Il diavolo: mito, folclore o realta?

DiavoloLa Civiltà Cattolica n.3914 – 20 luglio 2013

Giandomenico Mucci S.I.

È stato notato da più parti che Papa Bergoglio cita il diavolo con una certa frequenza e mette in guardia la Chiesa dalle sue insidie. La cosa fa scalpore perché è invalsa da tempo nella Chiesa l’abitudine di tacere su questo personaggio della divina Rivelazione e di ridurlo a pura metafora, banalizzandolo. La cultura dominante poi, o l’ideologia, assiste con divertita indulgenza a ogni discussione sul diavolo perché lo ritiene un mito ormai demitizzato, ossia la personificazione dell’idea primordiale del male. Come diceva Baudelaire, «la logica dei liberi pensatori vuole che i cristiani siano sistematicamente devoti a una superstizione assurda» (1). Il diavolo non può essere né il Maligno della tradizione cristiana né il nonessere in senso platonico (2).

E invece il Papa insiste sul diavolo. Già nella sua omelia tenuta nella Cappella Sistina il 14 marzo, il giorno seguente la sua elezione, esortava i cardinali che lo avevano eletto a riflettere che «quando non si confessa Gesù Cristo, si confessa la mondanità del demonio». Il 24 marzo, celebrando in piazza San Pietro la Giornata della Gioventù, ricordava che la gioia del cristiano non dipende dal possedere molte cose, ma dall’avere incontrato Gesù, «dal sapere che con lui non siamo mai soli, anche quando il cammino della vita si scontra con problemi e ostacoli che sembrano insormontabili, e ce ne sono tanti! E in questo momento viene il nemico, viene il diavolo».

Il 4 maggio, durante l’omelia nella Messa mattutina nella cappella della Domus Sanctae Marthae, osservando che «i cristiani sono perseguitati oggi più che agli inizi della storia del cristianesimo», leggeva «la causa originaria di ogni persecuzione» nell’«odio del Principe del mondo verso quanti sono stati salvati e redenti da Gesù con la sua morte e con la sua risurrezione».

Molta stampa è rimasta sorpresa. Era convinta che il diavolo facesse parte dell’immaginario sociopsicologico, della fantasia retriva delle masse popolari, ed ecco vederselo riproposto dallo scranno più alto, dal custode dell’ortodossia cristiana. Il diavolo esiste, seminatore del dubbio, della disperazione, dell’odio. Qualcuno ha scritto giustamente: «La formazione gesuitica di Bergoglio avrà sicuramente la sua influenza in quanto negli Esercizi spirituali sant’Ignazio di Loyola ricorda che l’uomo vive sotto il soffio di due venti: quello di Dio e quello di Satana» (3).

Il motivo della sorpresa

Come dicevamo, da vari decenni la predicazione cattolica si è dimenticata del diavolo, che pure è corposamente presente nei documenti dello stesso Vaticano II Alcuni teologi hanno accolto l’opinione secondo la quale Satana è frutto della fantasia umana sviluppatasi nell’area del paganesimo e penetrata successivamente nel pensiero giudaico: una concezione eterogenea rispetto alla Scrittura biblica, ormai smascherata dalla filologia, dalla storia comparata delle religioni e dalla psicologia (4). Queste idee sono state fatte passare per verità definitivamente acquisite.

Il diavolo — è ancora Baudelaire a dirlo — usa la somma astuzia di non far credere alla sua esistenza per meglio raggiungere i suoi scopi. Si spiega così lo scalpore suscitato, tra i credenti e i non credenti, per motivi diversi, dalla predicazione del Papa sul diavolo.

Ma se i credenti, ingannati da quella falsa opinione, reagiscono il disorientamento, i non credenti reagiscono con la stupefazione e l’irrisione. Ed è comprensibile. L’esistenza di Satana è una verità contenuta nella Rivelazione divina che è negata dal pensiero moderno di ascendenza kantiana. Basti un cenno.

