Immigrazione: non risanerà il sistema pensionistico italiano

 Inps Pubblicato su Viewsfromrome.org

Si è tenuto a Firenze, tra il 10 e l’11 dicembre 2003, un convegno della fondazione CESFIN su “L’incidenza economica dell’immigrazione”. Il Convegno era stato organizzato anche per lanciare un segnale di ottimismo sulla situazione previdenziale italiana, e per presentare gl’immigrati come provvidenziale fattore di risanamento dei conti dell’INPS, riempiendo il vuoto di quegl’italiani che non nascono, quindi non lavorano né contribuiscono alla future pensioni, per cui “l’iniziale forza-lavoro straniera sta progressivamente diventando popolazione straniera”, come ha dichiarato il noto demografo Giancarlo Blangiardo in un suo articolo su “Avvenire” (12 dicembre 2003).

Ma, al di là delle dichiarazioni ufficiali rese alla stampa, dal convegno è emersa una situazione molto meno rosea, come ha ammesso lo stesso Blangiardo, nel citato articolo, dicendo che “non ci si può illudere che gl’immigrati si faranno magicamente carico delle nostre pensioni”.

In una intervista resa allo stesso quotidiano “Avvenire” (cit.), la d.ssa Elsa Fornero, ricercatrice dell’Università di Torino e del CERP (Center for Research on Pensions and Welfare Policies), ha precisato che “il nostro sistema ha disavanzi così profondi, che, oltre oggi, li avrà domani e dopodomani. L’immigrazione non è sufficiente a risolvere i problemi e non ci esime dal portare a compimento le riforme.

La mano, inoltre, può essere data solo a condizione che si tratti di un immigrato regolare, che lavora e paga i contributi; in questo caso, (…) l’INPS prende i soldi e li usa direttamente per pagare le pensioni, e quindi mette una toppa al divario temporale tra contributi e prestazioni. (…) Ma sono tutte piccole cose”, sono appunto “toppe” temporanee che possono solo rinviare una resa dei conti inevitabile.

Uno dei motivi che non possono farci illudere sul ruolo dei flussi migratori nel risanamento del nostro sistema pensionistico, sta proprio nel fatto che una rilevantissima quota d’immigrati, sebbene regolari, lavora però in nero e continuerà a farlo, perché così conviene sia a loro che ai datori di lavoro. Il convegno ha infatti constatato che, se sono stati concessi permessi di soggiorno a 1.212.554 immigrati, sono solo 600.000 di loro a fornire contributi; all’appello dell’INPS, mancano quindi oltre 600.000 lavoratori; il che significa che un immigrato regolare su due non è iscritto al nostro principale istituto previdenziale.

I flussi migratori regolari vanno quindi ad accrescere notevolmente (per circa il 15%) la già vasta popolazione dei lavoratori “sommersi” italiani, che, secondo le indagini del CENSIS, ammonterebbero per conto loro a 3.600.000, il 21% del lavoro operante. La fascia più consistente del “sommerso” è quella costituita dal lavoro autonomo, nel quale appunto si orientano almeno il 15% degl’immigrati (cfr. “Avvenire”, 3 dicembre 2003). Tutto questo, senza contare i clandestini.

Inoltre, dal convegno di Firenze è emersa una prospettiva non certo rassicurante, riguardante la futura integrazione degl’immigrati di “seconda generazione”, ossia quelli che sono nati e cresciuti in Italia.

Secondo il noto demografo Massimo Livi Bacci, questa nuova generazione “è un fenomeno che sta crescendo e che plasmerà il futuro della nostra società “. Per il prof. Livi Bacci “la partita dell’integrazone si giocherà sul fronte della seconda generazione: i figli degli immigrati. Se non saranno messi nelle condizioni di avere una possibilità di ascesa sociale, c’è il pericolo di un conflitto aperto. In Francia, per esempio, sta succedendo proprio questo: il conflitto sociale è alimentato da contestatori figli d’immigrati” (“l’Unità”, 11 dicembre 2003).

Saranno questi la manovalanza di una prossima lotta di classe etno-religiosa?