Lago Agrio. La truffa giudiziaria del secolo

imagesTempi n.13 – 2 aprile 2014

Vent’anni di processi tra Equador e Stati Uniti per scopriore che la multinazionale ambientalista sa essere più ingorda, pregiudicata e senza scrupoli dei signori del pertrolio

Pietro Piccinini

Tre anni fa, quando il tribunale di Lago Agrio, Ecuador, condannò Chevron a pagare 19 miliardi di dollari per lo scempio causato in decenni di attività petrolifere nella regione dell’Oriente, un po’ tutti i giornali e le tv, anche in Italia, la raccontarono come il trionfo del bene sul male. Si trattava del risarcimento più esoso mai deliberato fino ad allora per una causa ambientale, e alla pigrizia dei cronisti di tutto il mondo apparve subito doveroso gettarsi nella narrazione dell’epica rivincita dei poveri invisibili contadini ecuadoriani sul prepotente Golia multinazionale (New York Times).

Già, la perfida multinazionale. La ricca e avida Chevron, terza compagnia degli Stati Uniti, con incassi che ballano intorno ai duecento miliardi di dollari ogni anno, nonostante la sua enorme disponibilità finanziaria e uno stuolo di micidiali mastini del foro al seguito, dopo quasi vent’anni di battaglia legale senza quartiere era stata messa in ginocchio da una banda di impotenti agricoltori sudamericani. Ovvero dal loro impavido avvocato, Steven Donziger di Manhattan, un figlio di Harvard che aveva dedicato la sua intera carriera alla nobile causa di quelle insignificanti vite dannate dal petrolio.

Terminati gli studi e smesse le partite a basket con il compagno di università Barack Obama, l’eroico Donziger si era circondato di avvocati militanti di Oxfam e Human Rights Watch ed era partito alla volta dell’Ecuador per ereditare dal suo maestro quello che si sarebbe risolto come – parole sue – il «primo caso di un piccolo paese in via di sviluppo che ottiene un qualche potere su una multinazionale americana».

Insomma una storia perfetta per un film-verità alla Al Gore. E infatti Donziger un film sulla sua crociata verde lo ha commissionato davvero. Si intitola Crude, Greggio, lo ha girato il documentarista Joe Berlinger seguendo Donziger dappertutto per tre lunghi anni, ed è stato presentato nel 2009, manco a dirlo, al Sundance Film Festival di Robert Redford, icona liberai e gran cavaliere di tutte le foreste pluviali del pianeta.

La bella favola infranta

Fin qui, i contorni più o meno noti di una tra le campagne ambientaliste meglio riuscite della storia, scodellata al grande pubblico e ovviamente promossa negli anni dagli immancabili vip come Sting e Daryl Hannah. Tutti pronti a farsi fotografare con la mano intinta nelle pozze di nerissime acque reflue, residui dell’estrazione del petrolio, che ancora macchiano intollerabilmente quella fetta di foresta amazzonica. Invece gli ingredienti segreti, o meglio inconfessabili, di questa minestra ecologica sono emersi rumorosamente solo adesso negli Stati Uniti, ed è un peccato che in Italia non se ne sia accorto quasi nessuno perché, per usare i termini letterali utilizzati dal Wall Street Journal, è stata la demolizione della «truffa giudiziaria del secolo».

Il 4 marzo scorso Lewis Kaplan, giudice del distretto meridionale di New York, ha dato ragione a Chevron, che nel frattempo, mentre la giustizia ecuadoriana si apprestava a crocifiggere i petrolieri yankee tra gli applausi del bel mondo, aveva intentato una causa contro Donziger e il suo team legale perché secondo la multinazionale californiana il processo del tribunale di Lago Agrio terminato con la spettacolare sentenza record (poi confermata nel novembre 2013 anche dalla Corte suprema ecuadoriana, sebbene con ammenda ridimensionata da 19 a 9,5 miliardi di dollari) era stato inficiato da sotterfugi e frodi di tutti i tipi.

Proprio così. Secondo il giudice americano, i buoni contadini ecuadoriani avevano vinto contro la cattiva multinazionale non per giustizia divina ma perché Donziger e i suoi avevano forzato la mano alla corte, manomesso i dati in combutta con il perito del tribunale, falsificato le analisi, perfino corrotto un giudice promettendogli 500 mila dollari di ricompensa per il verdetto favorevole. Il tutto mentre davanti alle telecamere e ai microfoni dei giornalisti si divertivano a evocare sospetti sul potere di influenza che la ricchissima Chevron avrebbe potuto esercitare sul vulnerabile sistema della giustizia dell’Ecuador.

