La storicità della filosofia in Aristotele

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 di Paolo Ravalli

“E’ un fatto che la filosofia è più essenzialmente e più costantemente di qualsiasi altra scienza legata alla propria storia” (Gigon). Ancor di più nell’ambito della speculazione di Aristotele il tema del rapporto tra tradizione filosofica e ricerca della verità viene in rilievo. Per Aristotele infatti la ricerca filosofica non presenta risultati nei suoi punti essenziali paradossali, provocatori o in assoluto contrasto rispetto ai risultati della tradizione precedente, quasi che ogni ricerca filosofica procedesse innanzitutto facendo tabula rasa di quanto i precedenti filosofi hanno pensato e ricercato.

La philo-sofia si presenta invece come sviluppo e chiarimento delle intuizioni che l’umanità ebbe fin dai primordi e della elaborazione razionale e sistematica della ricerca della verità di cui la tradizione è depositaria. E’ qui evidente che, in Aristotele, esiste un legame essenziale e originale, anche rispetto a tutti i suoi predecessori, tra speculazione filosofica e storia della filosofia.

Lo Stagirita infatti apertamente il conforto con la tradizione e il consensus omnium gentium intorno alle principali verità filosofiche. Ricerca teoretica e attenta analisi di ciò che, riguardo al tema di volta in volta preso in esame, i filosofi del passato o anche solo la saggezza comune attestano, si accompagnano costantemente nella sua opera. Tale atteggiamento di fondo trova riscontro in numerosi passi della “Metafisica“, della “Fisica“, dell'”Etica” e del “De Anima” dove Aristotele pone mano al compito di “fondare storicamente la sua filosofia “, compito che lo porta a “registrare prima di tutto nel dominio della filosofia della natura una estesa e multiforme tradizione” di cui era “assodato il valore essenzialmente positivo”. Aristotele diviene così secondo alcuni storici il primo creatore dell’antica storia della filosofia.

Quali sono però le motivazioni profonde, teoretiche appunto, di questo paragone con le tesi di altri filosofi? Per quale ragione Aristotele è così fiducioso nella comune appartenenza alla tradizione dei filosofi che egli cita, discute, critica o positivamente analizza. Su cosa, in ultima istanza, si basa l’essenziale radicamento storico della speculazione aristotelica?

La domanda suona tanto più centrale, quanto più la riflessione metodologica che dallo storicismo tedesco ha preso avvio (Dilthey tra tutti, ma anche pensatori come Spengler) ha sottolineato la inevitabile relatività di ogni cultura alle proprie condizioni storiche, la fatale prospetticità di ogni “ricerca della verità”. La tradizione appare allora il luogo del “passato”, tanto più lontano ed estraneo quanto più “storicamente” e “filologicamente” ricostruito.

La posizione di Aristotele a tal riguardo è però originale. Per Aristotele il rapporto filosofia-storia della filosofia si regge su una precisa idea dell’uomo, del senso della ricerca filosofica e infine della filosofia stessa. L’uomo, in quanto tale, è orientato in modo irrinunciabile alla filosofia, e, anche se non è filosofo di professione, non può sottrarsi comunque, in qualche misura, al filosofare.

Egli è, difatti, per essenza e per natura, ordinato alla verità e in continua ricerca di essa. Per questo motivo non possono essere indifferenti lo sforzo, il cammino, gli errori e i risultati delle generazioni precedenti, come ben testimoniano appunto l’analisi delle dottrine degli altri filosofi, il rispetto del piano dell’esperienza e del senso comune, e, in ultimo, proprio l’interesse rivolto alla stessa storia della filosofia.

Quale è allora il valore e la portata esatta di questa idea aristotelica di filosofia: che cosa è precisamente la filosofia per Aristotele, come nasce, e quale è il suo particolare legame con l’essenza dell’uomo? Proprio questo allora ci pare il nodo centrale del problema, nodo che andrebbe ulteriormente chiarito: quale è questa ‘struttura’ in forza della quale la filosofia, in maniera diversa e unica tra tutte le ‘scienze’, ha un legame così profondo con la propria storia? Un’interessante opera dedicata specificatamente a tale tema, il libro di L. Lugarini: “L’idea di filosofia in Aristotele” ci può aiutare a trovare una via di accesso ai nodi centrali del pensiero aristotelico su tale argomento…

ARISTOTELE biografia

(a cura della redazione)

Aristotele nacque nel 384 a.C. a Stagira, colonia ionica della penisola calcidica. Dal padre Nicòmaco, medico e amico di Aminta, re di Macedonia, ereditò l’atteggiamento filomacedone e apprese con ogni probabilità i primi rudimenti di biologia e di medicina. Recatosi a 17 anni ad Atene per compiervi gli studi, Aristotele entrò nell’Accademia, dove rimase per una ventina d’anni, fino alla morte di Platone (347 a.C.).

Alla morte del maestro, Aristotele lasciò Atene, recandosi dapprima ad Asso, in Asia Minore, dove sposò la figlia adottiva di Ermia, tiranno di Atarneo, poi a Mitilene, dove fondò una scuola.

Nel 343 venne chiamato alla corte macedone da Filippo II, come precettore del giovane Alessandro, sulla cui formazione ebbe una notevole influenza.

Un anno dopo la morte di Filippo II, nel 335, Aristotele ritornò ad Atene. Qui sovvenzionato da Antipatro, rappresentante di Alessandro in Grecia, fondò una scuola, chiamata Liceo, perchè posta vicino i giardini di Apollo Licio. Questa scuola prese anche il nome di Peripato (o scuola peripatetica), dai giardini che la circondavano, dove Aristotele era solito insegnare mentre passeggiava con i discepoli.

La grande quantità di materiale, riguardante tutti i campi della ricerca speculativa, raccolto nella scuola da Aristotele e dai suoi discepoli, contribuì a formare una grandiosa biblioteca (Museo), vero e proprio modello di tutte le biblioteche celebri del mondo antico. La scuola, protetta dal macedone Alessandro, ne appoggiava naturalmente la politica espansionistica. Per questa ragione era duramente combattuta da Demostene e da tutto il partito antimacedone.

Alla morte di Alessandro (323a.C.), Aristotele, simpatizzante del Macedone, fu accusato di empietà dai nipoti di Demostene e di Isocrate e da un sacerdote. Evitando il processo e un’eventuale sentenza di condanna, si recò in esilio a Calcide, nell’Eubea, dove morì l’anno dopo, a sessantadue anni (322a.C).