Inconciliabilità tra cristianesimo e marxismo

Istruzione_teologia_liberazione Articolo pubblicato su Il Tempo del 14 settembre 1984

Il significato di una condanna

di Augusto Del Noce

L’accusa di eccessiva durezza è stata rivolta all’”Istruzione su alcuni spetti della teologia della liberazione” emanata dalla Congregazione per la Dottrina della Fede e firmata da uno dei più eminenti teologi contemporanei, il Cardinale Giuseppe Ratzinger. Ma occorre intendersi sulla parola durezza. C’è quella dell’insulto o quella delle illazioni sulle intenzioni non confessate dagli autori che si discutono; esse mancano affatto.

C’è la durezza della logica, questa si, presente e inflessibile, e manifesta anche nello stile , da cui viene eliminata ogni parola superflua, e nell’ordine, per brevi paragrafi enumerati. Ma rispetto alla durezza della logica non vedo che senso possa avere l’aggettivo “eccessivo”; la ragione non ammette che il rigore, e il rigore c’è o non c’è.

E’ su questo piano che dovrebbero muoversi i critici del presente documento, e non lo possono, perché esso contiene la critica logicamente più forte del cattocomunismo che sinora sia apparsa; la dimostrazione inconfutabile della sua incompatibilità con l’ortodossia cattolica. Osserviamo che esso non manifesta alcuna mancanza di simpatia né per il termine di liberazione, né per il suo abbinamento con teologia. Liberazione designa una verità evangelica essenziale, e la rinnovata attenzione che i teologi le hanno rivolto è di per sé ricca di promesse. Sulla sua definizione religiosa non possono esservi dubbi: liberazione dalla schiavitù radicale del peccato.

Ma il problema sorge rispetto alle molteplici forme di schiavitù, di ordine fisico o economico, sociale e politico cui l’uomo continua ad essere sottoposto e che, dal punto di vista religioso, sono anch’esse conseguenze del peccato. Una volta si insisteva sopratutto sulla virtù della rassegnazione: le prove di questa vita sopportate in nome della passione di Cristo, avranno il loro compenso in cielo.

Beninteso, non si escludeva il valore positivo dell’opera di liberazione già in questa terra, e gli storici sanno quanto il cristianesimo abbia contribuito agli sviluppi della scienza e della tecnica. Ma essendo i mezzi relativamente scarsi, non c’è da stupirsi del posto preferenziale dato alla virtù della rassegnazione.

Nelle mutate condizioni di oggi è naturale che la priorità sia passata alla liberazione. Questo passaggio non è messo menomamente in discussione; si ha anzi cura di avvertire che in un documento successivo se ne farà apparire la positività, sotto l’aspetto sia dottrinale che pratico. Ma, in un lavoro preliminare, si impone il compito di trattare delle deviazioni ideologiche che si sono prodotte in forme di pensiero che hanno monopolizzato il titolo di “teologia della liberazione”.

La loro origine sta in una confusione intellettuale, capace di conseguenze estremamente perniciose sul piano religioso come sociale.Alla base c’è un ragionamento estremamente semplice: l’amore cristiano dei poveri ha raggiunto oggi, attraverso la scienza, la possibilità di una efficacia risolutiva: la scienza – e per scienza questi teologi intendono il marxismo – ha permesso di definire rigorosamente i ricchi e i poveri attraverso i concetti di classe capitalista e di classe proletaria, e ha pure insegnato i mezzi per assicurare la vittoria del proletariato.

Essere cristiani oggi non vuol dire rifiutare scienza e rivoluzione; i cristiani che operano tale rifiuto non soltanto si escludono dalla storia, ma lo fanno nel modo più colpevole, parteggiando per una società retta dagli egoismi.

La via giusta è di integrare nel cristianesimo quella scienza della società che è il marxismo, conciliando così l’opzione peri poveri con la modernità. Il processo delle teologie della liberazione, quale si svolge oggi nel mondo latino-americano, non costituisce davvero per gli europei una sorpresa; perché molti tentativi in questo senso erano stati fatti, anche in Italia come è noto, già negli anni di guerra, e tutti risultarono fallimentari; e tutti erano ossessionati dal temine “scienza”, in ragione dell’assunto di poter interpretare il marxismo come scienza e non come filosofia , così da poterne metter da parte il carattere totalizzante.

Operazione impossibile perché, come è perfettamente detto in questa Istruzione, nel marxismo «gli a priori ideologici sono presupposti alla lettura della realtà sociale» e la predeterminano. Avviene così, che, di fatto, i teologi ella liberazione, partendo dal presupposto dell’esattezza delle analisi sociali marxiste, accettano i presupposti ideologici che le condizionano; o anzi, non foss’altro per le loro abitudini intellettuali di teologi piuttosto che di economisti, finiscono con l’essere attratti soprattutto da tali aspetti.

Quella che voleva essere integrazione del marxismo nel pensiero cristiano si rovescia perciò nell’itinerario della conversione dal cristianesimo al marxismo; ed è pregio di queste pagine la descrizione magistrale di questo processo.

Posto il valore supremo in una rivoluzione che si attua attraverso la lotta di classe, l’idea di una verità trascendente, perde di significato, perché il pensiero è sempre pensiero di classe, e la verità, piuttosto che essere, «si fa», nel corso della lotta della classe rivoluzionaria. Ugualmente va per il carattere trascendente della distinzione tra il bene e il male: l’etica viene totalmente dissolta nell’azione rivoluzionaria. Il passaggio all’immanentismo storicistico diventa con ciò inevitabile: Dio viene identificato con la storia intesa come processo di auto-redenzione dell’uomo mediante la lotta di classe.