Maledetta la vanità

Ironia della sorte, a segnare la rovina giudiziaria di Donziger è stato proprio il film che lo ha reso una star internazionale. Per la precisione, le seicento ore di girato grezzo che il giudice Kaplan ha deciso di acquisire tra gli elementi processuali dopo che gli avvocati di Chevron avevano notato alcune piccole ma importanti discrepanze tra la versione presentata al festival e quella montata per il dvd. Sono state infatti le scene tagliate di Crude a rivelare, tra le altre cose, che Donziger e i suoi assistiti sapevano in anticipo che il tribunale di Lago Agrio avrebbe nominato come perito “indipendente” l’ingegnere Richard Cabrerà.

E sono state le indagini su questa stranezza a dimostrare come la valutazione dei danni prodotta da quest’ultimo era stata scritta in realtà da Stratus, società di consulenza ambientale del Colorado che pochi giorni prima della pubblicazione del rapporto “indipendente” aveva spedito via email in Ecuador un curioso documento in inglese che iniziava così: «Questo rapporto è stato scritto da Richard Cabrerà». È per colpa di quel maledetto film che è crollata la «truffa giudiziaria del secolo» e il paladino degli “afectados” (gli “infetti”) è finito sotto accusa con tutte le sue carte piene di magheggi.

Del resto Donziger non è mai stato un boyscout disinteressato. Pur senza fargliene una colpa, è ancora il giudice Kaplan a ricordare nelle motivazioni del suo verdetto come l’avvocato di Manhattan si attendesse un onorario di oltre 600 milioni di dollari dalla causa contro Chevron. E non è che gli sponsor della sua offensiva mediatico-giudiziaria fossero idealisti molto più candidi della malvagia multinazionale del petrolio, visto che il legale dei poveri contadini ecuadoriani poteva contare sugli investimenti milionari di signori squali della finanza, come per esempio gli hedge fund Burford Capital e Patton Boggs, prontissimi a scommettere pesantemente sulla buona causa della foresta pluviale nella prospettiva di incassare alla grande in caso di vittoria in tribunale.

Si chiama “litigation finance”, e in America ormai non è neanche più una notizia. Ma combinata con l’intenzione di Donziger di diventare il pioniere universale di un nuovo «business model for a human-rights case» (parole sue consegnate allo sciccosissimo New Yorker) restituisce dell’uomo un’immagine tremenda, soprattutto dopo i fatti ricostruiti da Kaplan. Si capisce perché adesso il Wall Street Journal esprima il proprio sollievo per la punizione di un «disonesto» che «tenta di sfruttare le giurie del Terzo mondo per dissanguare le imprese americane a prescindere dal merito».

Chi ha le mani sporche

Merito che per altro Chevron non ha mai contestato più di tanto, eccezion fatta per le perizie taroccate da Donziger e soci. Il colosso petrolifero non ha mai negato l’importanza dei danni ambientali inflitti alla regione dell’Oriente, così come non l’ha messa in discussione il giudice Kaplan. È chiaro che dai pozzi petroliferi non escono violette profumate. Ma se il disastro causato in Ecuador ha un responsabile americano, quello è Texaco, che per trent’anni, fino al 1992, ha condotto tutte le trivellazioni nella zona e che è stata acquisita da Chevron solo nel 2001 magari, questo sì, sottovalutando leggermente i possibili sviluppi del processo giudiziario portato in eredità.

E Texaco le sue responsabilità se le assunse già nel 1995, due anni dopo l’inizio di quell’ infinito contenzioso, bonificando a proprie spese il 37 per cento del disastro ambientale imputatole. La restante porzione delle piscine di acque reflue non è fare degli americani, come ha riconosciuto anche un arbitrato internazionale l’Aja nel 2009.

Ripulirle spetterebbe alla compagnia petrolifera di Stato ecuadoriana Petroecuador, che nel consorzio autore di tutte le sconcerie deteneva la maggioranza (mentre Texaco aveva appunto il 37 per cento del capitale). Secondo Chevron tocca dunque al governo di Quito sistemare il paciugo tossico. È sempre stata questa la sua linea di difesa. Invece Rafael Correa, il piccolo Chàvez ecuadoregno, divenuto presidente nel 2006, si è precipitato a visitare l’Oriente per intingere la mano nell’acqua nera come i divi del cinema e ha sposato appassionatamente la battaglia di Donziger, con tanto di dichiarazione a effetto: «C’è stato un crimine contro l’umanità qui».

