Ignazio Maloyan martire cristiano dell’Islam

Abstract: Ignazio Maloyan martire cristiano dell’Islam; l’ arcivescovo armeno preferì la morte all’abiura condividendo la sorte di milioni di armeni uccisi dai turchi nel grande massacro del 1915. L’11 giugno, insieme ad altri 1.600 cristiani, divisi in tre convogli, il vescovo viene deportato. La meta è Diarbékir, ma nessuno vi arriverà vivo. Il capo della polizia, Mamdouh Bey fa un ultimo tentativo di convertire all’Islam i prigionieri: «Coloro di voi che si faranno musulmani torneranno a Mardin sani e salvi e onorati». Monsignor Maoyan risponde: «Noi moriremo per Gesù Cristo».

Articolo pubblicato su Il Giornale lunedì 8 ottobre 2001

Maloyan: pagò con la vita il rifiuto dell’Islam

Vittima della repressione turca venne massacrato assieme a 1.600 cristiani

di Andrea Tornelli

Era un arcivescovo che non amava la politica, non appoggiava i nazionalisti armeni ma si considerava un suddito fedele della Sublime Porta, il sultanato dell’impero Ottomano. Quando era in difficoltà ricorreva alle autorità turche che ha sempre riconosciuto come legittime. È stato deportato, torturato e ucciso dopo che per tre volte aveva rifiutato di abiurare la fede cristiana e di abbracciare l’Islam. Tra i nuovi beati di ieri Giovanni Paolo ll ha elevato all’onore degli altari il primo della lista, è proprio lui, monsignor Ignazio Maloyan, vescovo armeno-cattolico di Mardin, vittima del genocidio del 1915.

Nato nel 1869 a Mardin, cittadina turca non lontana dall’attuale Siria, dove la comunità armeno-cattolica conviveva con altre comunità cristiane e con la maggioranza musulmana, Maloyan era diventato arcivescovo della sua città natale nel 1911. Contrario ad ogni commistione tra la fede cristiana e la politica degli insurrezionalisti, era stato persino decorato dalla Sublime Porta con un alta onorificenza che gli era stata inviata da Istanbul nei giorni di Pasqua del 1915.

Eppure proprio in quel periodo si erano già manifestate le intenzioni delle autorità ottomane di cancellare gli armeni dalla faccia della terra, e anche il mite e «decorato» vescovo di Mardin stava per fini­re nel mirino dei persecutori. In quei mesi più di 1.500 negozi di proprietà di cristiani erano stati saccheggiati e bruciati senza che i colpevoli fossero puniti, i conventi e le chiese venivano chiuse o depredate, i soldati cristiani arruolati nell’esercito ottomano venivano disarmati.

Il l° maggio 1915, Maloyan fa testamento. Nel documento è contenuto un commovente atto di lealtà verso le autorità turche: «Affermo che non ho mai tradito un ordine del nostro Stato sovrano; anzi gli sono stato sempre legalmente fedele, come è dovere del vescovo cattolico. Vi esorto dunque tutti – conclude Maloyan – a seguire questa linea di condotta. Vi affido a Dio, miei adorati figli e vi domando di pregare affinché egli mi dia la forza e il coraggio di attraversare questo momento pericoloso in sua grazia e in suo amore, fino allo spargimento del sangue». Intanto giunge a Mardin la notizia che sono state create delle milizie musulmane il cui compito è quello di arrestare in massa gli uomini cristiani, convogliarli verso una destinazione sconosciuta e durante il tragitto dividerli in gruppi di 500 100 persone, massacrarli e gettare i cadaveri in pozzi profondi.

Alle 8 di sera deI 3 giugno 1915, festa del Corpus Domini, il capo della polizia Mamdouh Bey arresta l’arcivescovo e lo rinchiude in cella. La stessa fine è riservata a una cinquantina di notabili armeno-cattolici della città. Il giorno successivo sono arrestati 662 cristiani e una quindicina di preti. Monsignor Maloyan viene accusato di aver nascosto delle armi. La chiesa armena è sventrata, gli altari distrutti, le tombe dei vescovi aperte, ma non si trova nulla. Il capo della polizia sfoga allora la sua collera contro il guardiano dell’ edificio, inchiodandolo al muro, bastonandolo e cavandogli gli occhi.

Dopo un’udienza farsa in tribunale, l’arcivescovo armeno viene ripetutamente frustato. Uno degli assistenti lo invita a dichiararsi musulmano, così da avere salva la vita. Maloyan risponde: «Non vi resta che farmi a pezzi, ma io non rinnegherò mai la religione». Continua ad essere torturato per una settimana ed è costretto a sentire le urla atroci dei bambini della sua comunità, anch’essi sottoposti a sevizie. La notte del 10 giugno arriva uno sceicco musulmano, accompagnato da 25 mullah, tutti armati di spade: «Scegliete l’Islam o la morte?». I prigionieri dalle celle rispondono: «La nostra scelta è fatta, la morte!».

L’11 giugno, insieme ad altri 1.600 cristiani, divisi in tre convogli, il vescovo viene deportato. La meta è Diarbékir, ma nessuno vi arriverà vivo. Il capo della polizia, Mamdouh Bey fa un ultimo tentativo di convertire all’Islam i prigionieri: «Coloro di voi che si faranno musulmani torneranno a Mardin sani e salvi e onorati». Monsignor Maoyan risponde: «Noi moriremo per Gesù Cristo». Com’era stato pianificato, i cristiani vengono massacrati a gruppi di cento per volta. L’ultimo a cadere è il vescovo, colpito da un proiettile al collo. Aveva 46 anni. La polizia turca fa scrivere un falso referto al medici: «Il decesso di monsignor Maloyan è avvenuto lungo il viaggio, per embolia coronarica».

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Per saperne di più sul massacro degli armeni a opera dei turchi

Metz Yeghern, il Grande Male