Il senso di tutte le verità teologiche e di tutte le pratiche liturgiche risulta di conseguenza trasfigurato: la fede diventa «fedeltà alla storia», la speranza «fiducia nel futuro», la carità «opzione per i poveri», identificati con il proletariato; l’Eucarestia «celebrazione del popolo in lotta». L’assolutizzazione della rivoluzione è assolutizzazione della politica; ogni affermazione della fede e della teologia viene quindi subordinata a un criterio politico.

E’ nota l’opposizione marxista di “filosofia della prassi” a “filosofia speculativa”; in piena corrispondenza i teologi della liberazione sostituiscono l’ortoprassi all’ortodossia; col ce intendono elevare la passi rivoluzionaria a criterio supremo della verità teologica.

Quando il povero diventa proletario

Alla nozione scritturale del povero viene sostituita quella marxista del proletariato. Ora le due nozioni sono affatto differenti: la miseria del povero è un male (un’ingiustizia, la violazione, come nel pensiero religioso attuale si fa sempre più chiaro del diritto a un minimo per la sussistenza) a cui si deve porre rimedio; la miseria del proletario è invece, secondo l’originario pensiero marxista, una forza rivoluzionaria capace di creare una nuova società.

Si comprende di qui l’assoluto disprezzo di questi teologi per la dottrina sociale cristiana; il senso che conferiscono alle espressioni di «Chiesa dei poveri» e di «Chiesa del Popolo», come chiese di classe; l’interpretazione della teologia tradizionale come espressione della classe degli oppressori.

Ma per altro verso il contrasto con questa teologia ci fa intendere il senso pregnante che l’espressione, ripetuta con tanta insistenza nei suoi discorsi, «diritti dell’uomo» ha nel pensiero di Giovanni Paolo II; senso che purtroppo sfugge assai spesso, confuso con i vaniloqui delle «dichiarazioni dei diritti»; si può intenderlo pienamente solo nella sua opposizione a quel mito dell’”uomo nuovo” che questi teologi mutuano dal pensiero rivoluzionario.

Errerebbe però chi pensasse a una semplice ripetizione, in fraseologia teologica, di idee marxiste. Le cose stanno un po’ diversamente; si è parlato spesso del substrato di teologia rovesciata che è al fondo del marxismo; non meraviglia quindi che questi teologi, partendo da quella riduzione del peccato a “peccato sociale”, che è ben illustrato e criticato nel documento, ritrovino puntualmente e, per così dire, spontaneamente le tesi marxiste, per quella necessità che c’è nelle essenze di pensiero e nella loro connessione.

Naturalmente il cardinale Ratzinger non disconosce affatto che esistono più forme di teologia della liberazione, anche se di non ben definite frontiere dottrinali. Quel che intende fare è tracciare il loro modello ideale, quale dovrebbe realizzare se fossero pienamente coerenti. Modello a cui tutte partecipano, in ragione dell’errore originario che ho detto, anche se probabilmente nessuna di esse vi si adegui completamente.

Adeguarvisi in tutto significherebbe infatti compiere il passo ultimo, rompere definitivamente con la dottrina cattolica per passare dichiaratamente all’ateismo marxista; e a questo passo ultimo intendono sottrarsi con qualche sorta di sotterfugio ideale, che si rivela però troppo facilmente un espediente; questo spiega la loro instabilità e la molteplicità elle forme che assumono, però in un orizzonte comune.

Dire la verità con parole chiare

Si è dato risalto, con aria di rimprovero quasi ricorresse a una durezza ormai fuori tempo, a una frase che il documento pronunzia sui regimi comunisti: «Milioni di nostri contemporanei aspirano legittimamente a ritrovare le libertà fondamentali di cui sono privati da parte dei regimi totalitari ed atei che si sono impadroniti del potere per vie rivoluzionarie e violente, proprio in nome della liberazione del popolo. Non si può ignorare questa vergogna del nostro tempo…».

Lasciamo da parte che questo è il pensiero di tutti i non comunisti, e anche di qualche comunista; a chi può rimproverargli l’assenza di quello stile diplomatico oggi di prammatica in ragione dell’Ostpolitik, il Cardinale Ratzinger potrebbe ben rispondere che è dovere della Congregazione per la Dottrina della Fede dire la verità nei termini più chiari ed espliciti al di là di ogni convenzione e di ogni riguardo.

Ma, di più, ricorrono più volte nelle pur poche pagine del testo, parole di pari denunzia contro l’oligarchia di proprietari privi di coscienza sociale dominanti in certe regioni dell’America Latina, e conto le pratiche selvagge di un certo capitale di origine straniera; forze collaboranti nella formazione di un nuovo colonialismo, che alimenta un violento sentimento di rivolta, per se giustificatissimo. Le teologie latino-american della liberazione sono perciò le risposte sbagliate a un problema che però è reale, e si impone con estrema gravità e urgenza; e questo spiega come siano fatte proprie da uomini e donne generosi.

E’ per la loro critica che occorre richiamare l’esempio dei regimi che si sono instaurati attraverso le rivoluzioni comuniste: essi manifestano l’illusione in cui era caduto Marx, di giungere alla giustizia e alla liberazione attraverso la forza, e, in ragione stessa dell’opposizione, rivalutano l’insegnamento sociale della Chiesa; che deve essere approfondito e praticato nella difesa efficace della giustizia contro coloro che approfittano della miseria dei popoli e coloro che questa miseria lascia rassegnati o indifferenti.

La critica più giusta delle teologie della liberazione risulterebbe sterile senza la manifestazione del valore e dell’efficacia, dopo il fallimento del marxismo, dell’insegnamento sociale della Chiesa.