Il giudice di Clinton

La disputa legale comunque non è affatto finita. Certo, il verdetto di New York è destinato a pesare sulle capacità belliche di Donziger, anche perché è stato pronunciato in piena era Obama – brutta aria per i ricconi – e per di più da un giudice, Lewis Kaplan, che nell’immaginario collettivo sarebbe idealmente più vicino paladino degli “afectados” ecuadoriani che non ai petrolieri senza scrupoli di .Chevron, essendo stato nominato da Clinton nel 1994 ed essendosi distinto per la concessione della prima causa civile a un detenuto di Guantanamo.

Tuttavia l’ingiunzione di Kaplan impedisce a Donziger solo di fare applicare la sentenza fraudolenta di Lago Agrio negli Stati Uniti. NuIla gli vieta di proseguire nel tentativo rivalersi sugli asset di Chevron in Canada, Brasile e Argentina (giacché in Ecuador la società non ne ha). Donziger, da parte sua, rifiuta di essere marchiato per sempre come corruttore ed estorsore, pur ammettendo di avere oltrepassato qualche limite di troppo, e ha già annunciato le tenterà il ricorso, sicuro che anche la Corte di appello americana, come già la giustizia ecuadoriana, gli darà ragione contro una «sentenza oscena» frutto di un «processo viziato». In ogni caso, difficilmente uscirà da questo legal drama hollywoodiano ricoperto di gloria come Erin Brockovich delle Amazzoni.

LE DATE

1964 Prime trivellazioni del consorzio Texaco Petroecuador

1992 Texaco termina le attività in Ecuador

1993 Gli “afectados” fanno causa a Texaco negli Stati Uniti

1995-1998 Texaco, in accordo col governo di Quito, ripulisce la propria quota di disastro ambientale

2001 Chevron acquisisce Texano

2003 Gli afectados fanno causa a Chevron in Ecuador

2011 Chevron porta l’avvocato degli “afectados” Steven Donziger in tribunale a New York

2011 II tribunale di Lago Agrio condanna Chevron a risarcire con 19 miliardi di dollari gli ecuadoriani

2013 La Corte suprema dell’Ecuador riduce l’ammenda a 9,5 miliardi

MARZO 2014

Chevron vince a New York la causa contro Steven Donziger

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Cose che solo ad Hollywood

La sintesi del giudice

di Lewis Kaplan

(giudice distrettuale di New York)

Pubblichiamo stralci dell’introduzione alla motivazione di quasi 500 pagine firmata il 4 marzo scorso dal giudice Lewis Kaplan sul caso “Chevron vs Donziger e altri”.

Questo caso è straordinario. I fatti sono molti e complessi. Comprendono cose che normalmente si vedono solo a Hollywood – email codificate tra Donziger e i suoi colleghi che descrivono i loro rapporti privati e le macchinazioni con i giudici e con un esperto nominato dalla corte; i loro pagamenti attraverso un conto segreto a un esperto che si presumeva essere neutrale; un avvocato che invita una troupe cinematografica a innumerevoli meeting strategici privati e perfino a incontri ex parte con i giudici; un giudice ecuadoriano che dichiara di aver scritto la sentenza multimiliardaria e che però era talmente inesperto e a disagio con le cause civili da farsi abbozzare i giudizi da altri (un ex giudice precedentemente rimosso dalla magistratura); un dattilografo diciottenne che pare aver fatto ricerche internet sulla legge americana, inglese e francese per conto del giudice di cui sopra, il quale conosceva solo lo spagnolo; e molto altro. La massa di prove è voluminosa

Gli elementi transnazionali del caso lo rendono delicato e impegnativo. Tuttavia la Corte ha avuto il beneficio di un lungo processo. Ha ascoltato 31 testimoni di persona e considerato le deposizioni di altri 37. Ha vagliato migliaia di elementi documentali. Ha raggiunto le proprie conclusioni. (…) In considerazione di tutte le prove (…) la Corte ritiene che Donziger inizialmente si sia coinvolto in questa controversia con il desiderio di migliorare le condizioni dell’area in cui vivono i suoi assistiti.

Certo, mentre faceva il bene per gli altri ha anche perseguito un beneficio personale, ma non c’era nulla di male in questo. In ogni caso, alla fine lui e gli avvocati ecuadoriani che guidava hanno corrotto il caso Lago Agrio. Hanno prodotto prove fraudolente. Hanno costretto un giudice prima a fare ricorso a un “esperto globale” nominato dalla corte per stilare la valutazione generale dei danni, poi a designare per quell’importante ruolo un uomo scelto da Donzinger e pagato per essere a totale disposizione dei querelanti ecuadoriani.

