Fede e Stato

papa_imperoRassegna Stampa – Pisa 15 ottobre 2013
Conferenza svolta su invito del Serra Club pisano dall’avvocato Aldo Ciappi
 
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Siamo nell’anno della Fede proclamato dal Papa Benedetto XVI l’11 Novembre 2012 con il Motu proprio “Porta Fidei”– nel 50° anniversario del Concilio Vaticano II e nel 20° dalla pubblicazione del Catechismo della Chiesa Cattolica.Il Papa invita i cristiani ad intensificare in questo anno «…la riflessione sulla fede per aiutare tutti i credenti in Cristo a rendere più consapevole ed a rinvigorire la loro adesione al Vangelo, soprattutto in un momento di profondo cambiamento come quello che l’umanità sta vivendo. Avremo l’opportunità di Confessare la fede nel Signore Risorto nelle Nostre Cattedrali e nelle chiese di tutto il mondo; nelle nostre case e presso le nostre famiglie, perché ognuno senta forte l’esigenza di conoscere meglio e di trasmettere alle generazioni future la fede di sempre. Le comunità religiose come quelle parrocchiali, e tutte le realtà ecclesiali antiche e nuove, troveranno il modo, in questo Anno, per rendere pubblica professione del Credo.

«Professare con la bocca, a sua volta, indica che la fede implica una testimonianza ed un impegno  pubblici. Il Cristiano non può mai pensare che credere sia un fatto privato. La fede è decidere di  stare con il Signore per vivere con Lui. E questo “stare con Lui” introduce alla comprensione delle ragioni per cui si crede. La fede, proprio perché è atto della libertà, esige anche la responsabilità sociale di ciò che si crede (…) Come si può osservare, la conoscenza dei contenuti di fede è essenziale per dare il proprio assenso, cioè per aderire pienamente con l’intelligenza e la volontà a quanto viene proposto dalla Chiesa».«La conoscenza della fede introduce alla totalità del mistero salvifico rivelato da Dio. L’assenso che viene prestato implica quindi che, quando si crede, si accetta liberamente tutto il mistero della fede, perché garante della sua verità è Dio stesso che si rivela e permette di conoscere il suo mistero di amore  (…)»
«Per accedere a una conoscenza sistematica dei contenuti della fede, tutti possono trovare nel Catechismo della Chiesa Cattolica un sussidio prezioso ed indispensabile. Esso costituisce uno dei frutti più importanti del Concilio Vaticano II (…)»
«Qui, infatti, emerge la ricchezza di insegnamento che la Chiesa ha accolto, custodito ed offerto nei suoi duemila anni di storia. Dalla Sacra Scrittura ai Padri della Chiesa, dai Maestri di teologia ai Santi che hanno attraversato i secoli, il Catechismo offre una memoria permanente dei tanti modi in cui la Chiesa ha meditato sulla fede e prodotto progresso nella dottrina per dare certezza ai credenti nella loro vita di fede»
Questo pressante invito alla riscoperta e alla verifica della propria Fede, rivolto ai cristiani di oggi, deve costituire la premessa necessaria per una nuova evangelizzazione, per far giungere, cioè, al prossimo quel tesoro di verità che ci è stato rivelato; quei “talenti” della famosa parabola, che non possono essere “nascosti” e che vanno trafficati annunziando la buona novella fino ai confini della terra, come Gesù Cristo ordinò agli apostoli quando ascese al cielo («Andate dunque e ammaestrate tutti i popoli della terra battezzandoli nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato»; Mt. 28;19-20).
In questo comando finale è racchiusa l’essenza missionaria della Chiesa, costituzionalmente votata all’ annuncio del Vangelo, delineandosi così la dimensione necessariamente pubblica della fede la quale si incarna e si propaga nelle comunità in cui essa vive. Una fede, quella che, a partire dagli Apostoli, si diffuse rapidamente in tutte le direzioni plasmando le diverse culture, apportandovi la speranza universale di salvezza che Cristo ha promesso a tutti gli uomini senza alcuna distinzione.
