Il secolo "esoterico"

seduta_spiritica pubblicato su Il Secolo d’Italia
martedì 27 aprile 1999

L’altra faccia dell’Ottocento positivista

di Mario Bernardi Guardi

Nei giorni scorsi, al convegno “Il ritorno dello spiritismo”, organizzato a Torino dal Cesnur (il Centro Studi sulle Nuove Religioni, di cui è direttore Massimo Introvigne, è stato presentato il volume Lo spiritismo, di Michael W. Homer (Elledici, p.96, L. 10.000). Nel saggio di Homer non solo si parla della nascita , della tumultuosa crescita, della lenta crisi e poi della vigorosa resurrezione del “movimento” (o della setta? O della filosofia? o della “chiesa”?), ma anche delle vicende di alcuni illustri adepti. Come Sir Arthur Conan Doyle – si, proprio lui, il “papà” di Sherlok Holmes – e come Francesco Crispi – già, lo statista passato dall’idealismo garibaldineggiante al ferreo realismo bismarkiano.

I due, come ha ricordato Michele Brambilla (“Conan Doyle: lettere allo spiritista Crispi”, Corriere della Sera, 20 aprile), non solo apparteneva alla stessa “lobby dell’occulto”, ma furono in corrispondenza; e Crispi, nel 1895, insignì lo scrittore del titolo di Cavaliere della Corona d’Italia. Insomma, c’è da aggiungere un capitoletto alla suggestiva storia dei rapporti tra politica e magìa (da anni se ne occupa un “analista” politico appassionato di essoterismo come Giorgio galli. Si leggano “Hitler e il nazismo magico”, Rizzoli, 1993, e “La politica e i maghi” ivi 1995 ) così come c’è da investigare – e non poco – nella galassia neospiritualista.

Massimo Introvigne, in materia, è un esperto: ci limitiamo solo a ricordare “Il cappello del mago”, vera e propria mappa del neospiritualismo contemporaneo (SugarCo, 1990) e la “relazione” contenuta nel volumetto “Cattolici, sette, religioni”, curata dal Gris (Gruppo di Ricerca e di Informazione sulle Sette) e stampato nel ’91 per iniziativa del Cerchio (via Cairoli 85 – 47037 Rimini).

Per ritornare, poi, a Conan Doyle – positivista e occultista al tempo stesso, e tuttavia non immemore dell’educazione religiosa ricevuta presso i Gesuiti -, c’è da aggiungere che non solo credeva – e con fervore – agli spiriti, ma che era anche convinto dell’esistenza delle fate, al punto di dare il suo autorevole avallo a due fanciullone di Cottingley, nello Yorkshire, che, a riprova del loro incontro con le magiche creaturine, presentavano un discreto numero di fotografie.

L’”incontro ravvicinato” avvenne nel ’17, e, col peso della sua fama, Conan Doyle scese in campo, garantendo che era tutto vero. Invece non lo era, ma lui non fece in tempo a patire delusioni: morì infatti nel ’30; e la confessione delle due ex-fanciulle, tutt’altro che “innocenti”, venne un bel po’ di decenni dopo.

Peccato che il “papà” di Sherlok Holmes (mai “figlio” ridusse tanto in “schiavitù” il proprio “padre” come fece il geniale ma insopportabile investigatore; e mai “figlio” fu tanto detestato dal proprio “genitore”) avesse scritto – nel ’22 – un libro come “The coming of the Faires”, in lode e gloria di Frances ed Elsie e delle loro soprannaturali amicizie – fotografate – con disponibilissime signorine provviste di magica bacchetta.

Aggiungiamo che il libro di Conan Doyle è comparso in edizione italiana da SugarCo, or sono sette anni, col titolo “Il ritorno delle fate” e, manco a dirlo, con una bella introduzione di Michael Homer e Massimo Introvigne, in cui si fa la storia del Conan Doyle “esoterico”. Ma se il tutt’altro che “barbaro”, anzi, civilizzatissimo Conan, si fece zelante sacerdote dell’occulto, va detto che non fu il solo.