Inoltre hanno pagato una società di consulenza del Colorado per scrivere segretamente, tutto o quasi, il rapporto dell’esperto globale, hanno fraudolentemente presentato il rapporto come frutto del lavoro dell’esperto nominato dalla corte, che si presumeva essere imparziale, e hanno detto mezze verità o peggio alle corti degli Stati Uniti nel tentativo di impedire la denuncia di tutto ciò e altri atti illeciti. Infine, il team dei querelanti ha scritto di proprio pugno la sentenza della corte di Lago Agrio e ha promesso 500 mila dollari al giudice ecuadoriano per convincerlo a deliberare in loro favore e a sottoscrivere il loro verdetto. Se mai c’è stato un caso in cui si debba assicurare equa riparazione a una sentenza ottenuta con la frode, il caso è questo.

La riparazione

Gli imputati cercano di scansare da sé la responsabilità dei loro atti sottolineando che il caso Lago Agrio ha avuto luogo in Ecuador e invocando il principio di cortesia internazionale. (…) Ma la cortesia non prescrive la cieca acquiescenza all’ingiustizia, men che meno l’acquiescenza entro i confini della nostra nazione. (…) Chevron non cerca, e questa Corte non concede, una ingiunzione volta a impedire i tentativi di far valere la sentenza di Lago Agrio ovunque nel mondo.

Quello che fa questa Corte è vietare a Donziger e ai due rappresentanti dei querelanti di Lago Agrio che sono soggetti alla giurisdizione di questa Corte, di trarre profitto in qualunque modo dalla gigantesca truffa realizzata. Che è una cosa ben diversa. Per la verità, il legale dei rappresentanti dei querelanti di Lago Agrio recentemente ha ammesso che gli imputati «non avrebbero problemi» rispetto alla «riparazione richiesta [da Chevron], ovvero la diffida, per la persona che ha pagato la tangente, dal trame beneficio», assumendo così che il giudice sia stato corrotto.

(…) Donziger è intelligente, pieno di risorse, un maestro nelle relazioni pubbliche e con i media. Fin dai primi giorni una massiccia campagna di pubbliche relazioni e di comunicazione ha fatto parte della sua strategia, e continua a farne parte. Tra i suoi obiettivi c’era quello di spostare l’attenzione dalla truffa nei confronti di Chevron e della corte di Lago Agrio al danno ambientale denunciato da Donziger e dai querelanti ecuadoriani. (…) Ma non ci si deve lasciar distrarre. Questa Corte assume che l’inquinamento nell’Oriente ci sia. Sulla base di questa assunzione, Texaco e forse perfino Chevron – sebbene essa non abbia mai effettuato trivellazioni in Ecuador – potrebbero doversi addossare qualche responsabilità, e in ogni caso un miglioramento delle condizioni per i residenti dell’Oriente è tanto desiderabile quanto atteso

Ma lo sforzo degli imputati di spostare l’attenzione sull’Oriente, per quanto sia comprensibile come tattica, è inutile in questo caso. La questione qui non è cosa sia accaduto nell’Oriente oltre vent’anni fa e chi sia oggi da ritenere responsabile del male compiuto allora. La questione è invece chiarire se la deliberazione di un tribunale sia stata ottenuta attraverso la corruzione, a prescindere che la causa fosse giusta o meno. Un imputato innocente non è autorizzato a sottoporre prove false, cooptare e pagare un perito del tribunale o corrompere un giudice o una giuria più di quanto non lo sia un imputato colpevole. Così, anche se Donziger e i suoi assistiti si battevano per una giusta causa – e la Corte non si esprime su questo -, non erano autorizzati a corrompere il processo.

Nessuna scusante “Robin Hood”

Non si serve la giustizia infliggendo un’ingiustizia. I fini non giustificano i mezzi. Non esiste alcuna scusante “Robin Hood” per una condotta illegale. E le giustificazioni degli imputati, secondo i quali “così vanno le cose in Ecuador” – invero un bell’insulto al popolo dell’Ecuador -, non li aiuteranno. Gli atti illeciti di Donziger e del suo team sarebbero in contrasto con le leggi di qualunque nazione che aspiri allo Stato di diritto, compreso l’Ecuador – e loro lo sapevano. Un membro del team legale ecuadoriano, in un momento di franchezza dettata dal panico, ha ammesso che se fossero venute alla luce le prove documentali anche solo di una parte di quello che avevano fatto, «oltre a distruggere il procedimento, tutti noi avvocati potremmo finire in galera». È ora di affrontare i fatti.