Il cristianesimo primitivo dovette sembrare, agli uomini contemporanei, il ridicolo tentativo di un «manipolo di visionari uscito da un minuscolo popolo sottomesso di mettersi contro le forze della civiltà e del progresso, avversato da tutto quanto vi era di più forte nel mondo antico». Al contrario, lo Stato romano, la cultura ellenica, la polis, le antiche religioni orientali, si rivelarono “impotenti a resistere contro l’energia spirituale” del cristianesimo che «costituì l’elemento formatore della cultura europea» (Cristopher Dawson, La religione e lo stato moderno” ed. D’Ettoris, Crotone, 2066, p.45).
Generazioni di cristiani, animati da questo spirito capace di attrarre persone di ogni razza, lingua e cultura, sono riuscite a trasmettere ininterrottamente il deposito della Fede autentica ricevuto dagli Apostoli e custodito dall’autorità di Pietro e dei suoi successori ai quali il Fondatore conferì «le chiavi del Regno dei Cieli» e il potere di legare e di sciogliere «sulla terra… e anche nei cieli» (Mt, 16;19) con il compito di «conferma(re) nella fede i fratelli» (Lc, 23,32). La Chiesa, dunque, non poteva e non potrà mai rinunciare ad essere “missionaria”; “ce l’ha nel DNA” come si dice oggi.
Il cristiano non può tenere «la lucerna nascosta sotto il moggio» (Lc, 11,33) per cui si innesta necessariamente in una dimensione comunitaria, sociale: il cristianesimo è… contagioso («…vi riconosceranno che siete miei discepoli da come vi amerete gli uni gli altriì» (Gv. 13,35). Dove ci sono cristiani, dunque, c’è comunità, e le comunità che hanno accolto il cristianesimo non possono fare a meno, per naturale osmosi, di assorbire i tratti portanti di questa religione che è la religione della carità.
In questo modo, lentamente ma inevitabilmente, il cristianesimo che si diffonde diventa anche “cultura” ossia espressione di una certa comunità e si traduce in leggi rispettose della vita e della dignità di ogni persona in quanto immagine di Dio, in istituzioni per l’educazione delle nuove generazioni e per la cura dei malati, nel culto dei santi e dei morti…; insomma si cala in ogni aspetto della vita di un popolo che pian piano diventa nazione.
Con la rapida espansione del cristianesimo tra le popolazioni una volta sotto il dominio dell’impero Romano, che con la sua implosione aveva lasciato drammatici vuoti di autorità e, conseguentemente, campo libero a scorribande e soprusi di ogni genere, si venne a ricreare, grazie proprio alla natura ordinatrice e rigeneratrice del messaggio evangelico, una nuova rete di relazioni tra comunità con nuove istituzioni che si sostituirono alle precedenti nel regolare la vita delle comunità.
La religione cristiana fece, dunque, per un verso, da collante tra il vecchio e il nuovo e, per l’altro, da ponte tra genti di lingua, tradizioni e costumi diversi che, altrimenti, avrebbero continuato a scontrarsi tra di loro. Non solo; spesso la Chiesa, anche con suoi eminenti rappresentanti, dovette intervenire direttamente per supplire alla debolezza o all’assenza di un qualsiasi potere costituito nei momenti più critici contribuendo, così, in maniera decisiva a ricomporre quell’area geografica, una volta appartenuta all’impero romano ora ridotta in frantumi, ed a guidarla verso una nuova sintesi di civiltà (solo per ricordare alcune tra le figure più grandi: S. Ambrogio, S. Leone Magno, S. Gregorio Magno, ecc. per non parlare dell’opera silenziosa ma imponente dei monaci di S. Benedetto diffusisi rapidamente in tutta Europa).
Una civiltà della quale il cristianesimo fu come quel «lievito impastato nella farina» (Lc. 13, 21) e che si manifestò in tutto il suo splendore a partire dall’XI sec.. Ma questo lento cammino verso una nuova civiltà, di cui il cristianesimo costituiva l’anima, non era affatto il frutto di un progetto o di una strategia pur di lungo respiro. Il cristiano e l’uomo di Chiesa avevano a cuore, principalmente, la salvezza delle anime; della loro anima, prima di tutto, e poi di quelle affidate alla loro guida.
Essi credevano realmente che in questa breve vita terrena erano dei semplici pellegrini in transito verso l’altra, eterna, in cielo. I monaci, nei conventi, pur intenti alla preghiera e allo studio, secondo la loro regola, dovevano anche affrontare la fatica; quindi, insieme, costruivano, bonificavano, trasformavano la realtà circostante rendendola più accogliente e più bella.
