Su Franco Rodano

Franco Rodano

Franco Rodano

Articolo pubblicato su Il Tempo del 23 luglio 1983

E’ morto a 62 anni Franco Rodano

Fu l’architetto del “compromesso”

di Augusto Del Noce

Franco Rodano, considerato il teorico del compromesso storico, è morto la scorsa notte nella dimora estiva di famiglia, un castello a Monterado, presso Ancona, Rodano , che aveva 63 anni, era da tempo malato di cuore.

Franco Rodano era nato a Roma, da famiglia piemontese, nel 1920. Dopo aver svolto azione politica antifascista, fin da ragazzo, nel liceo “Visconti” di Roma e nelle sue associazioni giovanili dell’Azione Cattolica , nel 1940 entrò in contatto con l’organizzazione clandestina del Pci, con la quale collaborò strettamente fin che venne arrestato l’otto maggio 1943.

Liberato dopo il 25 luglio, Rodano, fondò e diresse il movimento dei cattolici comunisti, e quando tale movimento dei cattolici comunisti, e quando tale movimento denominatori partito della sinistra cristiana, nel dicembre 1945 si sciolse, entrò nel Pci.

Il Presidente Pertini, in un telegramma alla vedova, on. Maria Conciari Rodano, ha espresso il suo profondo dolore per la scomparsa del «caro amico», on. Franco Rodano, «ricordandone con animo commosso il passato di coraggioso antifascista e di costante impegno di democratico, di studioso e di politico dalla grande aspirazione ideale».

Analoghi sentimenti hanno espresso i presidenti della Camera e del Senato.

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La notorietà di Franco Rodano aveva varcato la cerchia dei ristretti ambienti solo intorno al 1975 quando sembrava che il comunismo italiano raggiungesse il governo all’insegna di quella proposta del compromesso storico di cui Rodano era stato senza dubbio, come fu detto, “l’architetto”; non nel senso di un lavoro di sottile diplomazia che avrebbe esplicato; ma di una coerente impostazione teorica.

In quegli anni ormai molto lontani si formò altresì una specie di leggenda, secondo cui non soltanto si doveva parlare di Rodano come del presente consigliere di Berlinguer, ma di chi già in passato sarebbe stato il più fidato e il più caro tra i consiglieri di Togliatti. Nella storia del machiavellismo c’è la figura dell’eminenza grigia: Rodano avrebbe rappresentato, nel momento Togliatti di questa storia, quel che era stato il Padre Giuseppe, nel momento Richelieu. Altri pensavano a una successione teorica di Rodano a Gramsci, nel senso che le sue tesi avrebbero contenuto i lineamenti essenziali di quel passo successivo a Gramsci che era richiesto dalle mutate circostanze.

A partire da questa definizione, che mi pare la più pertinente, possiamo renderci conto così dell’isolamento come del rigore della sua ricerca. Di un rigore che deve essere riconosciuto anche da chi, come colui che ne scrive, pensa sia la riprova dell’impossibilità della conciliazione tra cattolicesimo e comunismo.

Bisogna vedervi, per l’isolamento, un fenomeno tipicamente italiano, del tutto indipendente dalle linee religiose progressive francesi e tedesche, anglo-americane o sudamericane; che non si apparenta affatto con i vari disobbedienti all’ordine romano in nome del fermento evangelico, così che se, secondo un uso che fu corrente, si compone di una linea unitaria di “disobbedienti cattolici”, che andrebbe dai giansenisti ai modernisti, bisogna dire che è difficile trovare un pensiero che sia più immune di quello di Rodano da venature giansenistiche; e che tuttavia, tra le varie linee progressive, è quella che, ai vertici, raggiunse, sia pure per un momento abbastanza breve, che trovò il suo culmine nella lettera di Berlinguer al Vescovo Bettazzi del 12 ottobre 1977, la maggiore incidenza politica.

Rispetto al rigore non si può confondere la sua opera con quella dei vari indipendenti cattolici di sinistra che non assolvono ad altro compito oltre a quello di dar sempre ragione ai comunisti, in qualsiasi occasione; neppure con le varie combinazioni eclettiche di motivi cattolici e comunisti, alla don Girardi, per esempio. Meno che mai a quelle varie teologie della liberazione o della rivoluzione, che di fatto risolvono il cattolicesimo nel marxismo. Il suo tentativo era assai più ambizioso e diciamo pure teoricamente più scaltrito; pensava sinceramente a una rinascita religiosa condizionata da una conciliazione non soltanto pratica ma ideale tra cattolicesimo e comunismo.

Il fatto che non abbia appartenuto al mondo accademico e soprattutto quello che non abbia raccolto in volume i numerosi e assai importanti saggi pubblicati su La rivista trimestrale, da lui diretta dal ’62 in poi, ha fatto si che l’eco delle sue idee presso gli intellettuali sia stata piuttosto scarsa. Ma, in realtà, l’apparente singolarità della sua posizione dipende dalla sua rigorosa coerenza. Si deve vederci il punto d’arrivo obbligato della ricerca dell’incontro tra i cattolici e i comunisti; così che fare i conti col suo pensiero, è farli con l’intero progressismo cattolico.

Ha avuto, nel pensiero religioso, dei maestri? Bisogna riconoscere che fu scarsissima su di lui l’influenza nonché dei Maritain e dei Mounier, anche dei più vicini Metz e Moltman. Il suo pensiero nasce dal clima ardente della seconda guerra mondiale al momento in cui i giovani rovesciavano il loro atteggiamento rispetto al fascismo, e vi vedevano una sorta di “male radicale” in cui erano assommati tutti i precedenti mali d’Europa.

