E «Don Gius» andò controcorrente

GiussaniAvvenire 11 settembre 2013

Piero Gheddo

È davvero monumentale la prima biografia del fondatore di Comunione e Liberazione, in uscita da domani per Rizzoli. Si intitola semplicemente «Vita di Don Giussani», conta ben 1350 pagine (euro 25) ed è stata scritta dal giornalista Alberto Savorana, a lungo e tuttora impegnato nell’informazione e nell’attività editoriale del movimento creato da «don Gius».

Il testo, ricco di fatti e documenti inediti, esce a 8 anni dalla scomparsa del sacerdote lombardo e promette di ricostruire per la prima volta con completezza la vicenda umana e spirituale di un uomo che è stato indiscutibile «maestro» per migliaia di giovani, italiani e no.

Il volume sarà presentato il 18 settembre all’Università Cattolica di Milano (dove don Giussani ha insegnato a lungo), alla presenza di don Julián Carrón, attuale presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione, del rettore Franco Anelli, del vicario episcopale Luca Bressan, del giornalista e storico Paolo Mieli, del presidente della Fondazione per la Sussidiarietà Giorgio Vittadini e di Eugenio Mazzarella, ordinario di Filosofia teoretica all’Università di Napoli; coordina Monica Maggioni, direttore RaiNews24.

Ingresso su prenotazione fino ad esaurimento posti, info: 02/86455162.

Ho conosciuto «don Gius» nel 1958-1959, quando andavo a sentire le sue catechesi su Gesù Cristo ai giovani dell’Azione cattolica e di Gs (Gioventù studentesca) in via Statuto 2 a Milano. Presentava Gesù non come un personaggio storico da studiare, ma presente oggi tra noi, il Figlio di Dio unico Salvatore dell’uomo. Ripeteva con voce commossa, a volte tonante: «Dobbiamo innamorarci di Gesù, che è sempre presente qui e in noi!». E raccontava come la «vita nuova» è avere Gesù Cristo come primo punto di riferimento.

Ben prima del Concilio Vaticano II, Giussani diceva che se la fede non umanizza la vita dell’uomo e della società, non conta nulla. Non avevo mai sentito una testimonianza così appassionata e convincente di quello che significa essere cristiano e prete. Don Giussani ci faceva incontrare con la persona di Gesù, toccando il cuore di molti.

Era il carisma di questo grande prete e maestro: commuoveva e convinceva chi lo ascoltava senza pregiudizi e col cuore libero e aperto. Alla domenica mandava i suoi studenti di Gs nei quartieri poveri della periferia milanese e anche oltre (nella «Bassa»), per aiutare le parrocchie nascenti e conoscere dal vivo i problemi dell’uomo nel contatto amichevole con i poveri: non si trattava di poche decine di studenti, ma di migliaia

Poi ho incontrato don Giussani quando il Sessantotto ha sconvolto l’Occidente e la Chiesa: era un mix di laicismo, individualismo, marxismo, radicalismo… «In 2000 anni il cristianesimo non ha creato il “mondo migliore” – si diceva anche negli ambienti cattolici –, ripartiamo dunque da zero, il marxismo è la ricetta “scientifica” per farlo»… Il Sessantotto è stato molto negativo per la scuola, la famiglia, la politica, la società italiana, la Chiesa. È nato come protesta degli studenti contro i “baroni” delle Università, poi si è rivolto contro i politici, la scuola meritocratica, i “padroni” delle fabbriche, la Polizia e la giustizia, i vescovi e anche contro Paolo VI, «Papa martire del secolo XX».

Nelle assemblee studentesche prevaleva il pensiero unico: chi proponeva qualcosa di diverso era minacciato, a volte picchiato. I sessantottini volevano un «uomo nuovo», una «società giusta», la «pace nel mondo». Ideali possibili solo a partire da Gesù Cristo, eppure nessun gruppo di contestatori cattolici aveva il coraggio di proclamare questa grande verità della fede. All’epoca la Chiesa italiana e le associazioni cattoliche tradizionali apparivano passive, impotenti, soggiogate della cultura dominante.

