprie “contro-missioni”.

Oggi i guru indiani (per non parlare degli occidentali che, dopo essersi formati in India, si sono auto-proclamati guru) e i maestri di tutte le tradizioni religiose orientali vecchie e nuove hanno dato origine a centinaia di nuovi movimenti religiosi in Occidente. L’espressione “nuovi movimenti religiosi”, anche in questo caso, non sembra impropria, perché – come molti studi hanno mostrato – anche quando si tratta di tradizioni orientali molto antiche (come è quella che sta alla base del movimento degli Hare Krishna), venendo in Occidente il messaggio si incultura e si modifica (nel caso degli Hare Krishna con interessanti ripercussioni anche nel loro paese di origine).

Si dice spesso che i nuovi movimenti religiosi di origine orientale sono in crisi. Ma gruppi nuovi sostituiscono quelli più antichi in declino: si pensi alla rapidissima crescita del Sahaja Yoga della maestra indiana, oggi residente in Italia, Sri Mataji Nirmala Devi. E, dove il fascino dell’India viene meno, sale spesso il fascino del Giappone, che si esprime sia in forme di origine antica (soprattutto, movimenti buddhisti di tradizione Nichiren e Zen), sia nella forma delle cosiddette “nuove religioni nuove” (shin-shin-shukyô) come Sûkyô Mahikari o Kofuku no Kagaku, presenti anche in Italia, di cui talora si parla poco ma che contano centinaia di migliaia quando non milioni di aderenti nel mondo.

Addentrandoci ancora nella foresta, incontriamo nuovi movimenti che rifiutano la nozione di un Dio personale, secondo la formula “religione sì, Dio no” (per cui non manca chi contesta per questi gruppi l’espressione di movimenti religiosi, che peraltro essi spesso rivendicano tenacemente). Si tratta dei movimenti del cosiddetto “potenziale umano” in cui Dio (con poche eccezioni) non viene tematicamente negato (così che non si può parlare di ateismo) ma rimane un remoto orizzonte senza incidenza con le attività quotidiane del gruppo, concentrate sull’auto-perfezionamento dell’uomo che dovrebbe sviluppare qualità straordinarie.

I movimenti del potenziale umano hanno una lunga – e spesso ignorata – preistoria a partire dall’Ottocento, ma sono esplosi dopo la Seconda guerra mondiale, soprattutto con il successo della Chiesa di Scientology. In questa stessa zona della foresta troviamo anche alberi di tipo leggermente diverso, costituiti dalle trascrizioni rituali e “liturgiche” delle ideologie: dai culti positivisti, fondati dal padre stesso del positivismo, Auguste Comte e ancora esistenti in Brasile, fino ai gruppi che ritualizzano temi della psicoanalisi (spesso con pratiche a sfondo sessuale) e al Tempio del Popolo di Jim Jones, responsabile del tragico suicidio della Guyana del 1978, che costituiva nei suoi ultimi sviluppi – a partire da una sorta di “teologia della liberazione”, elaborata nell’ambito della rispettata denominazione protestante americana dei Discepoli di Cristo (di cui Jones era pastore) – una pura e semplice trascrizione ritualizzata di un rigido marxismo.

Arrivati al centro della foresta anche la nozione classica di “religione” sparisce, sostituita da forme alternative di rapporto con il sacro (“sacro sì, religione no”). Qui parlare ancora di “nuovi movimenti religiosi” sembra una contraddizione, e l’etichetta diventa largamente convenzionale. In ogni caso è in questa parte più folta della foresta che troviamo il New Age contemporaneo, che non è un movimento – a cui ci si “iscriva” o si “appartenga” – ma una costellazione vaga di idee, di tendenze, di vaghe aspirazioni dette “religiose” che in realtà spesso recuperano rapporti con il sacro diversi dalla religione come lo sciamanismo o la magia.

Si può parlare propriamente di “nuovi movimenti magici” quando la visione del mondo prevalente non è più, appunto, religiosa ma magica. La magia è tradizionalmente considerata un’esperienza soprattutto individuale: ma, a partire dalla fine del Settecento, movimenti di tipo iniziatico ed esoterico si sono organizzati in forme simili a quelle dei nuovi movimenti religiosi e alcuni – ispirati alla tradizione dei Rosacroce, a una presunta e mitica prosecuzione segreta dell’attività dei Templari, alla rinascita della stregoneria che inizia in Inghilterra nel periodo tra le due guerre mondiali – contano oggi migliaia di seguaci.

I media si interessano più volentieri del satanismo, che tuttavia nella sua forma organizzata conta poche migliaia di aderenti nel mondo, mentre più numerosi (e pericolosi) sono i giovani e giovanissimi coinvolti in fenomeni imitativi di tipo non strutturato, ispirato da certe mode musicali o cinematografiche, dove il riferimento a Satana si mescola con la droga e con altre forme di devianza. Il riferimento al satanismo rischia di evocare immediatamente l’associazione fra le “sette” e la violenza, il pericolo, la criminalità.

