Sinodo famiglia, un filo lega Cameri a Toronto

sinodo-famiglia-2La Nuova Bussola quotidiana

30 giugno 2014

di Riccardo Cascioli

Sembrava quasi una bega di paese, un piccolo “scandalo” diocesano assurto alle cronache nazionali per il solito corto circuito mediatico. E invece la vicenda del parroco di Cameri, don Tarcisio Vicario, consegnato alla gogna mediatica dal suo vescovo monsignor Giulio Brambilla per aver tentato di spiegare ai propri parrocchiani perché non è possibile ammettere ai sacramenti i conviventi, sta diventando il simbolo della lotta che si prepara al prossimo Sinodo sulla famiglia.

Di ciò che è successo a Cameri abbiamo dato conto in un articolo nei giorni scorsi (clicca qui): don Tarcisio aveva semplicemente cercato di spiegare il Catechismo sostenendo che una convivenza implica il permanere in una situazione contraria alla legge di Dio, mentre dopo un peccato anche grave – fosse anche l’omicidio – ci si può riconciliare se veramente pentiti. Il vescovo di Novara non solo aveva preso le distanze e svergognato il suo prete, aveva anche preteso – in puro stile maoista – che firmasse una lettera di scuse da leggere nelle chiese.

Nei giorni successivi, ovviamente, su giornali e social media è stato tutto un “Dalli a don Tarcisio”, mentre il povero parroco era nel frattempo in viaggio in Irlanda per un pellegrinaggio programmato da tempo (magari è vero, ma siccome si dice sempre così qualche dubbio viene). Detto per inciso, ironia della sorte ha voluto che sabato 21 giugno andasse a celebrare messa a Cameri un prete – proveniente da altra diocesi – che poi si è scoperto essere ricattato per la partecipazione a festini gay: in questo caso il vescovo non ha fatto nemmeno una piega (sia detto per dovere di cronaca).

Ma la vicenda ha avuto una eco che è arrivata fino alla preparazione del prossimo Sinodo dei vescovi. Il 26 giugno infatti c’è stata la presentazione dell’Instrumentum Laboris che sarà la base della discussione al Sinodo (clicca qui). A presentarlo alla stampa c’era anche il segretario generale del Sinodo dei vescovi, il cardinale Lorenzo Baldisseri, che già nei mesi scorsi era stato protagonista di uscite che andavano nel senso di una ridefinizione della dottrina sul matrimonio. Nell’occasione Baldisseri ha presentato le diverse parti del corposo documento, insistendo molto sull’attenzione e la sensibilità verso le «situazioni pastorali difficili», sulla necessità di «guarire le persone ferite» e di «una pastorale capace di offrire la misericordia che Dio concede a tutti senza misura».

Insomma, nulla che possa rovinare l’immagine di una Chiesa accogliente, che non giudica più, in cui si evita di dire le cose spiacevoli per non urtare la sensibilità, in cui quel che conta è l’amore, come direbbe anche Barack Obama. Senonché a margine della presentazione dell’Instrumentum Laboris un giornalista dell’Ansa chiede al cardinal Baldisseri della vicenda di Cameri e delle parole di don Tarcisio. E allora improvvisamente la musica cambia: «Una pazzia», dice Baldisseri, «si tratta di un’opinione strettamente personale di un parroco che non rappresenta nessuno, neanche se stesso». Non rappresenta nessuno, neanche se stesso: in pratica gli ha dato del malato di mente. E allora si è cominciato a capire che la misericordia di cui tanto si parla non riguarda tutti, anzi per qualcuno il giudizio sarà senza alcuna pietà.

Ma la reazione sproporzionata del cardinale Baldisseri si può spiegare con il fatto che a chi cerca di nascondere nella nebbia di tante parole dolci ed espressioni accattivanti il tentativo di modificare la dottrina della Chiesa, a dare maggiormente fastidio è proprio la riproposizione pura e semplice della verità sull’uomo che la Chiesa ha sempre annunciato.

E che questo sia il punto lo conferma l’intervento di un altro cardinale, il canadese Thomas Collins, arcivescovo di Toronto, che in un’intervista concessa il 25 giugno a “Word on Fire”  (e segnalata dal blog  di Sandro Magister) afferma chiaramente che c’è chi sta creando una aspettativa sul cambiamento di dottrina nella Chiesa a riguardo del matrimonio, così come accadde con Paolo VI alla vigilia dell’enciclica Humanae Vitae: «Questo genere di aspettativa – dice il cardinale Collins – si basa sull’idea che la dottrina cristiana sia come la politica di un governo: quando cambiano le circostanze, o quando cambia l’opinione della maggioranza, allora anche la politica cambia». Ma non è così: «La dottrina cristiana è fondata sulla legge naturale che è inscritta da Dio nella nostra natura, e soprattutto sulla parola rivelata da Dio».

E neanche a farlo apposta, richiesto di chiarire l’insegnamento della Chiesa in materia di divorziati risposati, il cardinale Collins usa esattamente le stesse espressioni del povero parroco di Cameri: «I cattolici divorziati e risposati non possono ricevere la santa comunione dal momento che, quali che siano la loro disposizione personale o le ragioni della loro situazione, conosciute forse solo da Dio, essi persistono in una condotta di vita che è oggettivamente in contrasto con il chiaro comando di Gesù. Questo è il punto. Il punto non è che essi hanno commesso un peccato; la misericordia di Dio è abbondantemente assicurata a tutti i peccatori. L’omicidio, l’adulterio e altri peccati, non importa quanto gravi, sono perdonati da Gesù, specialmente attraverso il sacramento della riconciliazione, e il peccatore perdonato riceve la comunione. In materia di divorzio e di secondo matrimonio il problema sta nella consapevole decisione, per le ragioni più diverse, di persistere in una durevole situazione di lontananza dal comando di Gesù».

Anche il cardinale Collins fa dunque un confronto tra la convivenza e peccati gravi quali l’omicidio. Nessuna equiparazione, ma la spiegazione di una differenza, perché uno può accedere alla comunione e l’altro no.

Collins ovviamente non si ferma qui: anche lui – come del resto il parroco di Cameri – è attento ai bisogni e alle sofferenze di chi vive situazioni familiari irregolari, ma la cura pastorale non può essere a scapito della verità: sarebbe «offrire una consolazione nel breve periodo al costo di una grande sofferenza nel lungo periodo».

E a quanti pensano di dover aggiornare la dottrina e il linguaggio perché la gente oggi non capisce più o comunque la maggioranza non segue, il cardinale Collins ricorda che «quando Gesù predicava in Galilea divorzio e secondo matrimonio erano accettati dalla società. La legge di Mosè lo permetteva. L’insegnamento di Gesù, che divorzio e secondo matrimonio non sono ammessi, era rivoluzionario. Era anche un’indicazione con cui affermava la propria divinità, perché solo Dio ha il potere di cambiare la legge di Mosè».

La vicenda del Sinodo dunque, nella sua essenza si giocherà qui: tra chi si pone il problema di elevare ogni uomo a Dio, sostenendolo nella difficoltà del cammino, e chi vuole ridurre il disegno di Dio alla misura dell’uomo, rassegnandolo alla sua mediocrità.

E in ogni caso don Tarcisio potrà chiedere ospitalità all’arcidiocesi di Toronto.