Per Kant, nel momento in cui la ragione vuole estendersi al di là dei confini dell’esperienza, è necessario partire dal criterio soggettivo e dal sentimento del bisogno della ragione, identificato con il «diritto di orientarsi nel pensiero — nello spazio smisurato del sovrasensibile per noi avvolto da tenebre profonde – unicamente in virtù del proprio bisogno» (5). Questa fède razionale non è la fède storica nella quale «è pur sempre possibile che vengatrovate prove che dimostrano il contrario e in cui dobbiamo sempre riservarci di mutare opinione se la nostra conoscenza dei fatti dovesse ampliarsi» (6).

La pura fède razionale è lo strumento con il quale il pensiero speculativo si può orientare nell’ambito delle realtà sovrasensibili e l’uomo può tracciare la propria via in maniera adeguata dal punto di vista pratico-teoretico. Essa è il fondamento di ogni altra fède e rivelazione. Il concetto di Dio e il convincimento della sua esistenza devono rinvenirsi esclusivamente nella ragione e derivare da essa soltanto, e non da un’ispirazione o da un’autorità ancorché grande.

Secondo Kant, è la fède razionale, propria della ragione autonoma, e tale in quanto sceglie di sottomettersi soltanto alla legge che essa stessa si da, che può condurre l’umanità fuori dallo stato di minorità, senza piegarsi al giogo di leggi eteronome. È la ragione che deve scegliere le idee che possono soddisfare il suo bisogno (7). Una cultura come la nostra, che si ispira a questa filosofia, potrebbe mai impegnarsi seriamente in una discussione sul diavolo?

E c’è dell’altro. Il pensiero moderno non esclude la possibilità di una pulsione numinosa, purché non abbia i contorni definiti delle religioni istituzionali positive. La ragione illuministica, che oggi si avvale dell’apporto della biologia, delle scienze neurocognitive e della cosmologia, mentre lavora a confinare l’esperienza religiosa nel campo dell’irrazionale, tende a dissolvere le religioni positive nel pathos «sacralizzato» della neognosi e del panteismo, in maniera che quell’esperienza sia contenuta e limitata nell’ambito del soggetto.

Neognosi e panteismo, fenomeni per molti versi affini, esprimono un «misticismo laico» con tendenze esoteriche e confluiscono nella negazione di qualsiasi religione positiva. Noi stessi abbiamo spesso osservato che la cultura dominante, ignorando l’orizzonte genuinamente religioso, tende a instaurare una superreligione trasversale, un umanesimo etico e spiritualistico, che non annulla per sé religioni istituzionali, gerarchie e riti, ma aspira a incarnarsi in esse, imponendo verità generiche come fossero una superiore saggezza (8).

Il cristiano non può non scorgere l’aspetto demoniaco di questa operazione e, contemporaneamente, non registrare l’inutilità, anche in questo caso, di aprire una discussione seria sulla realtà rivelata e teologica di Satana. E parliamo ora di questa.

«Un essere vivo, pervertito e pervertitore»

Per conoscere quanto la Chiesa insegna sul diavolo, è necessario meditare sui Vangeli, sulle Lettere apostoliche e sull’Apocalisse, sugli scritti dei Padri della Chiesa, sulle dichiarazioni dei Concili, specialmente del Concilio Lateranense IV, sul Magistero dei Papi. Una sintesi della dottrina è racchiusa in uno studio, anonimo e perciò autorevole, preparato dalla Congregazione per la Dottrina della fède (9). Questo studio riveste una particolare importanza perché suggerito e pubblicato nel contesto della cultura moderna nel quale anche certi teologi ed esegeti biblici avevano iniziato, in nome dell’ermeneutica, il processo di demitizzazione della secolare dottrina della Chiesa su Satana.