Per non cadere in veri e propri “panici morali”, non fare di ogni erba un fascio e non lanciare improprie cacce alle streghe occorre però distinguere. Fra migliaia di nuovi movimenti religiosi attivi in Occidente, qualche decina si sono resi sistematicamente responsabili di atti illegali o violenti, talora gravissimi. In questi casi, un appello improprio alla libertà religiosa non può giustificare chi commette reati comuni, che vanno in ogni caso perseguiti. Diverso è l’atteggiamento di chi propone leggi “contro le sette”, con proposte spesso formulate in modo così generico da colpire potenzialmente qualunque minoranza che appaia impopolare o esotica, minacciando così la libertà religiosa di tutti.

CITAZIONI

“La grande maggioranza dei membri di nuovi movimenti religiosi traggono esperienze positive dalla loro appartenenza al gruppo. Essi hanno aderito a un’idea o a una dottrina che corrisponde ai loro bisogni personali. Nella maggior parte dei casi la loro appartenenza [a un movimento] ha durata limitata e la maggior parte di essi lascia il movimento dopo due anni. Tale abbandono non ha generalmente carattere drammatico, e le persone che si allontanano si sentono arricchite da una esperienza prevalentemente positiva (…).

La storia mostra tuttavia anche molti esempi di nuovi movimenti religiosi che entrano in conflitto con la maggioranza della comunità. Quello che potrebbe sembrare strano e deviante in un certo momento può risultare in un periodo successivo accettabile e non controverso. L’interazione tra società e movimenti sembra, col passare del tempo, calmare le acredini di entrambe le parti, così da permettere l’instaurazione di un dialogo basato sul mutuo rispetto. I gruppi che non seguono questo schema, continuando a vivere in isolamento, hanno un tempo di sopravvivenza abbastanza breve.

Si può quindi argomentare che tutti i movimenti dovrebbero avere la possibilità di agire liberamente, che questo porti alla loro fondazione o estinzione. D’altro canto non si può trascurare che durante questa transizione potrebbero esserci dei fenomeni che la società considera inaccettabili. Le persone adulte hanno tutto il diritto di credere a ciò che vogliono e di esprimere la loro fede nel modo scelto, sempre a patto che questo non rechi danno agli altri o violi i diritti e la libertà degli individui.” (In buona fede. Società e nuovi movimenti religiosi, Rapporto della Commissione governativa svedese sui nuovi movimenti religiosi, ottobre 1998)

“Probabilmente è vero che l’unica generalizzazione che si può fare a proposito delle nuove religioni è che, appunto, quando si parla di loro non si può mai generalizzare. L’unica cosa che hanno in comune è che qualcuno le ha messe nella categoria delle nuove religioni, o dei “culyi”, o delle “sette”, o come le si vogliano chiamare, e qualunque affermazione generale si voglia fare su di loro sarà facilmente confutata facendo riferimento ad almeno un caso particolare.

A differenza di molte delle sette emerse in Occidente nel diciannovesimo secolo (e forse da prima, fin dall’apparire del cristianesimo) l’ondata contemporanea di nuove religioni non è confinata alla tradizione giudeo-cristiana. Troviamo movimenti che derivano dal buddhismo, dall’induismo, dallo scintoismo, dall’islam, dal paganesimo, dalla neo-stregoneria e da un’ampia varietà di altre fonti e ideologie, fra cui la psicoanalisi, l’astrologia, la fantascienza, l’ufologia, le teorie del complotto, l’ambientalismo, il nazionalismo, il femminismo. (…)

Eppure, nonostante questa enorme varietà, la scienza sociale si sforza di trovare tra le nuove religioni ritmi e regolarità più o meno sistematiche (…)”. (Eileen Barker, “New Religions and New Religiosity”, in Eileen Barker e Margit Warburg (a cura di), New Religions and New Religiosity, Aarhus University Press, Aarhis e Oxford 1998, pp. 18-19)

Bibliografia sommaria

Informazioni di carattere enciclopedico sui nuovi movimenti religiosi si possono trovare sul sito Internet del CESNUR (http://www.cesnur.org), il cui indirizzo è Via Juvarra 20, 10122 Torino.

L’Università della Virginia mantiene su Internet una preziosa “The Religious Movements Page

Per una introduzione generale in lingua italiana cfr. Massimo Introvigne, Il sacro postmoderno. Chiesa, relativismo e nuova religiosità, Gribaudi, Milano 1996.

Una Enciclopedia delle religioni italiane, di cui Massimo Introvigne è, con altri, fra i curatori sarà pubblicata nel 2000 da Elle Di Ci, Leumann (Torino).

La stessa casa editrice pubblica la collana Religioni e movimenti (20 titoli già pubblicati finora, e altrettanti in preparazione), che presenta brevi monografie su nuovi movimenti e minoranze religiose in genere.