“E la vita da dove viene?”

vita_origineIl Timone

n.128 dicembre 2013

Agli studenti viene insegnato che è quasi tutto chiaro. Ma di fronte a questo sommo enigma la scienza brancola nel buio e si aggrappa alle ipotesi più improbabili: tra comete “fecondatici”, visite di alieni sulla Terra e combinazioni chimiche che ricordano quelle degli antichi alchimisti

Enzo Pennetta

Ci sono tre grandi domande alle quali la scienza non sa rispondere: la prima è quella sull’origine dell’Universo, la seconda riguarda l’origine della vita e la terza l’origine della coscienza umana e della capacità di comunicazione simbolica. Sulla prima, la scienza non potrà mai rispondere, perché per definizione non può indagare su qualcosa che avviene al di fuori dello spazio e del tempo, sulla terza non può dire molto perché non sappiamo cosa sia la coscienza, ed è infine solo sull’origine della vita la che scienza non può sottrarsi al suo compito di dare una risposta.

La spiegazione che viene data nelle scuole è che in un brodo primordiale di circa 3,8 miliardi di anni fa vennero a formarsi casualmente le condizioni adatte. A dimostrazione di ciò, viene riportato un famoso esperimento del biochimico statunitense Stanley Miller che all’inizio degli anni ’50 produsse un esperimento nel quale, a partire da ipotetiche condizioni dell’atmosfera primordiale, si sarebbero potuti formare gli elementi base delle proteine, gli aminoacidi. Da quel momento, sempre in modo del tutto casuale, con una serie di combinazioni fortunate sarebbe nata la prima cellula.

Al di là del discutibile ricorso alla fortuna per spiegare un fenomeno naturale, quello che viene taciuto è l’abisso che separa quei semplici componenti del brodo primordiale dalla complessità della prima cellula e così gli studenti resteranno con l’ingenua convinzione che in fondo l’origine della vita abbia una spiegazione soddisfacente.

Il calcolo dell’improbabilità

Nessuno dice che dall’esperimento di Miller sono passati oltre sessant’anni e che nel frattempo nessun progresso è stato fatto nella ricostruzione dell’origine della vita, nessuno farà sapere che la nascita per puro caso della prima cellula è così improbabile che negli anni ’80 è stata paragonata dal famoso astronomo Fred Hoyle (ateo e quindi non sospettabile di simpatie creazioniste) alla possibilità che un tornado passando su un deposito di rottami possa lasciare assemblato un aereo di linea.

Se nelle nostre scuole gli studenti fossero informati di questi problemi, potrebbero venire a sapere che fu proprio per questa consapevolezza che lo stesso Hoyle fu portato a ipotizzare che l’Universo fosse eterno e che quindi ci fosse stato un tempo infinito a disposizione affinchè, anche ciò che la matematica indica come fortemente improbabile, possa essere accaduto. E proprio per avere una misura scientifica di quanto fosse improbabile la nascita per puro caso della vita, Hoyle incaricò un suo collaboratore, Chandra Wickramasinghe, di calcolare quali fossero matematicamente le probabilità che la prima cellula si fosse formata casualmente.

Il risultato fu impressionante: una su 1040000, la stessa probabilità che si avrebbe di vincere alla roulette per 25.000 volte di seguito. Ma poiché la Terra esiste solamente da 4,5 miliardi di anni, la vita non avrebbe avuto abbastanza tempo per formarsi aspettando il verificarsi di un così incredibile colpo di fortuna e allora Hoyle, per poter chiamare in causa un tempo infinito, fu costretto a dire che la vita sarebbe giunta dallo spazio.

Questa teoria non era in realtà nuova: consapevoli della brevità dell’età della Terra l’avevano già proposta tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900 grandi nomi come Lord Kelvin e il Nobel per la chimica Svante Arrhenius. Ma Fred Hoyle non fu il solo a prendere nuovamente in considerazione l’ipotesi che la vita fosse giunta dallo spazio; infatti, nel 1972 Francis Crick, che dieci anni prima aveva vinto il Nobel per la scoperta della struttura del DNA, pubblicò un articolo nel quale proponeva addirittura una tesi decisamente fantascientifica, quella di una “panspermia guidata”.

Analogamente a quanto sostenuto da Hoyle, la vita sulla Terra secondo Crick sarebbe giunta dallo spazio, ma per superare le mortali condizioni che avrebbe dovuto affrontare nel viaggio, essa sarebbe stata trasportata su navi spaziali appositamente costruite da civiltà extraterrestri. Si tratta di un’idea che uno scienziato serio deve avere delle difficoltà a proporre pubblicamente, ma proprio l’aver fatto ricorso a questa ipotesi hollywoodiana dimostra le insormontabili difficoltà di fronte alle quali la scienza si è trovata cercando di rispondere alle domande sull’origine della vita.

