Quale evidenza? Il ”senso comune” come fondamento della filosofia

senso_comune Il Timone – n. 12 Marzo/Aprile 2001

Vi sono certezze che precedono la riflessione filosofica. Date a ciascun uomo, sono evidenze e si possono mostrare. E fondano ogni sapere. Tra di esse la nozione di Dio. Chi le nega deve violentare la nostra natura di uomini ragionevoli

di Laura Boccenti

L’espressione “senso comune” indica l’insieme delle certezze che precedono ogni riflessione critica e che quindi costituiscono il punto di partenza necessario della scienza. La scienza, cioè la conoscenza rigorosa e sistematica, deve poggiare su un fondamento. Se consideriamo, ad esempio, la biologia, che è scienza della natura vivente, possiamo osservare che essa esiste in quanto si fonda sull’idea implicita che c’è una natura da conoscere e che la ragione è capace dì conoscerla, cogliendo relazioni e caratteristiche che vengono poi espresse in un sapere strutturato.

Se i biologi si fossero posti il problema di dimostrare previamente l’esistenza della natura vivente o quello di dimostrare la capacità della ragione di conoscerla, la biologia non sarebbe mai nata come scienza. L’esistenza del mondo e l’apertura del pensiero all’essere sono evidenze primarie che sì mostrano, ma non possono e non devono essere dimostrate e ogni tentativo in questo senso è destinato ad un fallimento inevitabile.

La dimostrazione (dal latino de-monstrare = mettere in evidenza) è un ragionamento che, partendo da alcune premesse, arriva a mostrare l’evidenza di una conclusione; se l’evidenza è già data, ovviamente, non deve essere dimostrata. L’evidenza (dal latino evidere = vedere “con immediatezza”) è data dalla presenza “forte” dell’oggetto di conoscenza che si manifesta e che, mentre si manifesta, rivela all’uomo la sua originaria apertura all’essere, la sua capacità costitutiva di accogliere lo splendore dell’essere che si offre.

L’aporia fondamentale (intesa come difficoltà irresolubile) in cui a partire dalla “modernità” si dibatte il pensiero filosofico dipende dal rifiuto di riconoscere l’evidenza della realtà come fondamento della conoscenza. Quando la filosofia ha preteso di fondare il proprio sapere su un’evidenza in grado di garantire una certezza totalmente dimostrabile ha dovuto spostare il principio della conoscenza dall’essere al pensiero, dall’oggetto al soggetto. Il sapere che deriva da un fondamento posto dalla ragione si riduce a mera certezza soggettiva o a impressione sensibile; è un sapere ‘relativo” e non universale perché l’intelleggibilità dipende dal soggetto e non più dall’essere.

Come uscire dal circolo vizioso di una ragione che ha la pretesa di fondarsi su sé stessa? L’unica possibilità è tornare a riflettere sul fondamento domandandosi qua è l’inizio della conoscenza, concentrando l’attenzione sulla situazione originaria di cui ciascun uomo fa esperienza. L’uomo inizia ad avere consapevolezza della realtà sin dalla nascita, anzi, secondo gli studi più attuali, pare che gli inizi della consapevolezza coincidano con l’inizio stesso della vita.

La conoscenza si manifesta alla coscienza spontanea come una certa apprensione del mondo che scaturisce dal contatto sensibile tra il soggetto che conosce e l’oggetto conosciuto; attraverso il contatto si genera nel soggetto una “rappresentazione” della realtà. Nel momento originario della conoscenza si possono distinguere due aspetti, uno passivo” e uno “attivo”.

Da una parte il soggetto è passivo davanti alla cosa conosciuta perché viene determinato dalle sue caratteristiche. Dall’altro il soggetto è attivo in quanto produce un’operazione conoscitiva che suscita la rappresentazione della realtà. lì momento della passività può essere chiamato “momento ontologico” della conoscenza, poiché deriva dalle caratteristiche dell’essere di chi conosce e della cosa conosciuta. Per questo aspetto si può dire che l’inizio è una situazione che non dipende dall’uomo, ma da cui l’uomo dipende; esso è condizione di ogni esperienza in quanto è la situazione ontologica che rende possibile l’esperienza e non può essere dimostrato, ma solo affermato o negato.

Le nozioni del “senso comune” sono le evidenze che derivano dall’esperienza come tale e che strutturano la nostra consapevolezza prima di ogni riflessione critica, per questo esse sono un patrimonio universale che non è condizionato dai mutamenti culturali.

La prima evidenza che si propone all’accoglienza dell’uomo è che “le cose sono”; l’esistenza del mondo materiale è evidente prima e senza alcuna formulazione concettuale o verbale, è l’esperienza fatta dal bimbo che per la prima volta apre gli occhi sul mondo. La seconda evidenza nasce dal percepire se stessi come “altro dal mondo”, come distinti dagli oggetti; l’ “io” inizialmente si percepisce come consapevolezza non concettuale, come coscienza dell’io non come scienza dell’io (la percezione di sé che ha il soggetto non deve essere confusa con il cogito ergo sum cartesiano). L’io fa esperienza di sé come tonte di scelte e di azioni cioè come principio razionale e libero che, all’interno dell’ordine del cosmo, pone i propri atti in vista del raggiungimento di un fine; viene così trovata come terza nozione evidente la dimensione dell’ordine morale.

L’etica naturale si prolunga poi nella “religione naturale” generata dall’intuizione della necessità di un fondamento metafisico del reale; anche nel caso di questa quarta nozione del senso comune non si tratta di una conoscenza filosofica, acquisita attraverso la riflessione critica, bensì di un sapere pre-filosofico. La nozione di “Dio” propria del senso comune non nasce dall’esperienza diretta dell’infinito, né deve essere confusa con una dimostrazione razionale dell’esistenza di Dio; si tratta piuttosto di una nozione che nasce dal riconoscimento della trascendenza dell’essere, dall’intuizione primordiale (e pre-filosofica) dell’esistenza di un fondamento del mondo in cui tutti viviamo, stiamo ed esistiamo.

Ricorda:

“L’armonia fondamentale della Conoscenza filosofica e della conoscenza di fede è ancora una volta confermata: la fede chiede che il suo oggetto venga compreso con l’aiuto della ragione, la ragione, al culmine della sua ricerca, ammette come necessario ciò chi la fede presenta”. [Giovanni Paolo II, Enciclica Fides et ratio, Città del Vaticano 1998, n. 42].

Bibliografia:

Antonio Livi, Filosofia del senso comune, Ed. Ares, Milano, 1990.

Antonio Livi, Il senso comune tra razionalismo e scetticismo, Ed. Massimo, Coll. Scienze umane e filosofia, Milano.

AA.VV., Dal fenomeno al fondamento, Grande enciclopedia epistemologica, n. 119, Edizioni Romane di Cultura, Roma.