In questo modo, mentre continuavano ad alimentare quella luce spirituale che rifletteva dalle profondità dell’anima, quei monaci gettavano, inconsapevolmente, le basi di quella civiltà di cui l’odierna Europa, nonostante i numerosi sfregi patiti con la secolarizzazione, è figlia. Papa Benedetto XVI, in uno dei suoi più importanti discorsi, insieme a quello di Ratisbona, tenuto il 12 settembre 2008 a Parigi al College des Bernardins, luogo simbolo della cultura fondato da S. Bernardo, dal titolo Le origini della teologia occidentale e le radici della cultura europea, ricordava che i monaci che passavano tutta la loro vita in quel chiostro non avevano alcuna «intenzione di creare una cultura e nemmeno di conservare una cultura del passato. La loro motivazione era molto più elementare. Il loro obiettivo era: quaerere Deum, cercare Dio. Nella confusione dei tempi in cui niente sembrava resistere, essi volevano fare la cosa essenziale: impegnarsi per trovare ciò che vale e permane sempre, trovare la Vita stessa».
«Erano alla ricerca di Dio» (…) ma nella ricerca verso una via già tracciata dove  «Dio stesso aveva piantato delle segnalazioni di percorso, anzi, aveva spianato una via, e il compito consisteva nel trovarla e seguirla. Questa via era la sua Parola che, nei libri delle Sacre Scritture, era aperta davanti agli uomini (…). Nel monachesimo occidentale, escatologia e grammatica sono interiormente connesse l’una con l’altra (…). Il desiderio di Dio, le désir de Dieu, include l’amour des lettres, l’amore per la parola, il penetrare in tutte le sue dimensioni. Poiché nella Parola biblica Dio è in cammino verso di noi e noi verso di Lui, bisogna imparare a penetrare nel segreto della lingua, a comprenderla nella sua struttura e nel suo modo di esprimersi».
«Così, proprio a causa della ricerca di Dio,diventano importanti le scienze profane che ci indicano le vie verso la lingua. Poiché la ricerca di Dio esigeva la cultura della parola, fa parte del monastero la biblioteca che indica le vie verso la parola. Per lo stesso motivo ne fa parte anche la scuola, nella quale le vie vengono aperte concretamente. Benedetto chiama il monastero una dominaci servitii schola. Il monastero serve alla eruditio, alla formazione e all’erudizione dell’uomo – una formazione con l’obbiettivo ultimo che l’uomo impari a servire Dio. Ma questo comporta proprio anche la formazione della ragione, l’erudizione, in base alla quale l’uomo impara a percepire, in mezzo alle parole, la Parola». (…) Del monachesimo fa parte, insieme con la cultura della parola, una cultura del lavoro, senza la quale lo sviluppo dell’Europa, il suo ethos e la sua formazione del mondo sono impensabili. Questo ethos dovrebbe però includere la volontà di far sì che il lavoro e la determinazione della storia da parte dell’uomo siano un collaborare con il Creatore, prendendo da Lui  la misura. Dove questa misura viene a mancare e l’uomo eleva se stesso a creatore deiforme, la formazione del mondo può facilmente trasformarsi nella sua distruzione(…)» Gli stessi concetti Papa Benedetto XVI li aveva già espressi, più ampiamente, nella seconda sua Enciclica Spe Salvi nel 2007.
Sin dai tempi di Papa Gelasio I (491-496) erano stati definiti i rapporti tra Chiesa e Impero attorno al principio delle due autorità distinte, l’una che attiene alla sfera dell’anima, l’altra a quella delle cose temporali, le quali si coordinano tra di loro e cooperano, operando ciascuno nel proprio campo specifico, pur restando entrambe sottoposte all’unico capo che è Cristo. Nell’Occidente, che aveva, ormai da tempo, reciso ogni legame politico con Bisanzio (Ravenna cade nelle mani nel 751 nelle mani dei longobardi che di lì a poco furono travolti dai franchi (774), queste due polarità si incontrano in un momento storico particolare dando vita, con l’incoronazione da parte di Leone III a Carlo re dei Franchi nella notte di Natale dell’800, al Sacro Romano Impero.
