Obbligare i medici a prescrivere la pillola dei cinque giorni dopo? Ipotesi piena di «scivoloni scientifici»

pillolaTempi.it, 20 luglio 2013

Renzo Puccetti, specialista della società Medico-Scientifica Promed Galileo, spiega a tempi.it tutti i falsi miti apparsi su una delle più note riviste di ginecologia sulle “pillole dei giorni dopo”

di Benedetta Frigerio

Un articolo sulla cosiddetta “contraccezione di emergenza” e contro l’obiezione di coscienza è apparso su una delle riviste ginecologiche più diffuse in Italia. Sull’ultimo numero di Aogoi (Associazione ginecologi e ostetrici ospedalieri italiani), Francesco Scaglione e Vania Cirense hanno messo in fila una serie di dati che sono «dei veri e propri scivoloni scientifici, che si sperano frutto di mera disattenzione», spiega a tempi.it Renzo Puccetti, specialista della società medico-scientifica Promed Galileo.

Secondo gli autori dell’articolo il farmaco Upa (“pillola dei cinque giorni dopo”) sarebbe più efficace del Lng (Levonorgestrel o “pillola del giorno dopo”), pertanto il medico dovrebbe essere obbligato a prescriverla subito, perché un ritardo potrebbe provocare «una gravidanza indesiderata». In tal caso, si legge ancora, sarebbe giusto che il medico risarcisca la donna e persino il bambino nato.

Quali sono gli «scivoloni scientifici» dell’articolo?

Credo si debba partire dagli stessi dati su cui si sono basati gli autori per sviluppare il loro ragionamento. La corretta stratificazione del profilo di efficacia di Upa e Lng indica che il primo è più efficace del secondo soltanto quando somministrato entro 24 ore dal rapporto sessuale. Secondo il parere del Consiglio Superiore di Sanità, poi recepito dall’Agenzia del Farmaco, per il possibile effetto antinidatorio (eticamente è un effetto abortivo ultra-precoce) della molecola dimostrato da una serie di evidenze cliniche, è necessario che la donna effettui prima un test di gravidanza che deve risultare negativo. Sulla base dei tempi medi di accesso a queste procedure e di questo ulteriore passaggio per l’Upa, molto difficilmente la prescrizione di ulipristal potrà avvenire prima delle 24 ore dal rapporto sessuale.

E quindi?

Significa che tutta l’argomentazione svolta dagli autori di fatto decade. La metanalisi illustrata indica infatti che dalle 24 alle 72 ore (cioè da uno a tre giorni) dopo il rapporto non c’è alcuna differenza statistica di efficacia tra le due molecole. Vi è sicuramente una diversità pecuniaria. La pillola che appare favorita dagli autori dell’articolo è più costosa. Infatti il prezzo del Lng è di circa 12 euro, contro i quasi 35 di Upa a cui si aggiunge il costo del test di gravidanza.

L’articolo dice anche che il medico dovrebbe essere obbligato a risarcire la donna a cui non ha prescritto la pillola nel caso in cui rimanga incinta.

Si tratta di una visione che non condivido in alcun modo. Di solito il rapporto fra medico e paziente non funziona come quello tra cliente e distributore automatico. Il paziente espone un problema, il medico svolge le proprie valutazioni per risolvere il problema secondo scienza e coscienza. Tra i compiti vi è anche quello di offrire una completa informazione alla donna fra cui ovviamente rientra la probabilità di gravidanza, l’efficacia stimata delle molecole ed il loro possibile meccanismo d’azione. Se nessuna delle soluzioni sembra al paziente adeguata c’è una cosa semplicissima: l’interruzione della relazione medico-paziente.

Perché allora si parla di negligenza e di colpa del medico che non prescrive immediatamente il contraccettivo? Si sostiene che sia un intervento da praticare con urgenza.

Contrariamente a quanto dice il nome con cui le si indica, la somministrazione post-coitale di queste molecole è tutto, tranne un intervento urgente. Sono i dati scientifici ad evidenziarlo. Per l’Upa l’efficacia risulta costante fino a 96 ore dal rapporto. Per il Lng era diffusa l’opinione che l’efficacia si riducesse col passare delle ore; questo era però legato ad una conoscenza parziale della letteratura medica e comunque è stato smentito dalla più recente metanalisi degli studi sponsorizzati dall’Organizzazione mondiale della Sanità pubblicata sulla rivista Contraception che ha evidenziato anche per il Lng il mantenimento di efficacia entro le 96 ore dal rapporto sessuale. Peraltro, se si vuole una prova ulteriore che non vi sia alcuna urgenza, provi a domandare ai responsabili di tutti i pronto soccorso d’Italia e vedrà che le diranno che questi casi rientrano nei cosiddetti codici bianchi, quelli a più bassa priorità. Queste considerazioni devono essere completate da almeno altre due informazioni, senza le quali le persone possono subire una prospettiva distorta.

Quali?

L’efficacia reale di qualsiasi prodotto post-coitale non è in realtà conosciuta con esattezza, ma è solo stimata con un ampio margine di approssimazione, perché non esistono per queste molecole studi controllati con placebo. L’efficacia di queste molecole è stimata confrontando il tasso di gravidanze delle donne che le assumono con quello registrato in una popolazione di confronto che però era costituita da donne che non avevano problemi di infertilità e che ricercavano la gravidanza. A partire da queste si sono costruite delle curve di probabilità di gravidanza per ogni singolo giorno del ciclo che servono da riferimento per gli studi sulle pillole dei giorni dopo; chiunque abbia una minima formazione scientifica capisce bene che le differenze tra le popolazioni sono così numerose da potere influenzare pesantemente i risultati.