A più di trent’anni dall’articolo di Francis Crick, l’ipotesi delle navi spaziali che portarono in tempi remoti la vita sulla Terra è stata ripresa da Richard Dawkins, il più famoso dei divulgatori del darwinismo, il quale nel 2008, in un’intervista, confermò che probabilmente la vita sul nostro pianeta è stata “seminata” da una civiltà extraterrestre perché «se si osservano i dettagli della biochimica, della biologia molecolare, si può trovare una specie di firma di un progettista di qualche genere».

Arrivano i marziani

Ma, in attesa che queste ipotesi ardite possano essere confermate, una serie di ricercatori ha abbassato il tiro ed è tornata a cercare l’origine della vita senza far ricorso agli extraterrestri, senza per questo rinunciare all’origine spaziale. In questi ultimi tempi sembra infatti essere scoppiata una nuova moda dei marziani, un po’ una riedizione di quella che alla fine dell’800 fece puntare i telescopi di tutto il mondo sul pianeta rosso alla ricerca delle tracce di una lontana civiltà. Adesso che però le sonde spaziali hanno mostrato una superficie desolatamente desertica, anziché gli omini verdi su Marte si cercano le tracce di forme di vita elementari, anzi neanche quelle: ci si accontenta solo di cercare sostanze che per qualche stravagante teoria dovrebbero aver facilitato la nascita della vita.

Ecco dunque giungere le proposte come quella del prof. Steven Benner del The Westheimer Insitute for Science and Technology (Usa), che alla fine del mese di agosto 2013 ha annunciato che la vita è arrivata da Marte e che quindi noi siamo i marziani. Il motivo di tale conclusione è nel fatto che sul pianeta rosso è presente l’elemento molibdeno in forma ossidata che, sempre secondo il prof. Benner, sarebbe in grado di facilitare la nascita della vita. Superfluo specificare che nei laboratori il molibdeno ossidato non ha mai portato alla nascita di alcunché.

Negli stessi giorni veniva riportata la notizia che C. T. Adcock, E. M. Hausrath e R M. Forster, autori di uno studio pubblicato su Nature, avevano invece indicato sempre Marte come origine della vita, ma per un altro motivo, questa volta non per la presenza di molibdeno ossidato, bensì per quella di fosfati. Anche in questo caso, inutile sottolineare che in nessun laboratorio la presenza di fosfati è sufficiente a generare nulla che ricordi anche lontanamente una cellula.

Ferro e zolfo: la nuova Pietra filosofale

Tra gli scienziati impegnati nella ricerca delle origini della vita, va ricordata anche la giovane promessa statunitense Sheref S. Mansy, conosciuto anche come “Million dollar man” per essere riuscito a farsi finanziare dalla Simons Foundation di New York per ben due volte con la cifra di un milione di dollari che ha poi portato in dote presso l’Università degli studi di Trento. Stavolta non verrà chiamato in causa Marte: Mansy, a differenza degli altri, non vede il mistero dell’origine della vita né nel molibdeno né nei fosfati; il ricercatore statunitense è invece convinto che il segreto della vita sia da cercare nel ferro e nello zolfo, elementi importanti per i processi metabolici, ma anch’essi del tutto insufficienti a generare niente che si possa definire vivente.

Sul comunicato stampa dell’Università di Trento che annuncia il secondo finanziamento per i lavori di Mansy si legge una curiosa affermazione: «Agli occhi del saggio il ferro è incomparabilmente più nobile dell’oro… contiene molto zolfo stabile, di un colore rosso scuro…, scriveva Fulcanelli, l’ultimo famoso alchimista del XX secolo intuendo il ruolo chiave di questi due elementi per la nascita della vita».

Molibdeno, fosforo, ferro e zolfo sono elementi che non possono davvero spiegare nulla riguardo l’origine della vita, ma che finiscono col rendere queste moderne ricerche delle nuove versioni dell’alchimia rinascimentale; i nuovi alchimisti cercano invano di trasformare gli elementi naturali in materia vivente allo stesso modo in cui quelli antichi cercavano di ottenere la Pietra Filosofale per trasformare il piombo in oro.

E così, persa tra storie improbabili come quelle su comete portatrici di vita, di alieni sulle loro navi spaziali e di alchimisti alla ricerca della Pietra Filosofale, l’origine della vita continua a essere un mistero. Ma agli studenti sarà insegnato che abbiamo capito quasi tutto.