È utile consultare i trattati teologici di angelologia e demonologia, i dizionari di teologia dogmatica e spirituale sub voce e le riviste delle medesime discipline. Non è inutile tener conto delle osservazioni, spesso acute e soffèrte, sulla realtà e sull’azione del demonio che si trovano nei diari, nei saggi e nell’arte di non pochi poeti e letterati. È, dunque, un materiale immenso che non può essere affrontato neppure superficialmente nello spazio di un articolo. Ci piace, tuttavia, riportare all’attenzione un magnifico documento del Magistero (10) e il commento di un notissimo teologo (11).

Il 15 novembre 1972, nel corso di un’udienza generale, Paolo VI si interrogò: «Quali sono oggi i bisogni maggiori della Chiesa?». E rispose: «Uno dei bisogni maggiori è la difesa da quel male, che chiamiamo il Demonio». Sullo sfondo del quadro della creazione, della storia drammatica dell’umanità e della redenzione balzano vive «le deficienze e le disfunzioni delle cose rispetto alla nostra esistenza»: il dolore, la morte, la cattiveria, il peccato. Cioè il male, nel regno della natura, nella vita umana, nell’anima stessa dell’uomo. Un’esperienza che turba soprattutto i cristiani, «cultori del Verbo e cantori del Bene», dalla quale si può essere liberati soltanto dalla grazia salvatrice di Cristo. E il male è «occasione ed effetto di un intervento in noi e nel nostro mondo d’un agente oscuro e nemico, il Demonio.

Il male non è più soltanto una deficienza, ma un’efficienza, un essere vivo, spirituale, pervertito e pervertitore. Terribile realtà. Misteriosa e paurosa. Esce dal quadro dell’insegnamento biblico ed ecclesiastico chi si rifiuta di riconoscerla esistente; ovvero chi ne fa un principio a sé stante, non avente essa pure, come ogni creatura, origine da Dio; oppure la spiega come una pseudo-realtà, una personificazione concettuale e fantastica delle cause ignote dei nostri malanni».

Dopo aver ricordato i principali testi neotestamentari, Paolo VI proseguiva: «Questo Essere oscuro e conturbante esiste davvero e con proditoria astuzia agisce ancora: è il nemico occulto che semina errori e sventure nella storia umana. È lui il perfido ed astuto incantatore, che in noi sa insinuarsi, per via dei sensi, della fantasia, della concupiscenza, della logica utopistica, o di disordinati contatti sociali nel gioco del nostro operare, per introdurvi deviazioni, altrettanto nocive quanto all’apparenza conformi alle nostre strutture fisiche o psichiche, o alle nostre istintive, profonde aspirazioni».

E ammoniva: «Si pensa da alcuni di trovare negli studi psicanalitici e psichiatrici o in esperienze spiritiche, oggi purtroppo diffuse in alcuni Paesi, un sufficiente compenso. Si teme di ricadere in vecchie teorie manichee, o in paurose divagazioni fantastiche e superstiziose. Oggi si preferisce mostrarsi forti e spregiudicati, atteggiarsi a positivisti, salvo poi prestar fède a tante gratuite ubbie magiche o popolari, o peggio aprire la propria anima alle esperienze licenziose dei sensi, a quelle deleterie degli stupefacenti, come pure alle seduzioni ideologiche degli errori di moda, fessure queste attraverso le quali il Maligno può facilmente penetrare ed alterare l’umana mentalità». Perché egli «è l’insidiatore sofistico dell’equilibrio morale dell’uomo».

Quali sono i segni della sua presenza? «Potremo supporre la sua sinistra azione là dove la negazione di Dio si fa radicale, sottile ed assurda, dove la menzogna si afferma ipocrita e potente, contro la verità evidente, dove l’amore è spento da un egoismo freddo e crudele, dove il nome di Cristo è impugnato con odio cosciente e ribelle, dove lo spirito del Vangelo è mistificato e smentito, dove la disperazione si afferma come l’ultima parola». Quale difesa, quale rimedio opporre? «Tutto ciò che ci difende dal peccato ci ripara per ciò stesso dall’invisibile nemico. La grazia è la difésa decisiva. L’innocenza assume un aspetto di fortezza».