La seconda informazione da dare al pubblico è la seguente: la diffusione della pillola del giorno dopo non ha dimostrato di ridurre in alcun modo né le gravidanze indesiderate, né gli aborti a livello di popolazione; lo dimostrano decine di studi, revisioni, metanalisi. Quando si sono date confezioni di scorta alle donne in modo da saltare tutti i passaggi intermedi, le pillola sono state assunte in quantità maggiore e in tempi più rapidi, ma le gravidanze e gli aborti sono rimasti costanti. La Francia è il prototipo di questa realtà: più di un milione di pillole del giorno dopo, 40 mila confezioni di pillole dei cinque giorni dopo, ma più di 220 mila aborti in un anno, quasi il doppio rispetto all’Italia.

Perché allora si parla di efficacia?

Una cosa sono gli studi effettuati su particolari soggetti e categorie selezionate, che danno un certo tipo d’informazioni dell’efficacia delle pillole contraccettive/abortive, un’altra sono quelli sulla popolazione normale che parlano dell’effettività del farmaco nelle reali condizioni d’impiego.

E come funzionano le pillole nelle reali condizioni di impiego?

Sui meccanismi di azione di queste molecole a livello scientifico c’è un dibattito in corso molto acceso, la possibilità del micro-aborto esiste se la fecondazione è già avvenuta. In quel caso queste pillole possono impedire l’annidamento dell’embrione. Uno studio recente, ma condotto su un numero limitato di soggetti, ha mostrato che la somministrazione di Lng prima dell’ovulazione non si è accompagnata a gravidanze clinicamente rilevabili, ma nell’80 per cento dei casi le donne hanno comunque ovulato, per cui rimane ancora incerto il meccanismo d’azione.

Sarebbe una violazione della libertà di coscienza costringere i medici a prescrivere questi farmaci ed è una violazione del consenso informato non fornire alle donne queste notizie, anche perché tutti gli studi indicano che il meccanismo d’azione di queste molecole è un elemento molto importante per le donne stesse. Per la scrittrice femminista Germaine Greer «vendere abortivi come se fossero contraccettivi è incompatibile col rispetto che si deve alle donne come esseri umani».

Eppure nell’articolo si parla di «danno ingiusto nei confronti della donna», di «abuso di ufficio», di «risarcimento danni», di «danno esistenziale», per aver cambiato la vita della donna, di danno anche verso il bambino che avrebbe «il diritto di non nascere».

Mi pare che siano dei pastoni giuridici. Questo non è il mio campo, ma posso dire che non esiste diritto a non nascere, lo ha escluso anche una sentenza che non ha nulla a che vedere con il tema affrontato e che decise per il risarcimento verso un bambino affetto dalla sindrome di Down non perché leso nell’inesistente diritto a non nascere, ma come misura a garanzia dell’assistenza anche in caso di morte dei genitori. Inoltre gli autori dell’articolo riferiscono la clausola di coscienza all’articolo 19 del codice deontologico medico, peccato che attualmente è in vigore quello del 16 dicembre 2006, dove la causa di coscienza è illustrata all’articolo 22.

E anche se l’obiezione di coscienza è possibile solo all’interno delle legge 194 e della legge 40, l’art 22 del codice deontologico parla di autonomia e responsabilità diagnostico terapeutica, un cardine del rapporto tra medico e paziente: il medico non deve e non può fare tutto quello che vuole il paziente. Il medico è una persona al pari del paziente, la dignità dei due soggetti è paritaria. Come medico ho un duplice dovere: verso il paziente e verso me stesso. La mia condotta deve essere improntata al rispetto di canoni scientifici ed etici. Il possibile meccanismo micro-abortivo è molto importante, ma non è l’unico aspetto. Se il legislatore ritiene che vi sia un obbligo di scrivere sotto dettatura del paziente può fare a meno della mediazione del medico.

Perciò, anche se queste pillole non fossero abortive, io non le prescriverei, così come in molti non prescriviamo neppure i contraccettivi. La dottrina cattolica è molto chiara nell’indicare la contraccezione come un male; si vuole forse affermare anche qui l’idea che piace tanto all’amministrazione Obama che la fede cattolica è incompatibile con la professione medica? Che è incompatibile con la legislazione democratica occidentale del terzo millennio? La sbandierata apertura al pluralismo dei valori mostrerebbe così il suo lato dittatoriale.

Perché si oppone alla contraccezione?

Guardi, è una questione che non si può liquidare in due battute. In autunno uscirà un intero mio libro su questo argomento che ha sempre occupato ampio spazio nella mia ricerca in campo bioetico. È una questione di legge naturale, di legge della ragione, illuminata dalla fede, ma comprensibile anche dal non credente. Pensi che in difesa dell’enciclica di papa Paolo VI, l’Humanae vitae, parlarono la cattolica Elisabeth Anscombe, docente all’Università di Oxford ed allieva di Wittgenstein, e Max Horkheimer, filosofo di matrice marxista della scuola di Francoforte. Per entrambi la contraccezione sottrae il peso esistenziale alla sessualità.

Paradossalmente, seppure plaudendo ad essa, è la stessa cosa che dice una paladina sfegatata della contraccezione e dell’aborto, Ann Furedi, referente di un’organizzazione di cliniche per aborti in Inghilterra; tramite la contraccezione e l’aborto la sessualità diventa un gioco, solo un’attività ludica. Questa falsificazione è possibile e solitamente ha conseguenze negative, talora tragiche. Molte persone, non solo donne, decidono di percorrere questa strada, ma non possono obbligarmi a partecipare.