L’imperatore, grazie all’investitura nelle mani del Papa era diventato così il naturale protettore e difensore della Chiesa di Cristo. Diversamente dalla tradizione nel vicino Oriente, diretta erede della Roma bizantina, dove il potere politico e quello religioso spesso si confondono e la figura dell’imperatore si impone sui capi religiosi, la cristianità occidentale, rimasta coerente al precetto «date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio…» (Lc. 20,25), si presenta come un corpo unico ma con due ambiti distinti, uno spirituale e l’altro materiale a cui corrispondono due capi: il Papa e l’imperatore; quest’ultimo a capo delle cose terrene ma legato, anch’esso, all’autorità spirituale.
Universalità e unità nella distinzione sono le due grandi capisaldi della tradizione giuridica romana e Giudeo-cristiana dell’Europa. Il diritto della Chiesa (all’interno del quale si distingue il diritto divino, sovraordinato, positivo o naturale; dal diritto umano, ecclesiastico o civile) che stava formandosi, e il diritto romano, sopravvissuto alla sua distruzione grazie all’opera dei monaci, potettero, dunque, incontrarsi e influenzarsi vicendevolmente, anche attraverso l’opera dei “Glossatori” del Corpus Iuris Civilis di Giustiniano (le “Pandette fiorentine” furono in realtà rinvenute nella chiesa pisana di S. Pietro in vinculis ivi pervenute nel XII sec. Dopo il sacco di Amalfi e furono tradotte dal greco dal giurista Burgundio Pisano) per costruire quella grande architettura giuridica che fu lo ius Comune medievale dove accanto e sotto la massima autorità politica, alla quale si addice la lex, fonte giuridica primaria, furono accolte ed ordinate altre fonti del diritto e principalmente la consuetudine nella quale erano lentamente calati i valori cristiani.
In quel periodo matura nelle coscienze, e si protrarrà almeno fino alla rottura col protestantesimo, quell’unità spirituale e religiosa dei popoli che costituivano, già all’epoca, un’entità geo-politico-culturale, ben definita e chiamata Europa, con «una nuova visione della vita e del mondo nella quale Impero e Chiesa rappresentano due aspetti di un’unica realtà storica la res publica cristiana…” (Francesco Calasso, Medioevo del diritto, Milano, 1954, p.169-170).
Per inciso e per evitare fraintendimenti: non si vuole certamente qui idealizzare un periodo storico piuttosto che un altro; sappiamo bene tutti che la storia umana, senza eccezione di tempi e di luoghi, è stata e sarà percorsa da ingiustizie, soprusi e delitti efferati. Non poteva, pertanto, sottrarsi a tale legge generale quel lungo periodo storico durato una decina di secoli che, dal Rinascimento in poi, fu, alquanto impropriamente, definito un“medio evo”, un po’ troppo semplicisticamente liquidato come di “transizione” o, per gli illuministi francesi del ‘600, di “oscurantismo”.
Tuttavia, a fare giustizia di tanti, troppi, luoghi comuni e falsificazioni della verità, che a partire dall’illuminismo in poi, hanno proliferato sui cattivi libri di storia, nei media e quindi nella mentalità corrente,ì vale per tutti quell’ormai noto passaggio di Leone XIII, il Papa tanto caro al nostro Beato Toniolo, nell’enciclica “Immortale Dei” (1885) che val la pena qui di riportare: «Vi fu un tempo in cui la filosofia del Vangelo governava la società: allora la forza della sapienza cristiana e lo spirito divino erano penetrati nelle leggi, nelle istituzioni, nei costumi dei popoli, in ogni ordine e settore dello Stato, quando la religione fondata da Gesù Cristo, collocata stabilmente a livello di dignità che le competeva, ovunque prosperava, col favore dei Principi e sotto la legittima tutela dei magistrati; quando sacerdozio e impero procedevano concordi e li univa un fausto vincolo di amichevoli e scambievoli servigi. La società trasse da tale ordinamento frutti inimmaginabili, la memoria dei quali dura e durerà, consegnata ad innumerevoli monumenti storici, che nessuna mala arte di nemici può contraffare od oscurare. Il fatto che l’Europa cristiana abbia domato i popoli barbari e li abbia tratti dalla ferocia alla mansuetudine, dalla superstizione alla verità; che abbia vittoriosamente respinto le invasioni dei Maomettani; che abbia tenuto il primato della civiltà; che abbia sempre saputo offrirsi agli altri popoli come guida e maestra per ogni onorevole impresa; che abbia donato veri eì molteplici esempi di libertà ai popoli; che abbia con grande sapienza creato numerose istituzioni a sollievo delle umane miserie; per tutto ciò deve senza dubbio molta gratitudine alla religione, che ebbe auspice in tante imprese e che l’aiutò nel portarle a termine. E certamente tutti quei benefici sarebbero durati, se fosse durata la concordia tra i due poteri».
