Clerico-moderati di sinistra

convegno_1976

Roma 1976 «Evangelizzazione e promozione umana»

articolo pubblicato su Il Tempo

17 novembre 1976

Bolgiani e la “Lega democratica”

di Augusto Del Noce

Ho letto la relazione che Franco Bolgiani ha tenuto al convegno “Evangelizzazione e Promozione umana” nel testo trasmesso alla segreteria per la pubblicazione e credo di poterla riassumere nei sette punti seguenti:

1) la gerarchia cattolica italiana si era largamente compromessa col fascismo;

2) di questa colpa i cattolici si erano parzialmente emendati col generoso impegno di vescovi, sacerdoti e laici, nel periodo della Resistenza,;

3) ma quello spirito retrivo che aveva portato al compromesso col fascismo non era spento, ed era prevalso durante il secondo periodo del pontificato di Pio XII (scomunica del comunismo, presidenza Gedda al vertice dell’Azione Cattolica, provvedimenti contro i cattolici “progressivi”, polemiche contro don Mazzolari e don Dilani, fuga verso il deserto dei Carretto e dei Rossetti, eccetera), corrispettivamente, suil piano politico si era giunti al governo Tambroni che, accettando l’appoggio del MSI, sfidava apertamente lo spirito della Resistenza e l’unità antifascista;

4) il significato del Concilio sta nella purificazione della Chiesa da tali abitudini retrive di cui il compromesso con il fascismo era stata la esemplificazione macroscopica;

5) tuttavia l’episcopato italiano avrebbe dato scarso contributo al Concilio o anzi avrebbe opposto eccessive resistenze allo spirito innovatore;

6) tali resistenze si sarebbero manifestate nel referendum per il divorzio, per la cui abrogazione lo stessa Bolgiani avrebbe votato, facendo però oggi atto di contrizione (non perché favorevole al divorzio ma per la valenza che la proposta di abrogazione assumeva nel contesto della società italiana e delle sue tensioni;

7) la sconfitta nel referendum avrebbe contribuito a risvegliare la cultura cattolica, così da portarla oggi a incontrarsi, nel dialogo, con quanto c’è di più vitale nel mondo moderno; non esclusa la cultura marxista aperta, dato che in Italia «fiorisce una forte cultura marxista dai caratteri originali».

Una questione mal posta

Perché parlo di moderatismo? Bolgiani non manifesta simpatia per le parti avanzate del progressismo cattolico; nulla permette di scorgere nella sua relazione propensione verso le teologie secolaristiche; meno che mai indulge a morali permissivistiche, o alla scoperta della “dimensione sessuale”, e di ciò c’è da ringraziarlo, data la comica spregiudicatezza che troppi cattolici ostentano.

Tuttavia l’avversario primo resta per lui il fantasma dell’integralismo cattolico; in un contorto periodo sembra attribuirgli la colpa di aver dato spazio e rilancio alla mentalità radicale, la cui manifestazione pur deplora. Insomma, pensa che il progressismo cattolico dovrebbe fermarsi «a un certo punto». Ora, è questo «certo punto» che credo sia impossibile definire; e ciò semplicemente perché la questione è mal posta.

Bolgiani, e con lui i cattolici della “lega democratica”, ha accettato i giudizi storici di certa cultura laica – in particolare della radico-azionista – separandoli dalle premesse. Si vede di qui come il termine “moderatismo” convenga perfettamente: egli e i suoi collaboratori nella stesura della relazione hanno “moderato” tali giudizi, rendendoli, con tale operazione, confusi e contraddittori. Quali?

Essenzialmente quello, radico-azionista, sul fascismo, i cui germi sarebbero da cercare in una costituzionale debolezza della nazione italiana, separata per lunghi secoli dal progresso generale della civiltà, e perciò chiusa in una pratica conservatrice e reazionaria. Questa separazione avrebbe coinciso con la Controriforma. Dunque, vi sarebbe un vecchio cattolicesimo controriformista – il cattolicesimo dell’”ordine romano” piuttosto che del “fermento evangelico” – che non poteva non allearsi col fascismo, in quanto conservatore e reazionario. per il laico radicazionista il cattolicesimo si riduce a questo «vecchio cattolicesimo»; il cattolico modernista moderato gli chiede scusa, avvertendolo che c’è «un altro» cattolicesimo.

Intanto, si fa assolvere, presentandogli come cultura cattolica “viva” la stessa cultura laica, depotenziata e svirilizzata; il che rallegrerà il laico, perché lo confermerà nel suo giudizio sul destino di morte che grava sul pensiero cattolico. Siamo giusti: migliore prova non potrebbe averla.

Replicherò a Bolgiani che questa interpretazione «conservatrice e reazionaria» del fascismo è oltremodo contestabile, ed è oggi abbandonata dagli studiosi più seri; o gli farò osservare che le componenti della mentalità di Mussolini, sensibilissima alle influenze più diverse, sono tutte laiche e moderne, cosche nessuno ha mai potuto indicarvi un residuo, neanche inconsapevole, di mentalità «vecchio cattolica»?

