Utero in affitto, bimbi nati da padri defunti

Avvenire 3 marzo 2014-03-04inseminazione

Viviana Daloiso

«Se la scienza può farlo accadere, allora anche Dio è d’accordo». Il suo mantra sull’utero in affitto, Maxim Kiyayev, l’ha sentito una volta da un prete di Salonicco. Lui di mestiere fa l’avvocato, a San Pietroburgo.

Lavora per la Rosyurconsulting, uno studio legale russo specializzato in maternità surrogata. L’idea di offrire quel tipo di consulenza, 15 anni fa, poteva sembrare una po’ balzana. Ma oggi, alla porta lussuosa degli uffici (che hanno sedi e rappresentanti sparsi in tutte le capitali d’Europa, Roma compresa), bussano l’80% e forse più delle coppie che scelgono Mosca come meta della ricerca di un figlio.


La Rosyurconsulting offre loro una certezza: qualunque problema possa insorgere, nel “programma”, con noi sarete in una botte di ferro. Che non è poco, visto che la pratica dell’utero in affitto – oltre che in Italia – è vietata in Austria, Francia, Germania, Svezia e Norvegia, mentre in Danimarca, Spagna e Olanda è permessa, sì, ma soltanto a titolo gratuito (e quindi, come ovvio, assai poco diffusa).

Lo studio d’altronde si occupa di tutto: dalla scelta della madre surrogata al certificato di nascita del bambino. Kiyayev e gli altri avvocati sono vocabolari viventi dell’utero in affitto. Conoscono le problematiche, masticano identikit e regole. Sanno che le aspiranti surrogate tendenzialmente sono povere, non hanno istruzione, vengono da paesini della provincia. «Spesso non considerano un lavoro quello che invece dovrebbe essere», spiega Kiyayev. Un atteggiamento che può creare dei problemi (per la Rosyurconsulting, s’intende).

Le grane vere, però, lo studio le ha coi clienti. «Che hanno soldi da spendere – spiega un’altra dipendente, Natalia – e tendenzialmente pensano di poter comprare tutto quello che non hanno o non possono avere». Persino il segno zodiacale di una madre surrogata, tra le richieste più frequenti.

Ma un buon oroscopo è niente in confronto a quello che si può pretendere (e ottenere) in Russia. Dove una legge sulle pratiche di fecondazione assistita non esiste e può tranquillamente succedere (anche se, pare, ancora per poco) che un padre single – un modo diplomatico per dire omosessuale – affitti un utero, in barba alla tanto odiosa e ostentata omofobia del Paese.

Sono poi già tre i casi di surrogazione post mortem. In cui, cioè, è stato utilizzato lo sperma di un padre ormai defunto per far nascere un figlio. L’idea è venuta per la prima volta alla famiglia Zacharov, nel 2005: Georgy è nato orfano, di padre morto per malattia e di madre affittata. Ma il caso più recente, quello della signora Lamara Kelesheva, è senz’altro il più incredibile. La donna, 57 anni, nel 2005 ha visto il suo adorato primogenito Misha ammalarsi di leucemia. E prima della sua morte, nel 2008, ha pensato bene (tra una chemioterapia e un’altra) di convincerlo a lasciarle un’eredità genetica.

Detto fatto, a Lamara restava soltanto l’incombenza di trovare tre donne: una che donasse gli ovuli, le altre due che affittassero l’utero (già, due, nel caso una delle gravidanze non fosse andata a buon fine). Nel 2011 dalle due mamme sono nati 4 gemelli: Ioannis, Feokharis, Misha e Maria. Per cui ora Lamara non reclama solo la nonnitudine, ma la maternità a tutti gli effetti. A dire il vero, con qualche problema legale persino in Russia. Certi nodi d’altronde vanno ancora sciolti, lo sa anche l’avvocato Kiyayev: «Come comportarsi quando i “genitori” muoiono mentre la madre surrogata è incinta? E quando è la surrogata a morire?». Se la scienza può farlo accadere, la legge non sempre è d’accordo.