E’ con la Rivoluzione (o Riforma) protestante nella prima metà delXVI sec. Che si ebbe una prima profonda frattura di questa societasì cristiana sostanzialmente unitaria che tanti buoni frutti aveva prodotto in ogni campo. All’interno di quelle nazioni che, a seguito di essa, si staccarono da Roma, la religione venne attratta nella sfera della politica; il re diventò anche il capo della “chiesa” come in Inghilterra, o, negli altri casi, i “pastori” prestavano comunque obbedienza al sovrano.
Si affermò, con il trattato di Vestfalia nel 1648, dopo l’ultima sanguinosa “guerra dei 30 anni”, il principio “cuius regio eius et religio” in base al quale ai sovrani era riconosciuto il “diritto” di imporre ai propri sudditi la loro religione; si gettavano perciò le basi dello “stato moderno”. Quello che viene generalmente definito come una vittoria della libertà religiosa sulla Chiesa e sul Papato, in realtà dovrebbe essere letta come l’incipit delle persecuzioni subite dai tanti cattolici presenti in Inghilterra e in tutto il nord Europa, ad opera dei loro sovrani che, in applicazione di quel principio, adottarono misure repressive durissime contro religiosi e fedeli che a migliaia furono perseguitati e non di rado martirizzati per la loro fede, spazzata via per sempre da quelle terre (si veda, per l’Inghilterra, il recente volume di Elisabetta Sala: “Elisabetta, la sanguinaria”, ed. Ares 2010).
Di queste vicende, purtroppo, è difficile trovare traccia nei manuali di storia. Anche nei paesi rimasti cattolici, la tendenza del potere politico era tuttavia quella di rosicchiare sempre più spazi a scapito della società civile in cui operavano beneficamente le istituzioni religiose. La figura dei cd. “re illuminati” rimanda chiaramente a questo processo di trasferimento coatto verso il sovrano che tende ad occuparsi sempre più invasivamente della vita dei suoi sudditi. Esemplare in tal senso è la Francia e la sua dinastia reale che, addirittura, arriva ad identificare lo stato nella persona del suo sovrano. Non a caso questa nazione fu il teatro, alla fine del XVIII secolo, di quel grande rivolgimento sociale e politico che cambiò radicalmente il modo di concepire il potere, con l’affermarsi di uno Stato fortemente accentrato e dotato di occhiuta e capillare organizzazione sul territorio.
In questo contesto «la religione si ritirò a poco a poco nella vita interiore dell’uomo e lasciò la vita politica e sociale allo stato e a una civiltà che gradualmente si secolarizzava…» (C. Dawson, La religione e lo stato moderno, cit. pag. 46).
In questo nuovo assetto di poteri uscito dalla Rivoluzione francese (che nonostante futili tentativi restauratori sovvertì radicalmente il rapporto con l’ordine precedente svincolando il potere politico da ogni riferimento alla sua origine soprannaturale e dalla sacralità dell’ esercizio delle sue funzioni) la religione doveva pian piano ritirarsi nella sfera individuale. Uno Stato come quello – basato sull’astratto quanto indefinibile concetto russeauiano della “volontà generale” alla quale i singoli individui, bon grè ma lgrè, devono sottomettersi, e che non riconosceva più alcuna autorità o alcun ordine etico e giuridico sopra di sé – avrebbe potuto assumere forme più o meno invasive a seconda della natura delle ideologie politiche che man mano si affacciavano sulla scena.
Esso avrebbe, teoricamente, potuto continuare, sì, a collocare il bene comune come orizzonte della propria azione ma poteva, altresì, diventare, come in effetti ben presto diventò, un formidabile strumento fine a se stesso ed a servizio di Un potere dispotico (come già aveva teorizzato il Machiavelli) o di un’ ideale astratto o bislacco partorito da qualche filosofo preso troppo sul serio.