Ovviamente, non è questa l’occasione per un tale discorso. Mi limiterò a un punto, la pretesa “compromissione” della Chiesa col fascismo. E’ vero che Bolgiani usa il termine di «gerarchia cattolica»; ma io penso che voglia intendere: «la Chiesa di Pio XI» continuata poi, per quel che riguarda l’orientamento spirituale, nella Chiesa di Pio XII; e sono certo che così hanno interpretato i suoi ascoltatori.

Bisogna distinguere, allora, tra «l’atteggiamento della Chiesa» e «le illusioni di molti cattolici». Perché, se si guarda alla Chiesa, bisogna dire che fu l’unica istituzione che realmente riuscì a resistere al fascismo, impedendogli di realizzarsi come totalitarismo e come «religione secolare»; fece ciò sottraendogli, attraverso un Concordato che riuscì a far rispettare la educazione di gran parte della gioventù; e lo fece per obbedire alla sua missione di custode del messaggio rivelato e non per interessi di potenza temporale; colpo decisivo, perché ciò che specifica un regime totalitario non è la violenza fisica ma il controllo totale della cultura e dell’educazione.

Ben lo sentirono i giovani dei gruppi universitari fascisti di allora, oggi in buona parte inseriti negli stati maggiori dei partiti di sinistra; e chi ricorda quei lontani anni sa bene quanto profonda fosse la loro avversione per l’Azione Cattolica: proprio per quell’Azione Cattolica di Gedda che oggi si vuol far passare per massimamente compromessa.

Vero è che molti cattolici si illusero sul fascismo come «tappa storicamente obbligata» verso un ordine sociale ispirato ai principi cattolici. Certo, anche dei cattolici tradizionalisti, ma i loro nomi sono ormai dimenticati (non però dimenticato il nome di Giuliotti, che non si illuse).

Anche, però, dei cattolici”aperti”; degli antichi modernisti, come Romolo Murri, o don Brizio Casciola, che restò fedele anche al tempo della Repubblica Sociale; e se la memoria non mi inganna mostrò di essere illuso in un discorso che tenne nel ’38 e nel ’39, quale Vicario della Diocesi di Fossano, anche il maestro di Bolgiani, l’attuale Cardinal Pellegrino; e illuso fu certo don Giuseppe De Luca, poi amico personale di Togliatti e guida ideale dei cattolici di sinistra romani. Ben mi guardo, naturalmente, dal mettere in dubbio la loro buona fede; intendo soltanto far osservare che «l’illusione nel fascismo» non serve affatto a distinguere tra i retrivi e gli aperti.

Si potrebbe concludere qui, perché tutto il discorso di Bolgiani è sospeso alla pretesa compromissione della Chiesa col fascismo; una volta che si è dimostrato che non è avvenuta, e che l’illusione fascista ha colpito così cattolici tradizionalisti, così cattolici progressivi (ma non tutti i tradizionalisti e non tutti i progressivi), la critica ai successivi punti è superflua.

Consapevolezza del Pontefice

Ancora qualcosa mi pare tuttavia doveroso aggiungere rispetto a un’immagine di Pio XII che è diffusa e a cui pure Bolgiani indugia: quella di un pontefice «chiuso ai segni dei tempi». Penso esattamente l’inverso: che Pio XII fu una figura tragica perché sentì come pochissimi altri i «segni dei tempi» e li ravvisò nel clima dell’immanentismo etico, con la conseguente idea della «responsabilità attribuita», per cui non si è responsabili ma si è fatti tali dalla storia.

Egli rifiutò perciò di identificare il male col fascismo o con l’attaccamento al passato, lasciando da parte, poi, che si tratta, nell’uno e nell’altro caso, di disposizioni di spirito affatto diverse, e che soltanto possono essere identificate da una pubblicistica di infimo ordine. benché estremamente diffusa e il bene con l’antifascismo o con la mentalità progressiva. Ma a tal rifiuto non fu mosso da simpatia alcuna per il fascismo o per il nazismo, ma per la persuasione che il male del secolo sia ben più profondo e trascenda le sue espressioni parziali, per gravi che siano.

E’ esistito, nell’età giolittiana, un clerico-moderatismo di destra, sancito dal patto Gentiloni del 1913. Gli fa oggi esatto riscontro un clerico-moderatismo di sinistra, che ha fatto la sua apparizione ufficiale al recente convegno. Tuttavia la storia non si ripete: o i fatti si ripetono due volte, diceva Marx a proposito dei due Napoleoni, nel grande e nel piccolo.

Il patto Gentiloni, che oggi non ha buona fama presso i cattolici, di fatto “moderava” i liberali, scindendo liberalismo da anticlericalismo. Il moderatismo di sinistra proposto oggi da certi cattolici apre invece la via a compromessi rovinosi: esprime una cultura che propone vasi di coccio da far coesistere con i vasi di ferro della cultura comunista, o della laico-radicale, o dello stesso progressismo cattolico avanzato.