Lo spiritismo, infatti, non è un fenomeno socioculturale da liquidare con qualche battutaccia (tipo: «non va preso sotto “gambe”», con facile allusione a quelle dei tavoli “ballanti”), bensì da studiare, magari per rivelarne ambiguità, contraddittorietà e inconsistenza (si pensi a quel che hanno scritto in proposito René Guénon “L’errore dello spiritismo”, adesso riproposto dalla casa editrice Luni) e Julius Evola (Maschera e volto dello spiritualismo contemporaneo”, Mediterranee).

E studiandolo non si potranno non cogliere i suoi intrecci con la “modernità” («insieme scettica e magica», «razionalista e superstiziosa» (…) Non siamo più di fronte alle “sublimi” – anche nei loro demoniaci itinerari – avventure tra i “fantasmi”, tipiche della spiritualità romantica; non abbiamo più a che fare con i Walpole, gli Hoffman, i Poe, i Byron, gli Shelley.

Infatti, se lo “scapigliato” Igino Ugo Tarchetti con le sue “Leggende del castello nero” sta ancora a metà strada fra vecchia e nuova “sensibilità”, Luigi Capuana è “figlio” del positivismo, seguace dei teorici del naturalismo francese, “padre” riconosciuto del verismo italiano. Eppure, se si leggono racconti come “La evocatrice”, “Un vampiro”, “Forze occulte”, “La redenzione dei capolavori”, “Il busto”, ecc. (si veda l’analisi critica fatta da Monica Farneti, in “Il gioco del Maligno.

Il racconto fantastico nella letteratura italiana tra Otto e Novecento”, Vallecchi, 1988), ci si trova in presenza di un frequentatore di fantasmi di tutto rispetto (e bisognerebbe magari meglio esplorarne le “convinzioni”, ripescando certi suoi saggi come “Spiritismo?” e “Mondo occulto”, l’uno del 1884, l’altro del 1996).

Lo stesso vale per Remigio Zena, di cui va ricordato il verghiano “La bocca del lupo”, ma non vanno dimenticate le “Quattro storie dell’altro mondo” (Einaudi, 1977), dove l’Autore «veicola (…) le dottrine di Swedemborg e, più in generale, del misticismo romantico» (Farneti). Ma Swedemborg (1688-1772) è ricordato nel “Dizionario enciclopedico di parapsicologia e spiritismo” (Fabbri, 1984) come «commentatore nel senso recondito delle Sacre Scritture sotto la guida di entità soprasensibili con cui veniva in contatto», come «sicuramente dotato di facoltà paranormali», come “medium” capace di mettersi in contatto con lo spirito dei defunti ecc.

Se Zena, “scolaro” di Verga, volentieri percorreva itinerari misteriosi, anche il “maestro” non era alieno dal farlo. Lo scrittore siciliano, infatti, non è soltanto l’autore di romanzi realisticamente “impersonali” come “I Malavoglia” e “Mastro Don Gesualdo”; sue sono anche “Le storie del castello di Trezza” (Mondatori, 1979), ovviamente abitato da fantasmi ed annesse “fantastiche” curiosità. Analoghe fascinazioni irretiscono Arrigo Boito, Giovanni Faldella, Salvatore Di Giacomo, Edoardo calandra, incerti tra lo “sperimentalismo” linguistico e quello “visionario”, le “sirene” tardo-romantiche e la “verità” della vita quotidiana.

Come dimenticare, poi, il Fogazzaro di “Malombra” (Mondatori, 1982), con la sua inquieta e inquietante protagonista, convinta di essere la reincarnazione di un’antenata che il consorte aveva fatto morire in segregazione perché adultera? Anche qui bianche e insanguinate larve volteggiano, chiedendo vendetta.

Insomma, l’Ottocento delle «magnifiche sorti e progressive» porta al pascolo, con dichiarata “complicità”, fantasmi e fantasie, mentre gli “spiritisti” giocano “in notturna” con i loro danzanti tavolini. In attesa di dare il “testimone” al Novecento, capace di mille “variazioni sul tema” (si veda l’”Enciclopedia fantastica italiana”, a cura di Luca D’Arcangelo, introduzione di Fausto Gianfranceschi, Mondatori, 1993, che raccoglie racconti di Ada Negli, Luigi Pirandello, (…).