Su questo piano si può facilmente osservare che le ideologie politiche come il liberalismo, il nazionalismo e il socialismo, che si affacciarono alla storia nel XIX secolo non sono altro che l’espressione “secolarizzata” di valori, come la libertà, l’uguaglianza, la fraternità, che il cristianesimo aveva apportato come novità e diffuso in ogni strato della società.
Nella dimensione ideologica, però, queste istanze, ormai non più irrorate dalla linfa spirituale che le alimentava, assumono tratti ipertrofici fino al livello di vera e propria “idolatria”. Così offuscate, le menti sempre più facilmente si infiammavano in nome di astratti ideali di Libertà, di Nazione, di Giustizia Sociale, e quando qualcuno tenterà di tradurli in azione politica, per un processo che Augusto Del Noce definì l’ “eterogenesi dei fini”, finirono, non di rado per scatenare, nel XX secolo, conflitti e spargimenti di sangue mai visti in precedenza.
Quel grandioso dono della libertà che ogni uomo riceve da Dio per cercare la verità e per compiere il bene, si indirizza verso rivendicazioni ssolute in campo economico e ed etico (il “relativismo etico”) che disintegrano ogni legame sociale e familiare; il concetto di nazione, che racchiude l’ amore per terra dei padri, segno di appartenenza ad un popolo e alle sue tradizioni, diventa esaltazione fanatica della propria appartenenza che genera conflitti internazionali; il senso della giustizia sociale come attenzione e tutela verso i più poveri e deboli si trasforma in odio radicale contro la proprietà privata e porta alla dittatura del proletariato e alla statolatria che genera il gulag (cfr. C. Dawson, op. cit. 47).
Già il Beato Pio IX, nella seconda metà del XIX secolo, con il “Sillabo” (“sommario dei principali errori dell’età nostra”), aveva individuato i principali pericoli insiti nelle correnti di pensiero politico che si stavano affermando, in opposizione alla concezione tradizionale dello “Stato”; uno Stato fondato non su un’ astratta volontà generale, come quello scaturito dalla Rivoluzione francese, ma rispettoso della legge di Dio, e della legge naturale che da esso promana.
Il Papa non fu però ascoltato. Come sono andate le cose lo sappiamo tutti; la storia si è assunta l’onere di verificare, al prezzo di milioni e milioni di morti, la falsità dei presupposti delle suddette ideologie. Sono dinanzi a tutti, infatti, gli orrori del nazismo e del comunismo, nei confronti dei quali non dovremmo mai abbassare la guardia perché le cattive idee, le cattive filosofie, se non estirpate dal cuore dell’ uomo, si ripresentano.
Ma sono dinanzi a tutti noi anche le macerie di una società, come quella in cui oggi viviamo, egoista e libertina, piegata su se stessa, incapace di ascoltare il dolore del prossimo, di accogliere la nuova vita che nasce nel seno materno, di prendersi cura del malato e dell’anziano… Una società che, stravolgendo il corretto concetto di laicità dello Stato, è oggi ammalata di laicismo, ulteriore e non meno pericolosa ideologia, secondo cui lo Stato non deve riconoscere alcun principio etico o giuridico, universalmente accettato in quanto iscritto nell’immutabile natura razionale dell’uomo, tutto essendo relativo e mutevole, anche l’uomo e la sua natura, al mutare delle mentalità e alle mode del tempo.
Anche nello Stato “laicista” viene reciso, non necessariamente in maniera esplicita, spesso anzi per vie di fatto, ogni legame con la religione considerata, conformemente alle altre ideologie, un ostacolo da abbattere, in perfetta sintonia con una visione lineare e progressiva della Storia con la maiuscola, autentico dogma moderno di questa religione secolarizzata.