Comincia allora l’attenzione e la simpatia dei giovani intellettuali per il comunismo, simpatia a cui partecipano anche molti giovani cattolici. Ma come, questi, riuscivano a mettere da parte l’”ateismo marquista”? L’unica via era quella di ravvisare in Marx il pensatore che aveva portato più a fondo la critica del mondo borghese, così nella sua consacrazione spiritualistica come nell’effettivo materialismo pratico che ne guidava i comportamenti.

Sembrava loro possibile interpretare il marxismo in termini di purificazione e rivendicazione della “vera” religione attraverso la distinzione tra marxismo come “scienza” e marxismo come “filosofia”, tra “materialismo storico”, che considerato in sé non conterrebbe alcuna negazione dei valori spirituali e “materialismo dialettico”.

I due aspetti si sarebbero associati storicamente, come replica alla falsa giustificazione o sacralizzazione dell’ordine costituito, operata dalle filosofie idealistiche e spiritualistiche. La loro scissione sarebbe stata, nel momento immediatamente successivo alla fine della guerra , una necessità per l’avvenire di una civiltà che avrebbe dovuto vedere insieme il rifiorire del cattolicesimo e il successo del comunismo.

Il gruppo di cattolici che avevano Rodano come guida sembrava ritrovare tra il ’43 e il ’45 il giudizio di Lenin sull’alternativa che si proporrebbe in questo secolo al mondo , «o il comunismo o la barbarie radicale», modificandolo nel senso che l’esito della rivoluzione avrebbe dovuto coincidere non con la fine della religione, ma con la sua rinascita.

Che questa speranza fosse possibile in quegli anni lontani è fuori dubbio. Ma come poteva continuare a sussistere quando la conoscenza del marxismo, allora assai approssimativa si veniva approfondendo dando luogo alla sterminata bibliografia che è apparsa negli anni successivi?

Pure Rodano rimase fedele a quella che abbiamo visto essere la sua interpretazione iniziale pur difendendola e approfondendola attraverso ragionamenti sempre più scaltriti ma, dobbiamo dirlo, sempre meno persuasivi. Quel che continuava a reggere la sua interpretazione era un’interpretazione della novità di Togliatti, per cui questi avrebbe, se non esplicitamente nelle espressioni teoriche, almeno implicitamente nella sua politica, riformato l’interpretazione del marxismo in modo tale da farla coincidere sostanzialmente con quella che era stata proposta da quel micropartito della sinistra cattolica che egli, Rodano con altri, aveva fondato nel1945, per poi assorbirlo nel Pci.

A suo giudizio la politica di Togliatti pur attraverso le necessarie prudenze con cui cercava di coprire il distacco dalla scolastica marxista era guidata da un’impostazione teorica che apriva «verso un’interpretazione dell’intero marxismo piuttosto come strumento decisivo per l’individuazione e la stessa condotta delle diverse forze storiche le quali, via via, vengono a essere quelle politicamente progressive e feconde, che non come una particolare filosofia della storia…ma ciò comporta un salto di qualità sul terreno teorico, ossia l’abbandono di ogni residuo di quella metafisica impropria che è il vero e peculiare involucro del grande indirizzo marxiano, e il definitivo passaggio di tale indirizzo dal ruolo di ideologia a quello di lezione storicamente insostituibile».

Rodano scriveva questo in un breve libro Sulla politica dei comunisti apparso presso Boringhieri nel 1975. Come si vede, il Rodano della piena maturità riproponeva, pur certamente in una forma più rigorosamente critica, la tesi essenziale della sua giovinezza che crea poi soprattutto il contraccolpo di una situazione storica.

Al pensiero di Rodano ho dedicato un libro di 400 pagine (Il cattolico comunista, Rusconi, 1981), e ho creduto di doverlo fare perché il suo stato uno dei rarissimi tentativi, non soltanto in Italia, di pensare il proprio tempo che un cattolico abbia compiuto; esemplare, per la sua coerenza, dello scacco che i cattolici devono incontrare quando pensano di dover formulare i loro giudizi etico-politici nel presupposto che il soggetto della storia della nostra epoca sia la rivoluzione anziché la sua catastrofe.

L’errore si manifesta in un rovesciamento delle intenzioni, che originariamente significavano speranza in una rinascita religiosa promossa dalla trasfigurazione della guerra antifascista in una lotta in cui cattolici e comunisti si sarebbero trovati uniti contro capitalismo e borghesia. Il risultato, invece, è che nella sua prospettiva vengono messi da parte i valori tradizionali così del cristianesimo come del marxismo, mentre non si vede la via per cui dopo il marxismo si potrebbe passare a un cristianesimo rinnovato.

Nell’illusione di un comunismo che faccia posto a una religione trascendente, si priva il marxismo della religiosità secolare che gli è propria e si incontra così l’ideologia della società tecnocratica che appunto ha coinciso con quella di un marxismo a cui sia stato sottratto il momento utopico. Perché questa laicità autosufficiente, anche se lascia un margine oggettivo per un «coronamento religioso» di cui umanamente non si sente il bisogno, e per cui la via tende a essere preclusa, non è proprio il carattere della società tecnocratica come rovesciamento agnostico del marxismo?

Altre volte ho parlato, anche su queste colonne di quell’esempio della più radicale eterogenesi dei fini che mai si sia avuta nella storia, che, per una necessità rigorosamente razionale, è stata l’esisto storico del marxismo. Qualcosa di strettamente simile si deve dire a proposito del cattocomunismo rodaniano. Ma proprio come verifica di questo la sua opera ha un interesse che vorrei dire eccezionale, e per cui non mi pento affatto del tanto tempo che ho speso per esaminarla in tutti i suoi aspetti.