I cattolici si ritiravano nella cosiddetta «scelta religiosa» e lasciavano ai «laici» l’università, le scuole, la cultura, i giornali.  Erano diverse in quegli anni le comunità di fedeli che si staccavano dal vescovo; non pochi sacerdoti uscivano per «sperimentare un nuovo modo essere prete». Quasi nessuno è rientrato. Non era facile conservare la fede e l’appartenenza alla Chiesa e andare contro-corrente era pericoloso.

All’inizio degli anni Settanta nasce Comunione e Liberazione, reazione provvidenziale alle ideologie anti-cristiane. Un movimento che ha reso visibile la presenza dei cristiani nel mondo dell’educazione e nella società. Nel 1973 Cl non aveva una sede a Milano e non trovava spazi nelle strutture diocesane. Fu un mio confratello, padre Giacomo Girardi, appena rientrato da Hong Kong per dirigere il Centro Pime di Milano, ad aprire subito le porte: tutto il terzo piano del nuovo edificio (18 locali, circa 600 mq) venne affittato al nuovo movimento.

La presenza di don Giussani e di Cl nel Centro è durata vent’anni, fino al 1993, ed ha creato una simbiosi che ha portato all’Istituto una trentina di vocazioni. Nell’ottobre 1973 padre Girardi organizzava poi in modo grandiosamente pubblico la prima Veglia, alla vigilia della Giornata missionaria mondiale di ottobre. Era un gesto coraggioso, in tempi in cui i cortei erano sempre e solo di protesta e di violenza.

Invece, con Madre Teresa in testa, migliaia di persone sfilarono da una chiesa del centro fino al Duomo, dove attendeva il cardinale Colombo, e tutto andò bene. Cl era e fu sempre in prima linea in queste e molte altre manifestazioni simili. Memorabile la Veglia dell’ottobre 1975, quando 100.000 giovani camminarono dal Castello Sforzesco lungo via Dante pregando, digiunando e cantando, sotto gli striscioni che riportavano le Beatitudini. Il giorno dopo Il Corriere della Sera dedicava all’insolito avvenimento una pagina col titolo: «Dunque, i cattolici ci sono ancora!».

Poi vennero la campagna contro la legge sull’aborto (il 22 aprile 1977 a San Siro una «Festa per la Vita» coinvolse 80.000 giovani, 18 vescovi, 200 preti e ancora Madre Teresa), le campagne a favore dei profughi da Vietnam e Cambogia, con l’impegno della Caritas e delle parrocchie che ne hanno accolti circa 3000; per i cristiani e la pace in Libano, contro la fame nel mondo. Don Giussani approvava e sosteneva tutto, santo prete ed eccezionale animatore di giovani alla fede in Cristo. Ringrazio il Signore di averlo conosciuto e Alberto Savorana per questa biografia – dove c’è tutto, proprio tutto di lui. Al Centro Pime ogni sabato si teneva la «Scuola di comunità» di Cl per gli studenti; l’afflusso esauriva spesso la capienza (950 posti).

Quando parlava don Giussani, andavamo a condividere la passione di quei giovani, seduti anche per terra. «Don Gius» parlava animato ed esprimeva concetti teologico-culturali di non facile comprensione; ma quei ciellini, attenti e concentrati, scrivevano sui loro quadernetti ciò che diceva. Chissà cosa scrivevano; ma quella partecipazione di massa era un importante «segno dei tempi» al contrario: nella confusione di idee, voci e ipotesi di quel periodo, tanti giovani volevano cioè riscoprire le certezze della fede, per un dare un orientamento sicuro alla loro vita.

E Giussani era l’uomo giusto per questo. Negli anni Settanta, le ideologie del Sessantotto non attaccavano Gesù Cristo «il primo socialista», ma la Chiesa, che Giussani difendeva con tutte le forze. Quando scandiva: «Ricordatevi, Gesù Cristo è l’unica ricchezza che abbiamo e Gesù lo incontriamo solo nella Chiesa cattolica, nel Papa e nei vescovi a lui uniti!», qualche volta scoppiavano spontanei gli applausi.