Questo descritto, viceversa, non era affatto un percorso storico “obbligato”. Qualcosa di ben diverso, infatti, si è avuto negli U.S.A., il cui il modello confederale di Stato, adottato dalle ex colonie che si staccarono dall’Inghilterra principalmente per motivi di natura fiscale, nella sua classica definizione nella Costituzione del 1787, riconosceva – e riconosce tuttora – un’area intangibile di concrete libertà individuali, tra le quali spicca quella religiosa, nella sua più ampia declinazione. Un modello di laicità, quello americano, rispettoso delle diverse realtà culturali e religiose già presenti tra i primi coloni, la cui era, ed è in larga parte ancora, del tutto estranea la pretesa rousseauiana di educare e formare il “buoncittadino”, propria del modello ereditato dalla rivoluzione francese, ed esportato, o meglio imposto, anche nel nostro paese con l’unificazione di impronta “liberale” e filo-massonica dell’Italia.
Il processo di unificazione del nostro paese fu, infatti, caratterizzato da un’ostilità dichiarata verso il cattolicesimo profondamente radicato nel popolo, e verso la Chiesa, considerati nemici del “Progresso” (basti pensare all’ soppressione degli ordini religiosi e all’ esproprio di tutti i loro beni con cui si provvedeva all’assistenza dei poveri e dei malati).
Questo nuovo modello di “Stato”, al quale continuò ad ispirarsi, rafforzandolo sotto vari aspetti, il successivo regime fascista, per questi suoi tratti accentratori e ideologici, può propriamente definirsi come “etico”. Questo termine dice relazione con l’obiettivo del potere pubblico di imporre, in primis attraverso l’istruzione pubblica, obbligatoria e tendenzialmente monopolistica, la propria visione del mondo che, pur con qualche variante al suo interno, si identifica con la già citata “religione civile del Progresso” (cfr. “Religione e progresso” ed. Lindau, 2012 ancora di C. Dawson), di cui il famoso “Vittoriano”, simbolo massonico per eccellenza, fatto innalzare dopo l’unità d’Italia e dedicato alla Dea Roma, resta l’emblema a futura memoria.
Anche senza giungere al livello parossistico di vero e proprio “culto”, come nella Germania, culla della filosofia hegeliana, è “etico” quello Stato che si arroga il potere di sostituirsi alla famiglia nel compito educativo, negando il principio di sussidiarietà, cardine di ogni società rispettosa delle libertà concrete, da sempre enunciato e difeso dalla Chiesa nella sua Dottrina Sociale, in base al quale lo Stato deve limitarsi a svolgere una funzione ausiliaria e di sostegno alla famiglia.
Nonostante, da un lato, l’archiviazione dell’ideologia fascista e del suo ordinamento statale, e, dall’altro, l’introduzione di una Carta Costituzionale nel 1948 che nella prima parte proclama i principi di pluralismo e di libertà religiosa (art.8) nel rispetto dei valori fondanti della nostra Nazione, quali la famiglia, la solidarietà sociale e la proprietà privata ecc, l’esperienza di questi ultimi decenni ci insegna, tuttavia, che quel modello di Stato, all’interno del quale la religione viene man mano sospinta fuori da ogni ambito sociale e pubblico per essere relegata a mero fatto privato, è tutt’altro che scomparso.
E questo perché (cfr. C. Dawson, La religione e lo stato moderno, cit. pag. 46) «la nuova civiltà secolarizzata non si accontenta di dominare il mondo esteriore e di lasciare la vita interiore dell’uomo alla religione, pretende l’uomo nella sua totalità (…) le forze spirituali che devono la loro esistenza al cristianesimo si sono rivoltate contro di esso e sono diventate i centri della Rivolta anticristiana…»
Quel processo di svuotamento dei valori cristiani nella società e di rivolta contro di essi, ha subito, in questi anni, una forte accelerazione grazie all’opera di potenti lobbies mondialiste che agiscono spesso sotto copertura di sigle riconducibili all’O.N.U. o alla stessa U.E. (si pensi, ad es., al contributo di queste nella rivoluzione dei costumi sessuali e delle dinamiche familiari; cfr. “Contro il cristianesimo, l’ONU e l’U.E. come nuova ideologia” di Eugenia Roccella e Lucetta Scaraffia, ed. Piemme, Milano 2005), complice anche l’impreparazione o addirittura il cedimento del mondo cattolico e dei suoi rappresentanti politici, disattenti al Magistero della Chiesa che, anche con il Concilio Vaticano II, aveva invitato i cristiani a rigettare «l’infausta dottrina che si sforza di costruire la società senza tenere alcun conto della religione e impugna e abbatte la libertà religiosa dei cittadini» (Costituzione Dogmatica “Lumen gentium”, cap. IV, 36).
