La vittoria (anti)referendaria per la nuova cultura politica dei cattolici

legge 40 referendumchiesa.espressonline.it 13 13 giugno 2005

Versione originale, più ampia, di un commento di Pietro De Marco ai risultati dei referendum, concentrato maggiormente sugli effetti interni al mondo cattolico, uscito in precedenza su “Avvenire” il 14 giugno 2005

Dopo un trentennio di latenza cattolica, forse di subalternità (contrastata ma effettiva) ad egemonie altrui e di marginalità nella sfera pubblica (mascherata nella nostra coscienza da ebbrezze elitarie e da illusioni di purificazione: “infine un cattolicesimo di minoranza!”), risarcite da un pontificato di geniale respiro e coraggio, abbiamo da poco ripreso coscienza del nostro ruolo pubblico. Ruolo politico pubblico cui non possiamo sottrarci, e che non può risolversi nella pratica quotidiana (che, in fondo, pubblica non è) della immersione in altri terreni, poiché la politica si manifesta veramente nell’essere capaci di responsabilità di indirizzo nella vita del paese.

Senza questo orizzonte la “politicità” cattolica (e ogni altra) si fa – e si è fatta spesso – declamatoria e moralistica, nella sostanza eterodipendente.Per esercitare responsabilità politica cattolica non mancavano né cultura né progetto; mancava (è mancata a lungo) convinzione e volontà. Anzi, la convinzione più influente e distruttiva è stata quella opposta: non abbiamo, si diceva, niente di peculiare da affermare come cattolici, a nessun livello della realtà storica; dobbiamo solo scegliere nelle/tra le politiche secolari, scegliere eventualmente secondo un problematico criterio di selezione della loro conformità ultima alla coscienza cristiana

Duplice errore. Anzitutto nel dimenticare che l’articolazione cattolica della fede avviene in una tessitura razionale aperta ai saperi pratici-politici e capace di fondarli. Errore, poi, nell’avere sottovalutato l’impianto antagonista al cristianesimo delle culture politiche razionali-mondane cui si dava fiducia. Non sono mancate, certo, resistenze interne a questa nostra deriva, e ad esse dobbiamo gratitudine. Ma in maniere diverse siamo stati incapaci a lungo di prendere in mano, da protagonisti, anzitutto la nostra stessa condotta pubblica, e su questo fondamento ritrovare una certezza di ruolo nella politica nazionale ed europea, non fungibile da altre forze o ideologie.

Tale volontà di ruolo si è finalmente manifestata in questi mesi, con tutta la faticosità di un parto, nella mobilitazione di opposizione al referendum. E coerentemente si è espressa come proposta di argomenti e fini razionali, di diritto naturale, non “di fede”. Appunto di questo sono capaci da secoli la Weltanschauung cattolica e i cristianesimi costruttori di civiltà.

È solo spiritualismo poco provveduto quello che ha portato i critici a stupirsi del fatto che non per fede (cioè entro quello ch’essi immaginano essere il ragionamento “teologico” o forse “mitico” del vero credente) ma con riferimento alle scienze la Chiesa parlasse di vita umana e di diritti dell’Innocente. Eppure la tradizione maestra del cristianesimo è questa: con teologia e diritto razionali il cristianesimo ha creato l’Occidente, non con l’esoterismo di mondi paralleli. La Rivelazione parla dell’unica realtà

E quella stessa volontà cattolica si è posta finalmente in termini politici, avendo individuato un avversario da cui non farsi umiliare (era a priori vincente, se non fosse subentrata la decisione di combattere) e che anzi andava sconfitto

Non vi è politica senza capacità di riconoscere le sfide ed affrontarle per vincere. Questa sfida era rivolta ad estendere una sorda egemonia residuale (sul costume, la socializzazione, gli istituti fondamentali, l’alta cultura), espellendo la comune morale cattolica da livelli istituzionali e normativi rilevanti per la vita del paese.

La risposta ha saputo prendere forma, sintomaticamente, su un suo terreno di elezione, quello dei fondamenti dell’antropologia dell’Occidente, fondamenti cristiani, di cui le culture cristiane sono naturali custodi. Cristiane ed anzi ebraico-cristiane; ma i mondi protestanti ed ebraici italiani sono ancora lontani dalla coscienza cattolica della posta in gioco.

La risposta ha preso forma assumendosi la responsabilità di costituire un fronte, di meritare al proprio fianco il consenso e l’apporto di intelligenze laiche di qualità, di indicare a tutti (è qui la funzione pubblica) il bene da proteggere, il valore da perseguire e, non ultimo, di adottare una risposta efficace, non meramente dimostrativa; come deve avvenire quando la posta in gioco è alta e la qualità della risposta è politica, cioè ordinata a contrastare, e se possibile a prevalere, con mezzi legittimi.

Alla ricerca di nuova presenza politica, la cultura cattolica deve apprendere dalla vittoria del doppio no che una cultura politica esiste quando si carica del coraggio di individuare l’avversario e di vincere il confronto con lui, per un fine che assolutamente lo richiede.