In pochi decenni è stato, così, possibile trasformare radicalmente la nostra cultura e il nostro assetto legislativo introducendo leggi permissivistiche in materia di divorzio, di aborto (mentre si affaccia all’orizzonte l’ eutanasia) e cancellare l’ eredità spirituale e le opere sociali e culturali che il cristianesimo nei secoli aveva accumulato e tramandato fino alla nostra generazione, tanto da indurre i recenti Pontefici a prendere atto dell’ urgente necessità di una reimplantatio evangelii in una società che, dimentica di Dio, si sta rapidamente dissolvendo, come stanno a dimostrare le statistiche demografiche e sulle dinamiche familiari che offrono il quadro di una crisi che è decisamente strutturale.
Pertanto, a differenza di quanto avvenne nel dopoguerra, quando fu possibile una rapida ripresa grazie all’esistenza e alla tenuta di un sano tessuto sociale ancora incentrato sulla famiglia, oggi non esistono ricette economiche per risolvere l’attuale crisi, dovendosi gettare piuttosto le fondamenta per una nuova futura civiltà fondata su valori spirituali e religiosi senza i quali non può esistere e sopravvivere alcuna nazione.
In un contesto come quello attuale, che vede prevalere forze culturali e politiche, deliberatamente ostili alla religione cristiana, almeno ogni volta essa cerchi di varcare i confini del sagrato, diventa imprescindibile per la Chiesa e per i cristiani esigere dallo Stato, non solo per loro stessi in ragione dell’annuncio evangelico, ma per l’intero genere umano, il rispetto del fondamentale diritto alla libertà religiosa, attorno al quale tutti gli altri si modellano.
Questo diritto – ci dice il C.C.C. n. 2108 – “non è né la licenza morale di aderire all’errore, né un implicito diritto all’errore, bensì un diritto naturale della persona umana alla libertà civile, cioè all’immunità da coercizione esteriore, entro giusti limiti, in materia religiosa, da parte del potere politico”. Questo diritto naturale deve essere riconosciuto nell’ordinamento giuridico della società così che divenga un diritto civile”
Ma (ancora il C.C.C. n. 2109) “il diritto alla libertà religiosa non può essere di per sé né illimitato, né limitato semplicemente da un ordine pubblico concepito secondo un criterio positivista o naturalista. I giusti limiti che sono inerenti a tale diritto devono essere determinati per ogni situazione sociale con la prudenza politica, secondo le esigenze del bene comune, e ratificati dall’autorità civile secondo norme giuridiche conformi all’ordine morale oggettivo”.
Come nei secoli passati la Chiesa affrontò e respinse i tentativi di interferenza del potere temporale nella successione apostolica (cd. “lotta per le investiture”), così, oggi, “con l’affermazione esplicita della libertà religiosa, il Magistero della Chiesa garantisce la coscienza dell’uomo da ogni impropria intrusione da parte della società in genere e della stessa società politica in specie, che l’età contemporanea ha conosciuto e conosce nella sua terribile e precedentemente ignota espressione totalitaria, tra i totalitarismi includendo quello aperto oppure subdolo costituito da una democrazia senza valori “ (Giovanni Cantoni,”Note a proposito della libertà religiosa” in “Libertà religiosa, “sette” e “diritto di persecuzione”, di G. Cantoni e M. Introvigne, ed. Cristianità, Piacenza 1996, pp.28-29).
Libertà religiosa, dunque – come ebbe a dire Benedetto XVI° a conclusione del citato discorso di Parigi agli uomini di cultura – per ritornare a quel “quaerere Deum”, cercare Dio e lasciarsi trovare da Luioggi non meno necessario che in tempi passati. Una cultura meramente positivista che rimuovesse nel campo soggettivo come non scientifica la domanda circa Dio, sarebbe la capitolazione della ragione, la rinuncia alle sue possibilità più alte e quindi un tracollo dell’umanesimo, le cui conseguenze non potrebbero essere che gravi. Ciò che ha fondato la cultura dell’Europa, la ricerca di Dio e la disponibilità ad ascoltarLo, rimane anche oggi il fondamento di ogni vera cultura” (Benedetto XVI “Le origini della teologia occidentale e le radici della cultura europea”).