Come si vede, l’insistenza di Papa Bergoglio sul diavolo e la cura di preservare i fedeli dalla sua azione insidiosa hanno avuto un deciso precedente in Papa Montini e rappresentano l’attualizzazione nel nostro tempo di una dottrina continuamente tenuta dal Magistero della Chiesa che prolunga quello del Vangelo.

«Per Gesù non esiste soltanto la possibilità del male, che è nella libertà umana; neppure soltanto l’inclinazione al male, che proviene dalla colpa dell’individuo e dei progenitori, ma una potenza personale che vuole sistematicamente il male. Non solo valori in sé buoni li vuole sinistramente o chiudendo un occhio al male, ma vuole il male stesso. Vi è qualcuno che è espressamente schierato contro Dio, che vuole strappare il mondo dalle mani di Dio, schiantare lo stesso Dio. Siccome però Dio è il bene, il programma può avverarsi soltanto in senso di voler ridurre il mondo allo stato di sterminio e di ribellione a Dio»  (12)

Immaginario e realtà

Se, da un lato, la cultura secolarizzata relega il diavolo nella mitologia e nel folclore, dall’altro lato, nel nostro tempo si assiste a un certo revival di Satana. Qualcuno lo fa iniziare dopo la seconda guerra mondiale, quando l’umanità seppe delle orrende stragi perpetrate soprattutto dai sovietici, dai tedeschi e dai giapponesi: e sembrò che il Male, «essere vivo e pervertito», avesse esteso il suo regno di dolore e di morte. Ma questa persuasione o sensazione coesisteva, e ancora coesiste, con la caricatura che del diavolo si è fatta l’immaginario collettivo.

Dall’epoca medievale, con elementi tratti dalla letteratura classica e da simboli biblici, Satana è stato raffigurato come un bruttissimo satiro, con corna e coda, zampe di caprone o di cavallo, o come un drago che vive nello zolfo e nel fuoco. Lentamente, queste che erano descrizioni, si trasformarono e furono comprese come fossero proprietà del diavolo. A tanto contribuirono le sculture mostruose delle cattedrali gotiche e il fantastico affresco che di Satana diedero Dante, Luca Signorelli e Michelangelo. È evidente che un diavolo siffatto, tra comico e terrificante, sempre ridicolo, non esiste e non può esistere.

Satana è un essere spirituale, inimmaginabile nella sua perversità, che non può essere compreso e descritto sul piano dell’empiria sensibile. La sua realtà, esistenza e azione, va ricercata soltanto nella divina Rivelazione interpretata all’interno dalla tradizione della Chiesa. Non è superfluo d’altronde ricordare che il pensiero umano conosce soltanto una psicologia incarnata nella materia, che si svolge nel tempo, con l’uso di concetti approssimativi perché parziali e, quindi, con decisioni revocabili.

All’opposto, il diavolo è uno spirito non incarnato nella materia, la cui vita non è misurabile con la successione degli eventi temporali. Egli conosce il vero per intuizione globale perché è spirito e, dunque, la sua conoscenza non procede, come la nostra, ex uno in aliud, e pertanto egli sceglie, ha scelto, con una opzione unica e irrevocabile: e ha scelto il male. Quando noi diciamo che Satana è una persona che pensa e vuole, facciamo necessariamente riferimento alla sola esperienza che abbiamo, quella dello spirito incarnato. Ciò significa che le nostre affermazioni sul diavolo devono essere sempre intese in modo analogico.

Poiché non abbiamo esperienza diretta dell’esistenza demoniaca, siamo costretti a ricorrere alla terminologia desunta dalla vita umana: cognizione, volontà, azione, effetto. Perciò, il nostro modo di concepire il diavolo dev’essere liberato sia dagli schemi immaginativi e leggendari sia dalle categorie concettuali che ce lo fanno pensare come se egli fosse una persona umana come noi, ma invisibile.

La vittoria di Cristo

C’è il rischio che il cristiano dia eccessiva importanza al diavolo, sedotto dalla paccottiglia di certa stampa e di certi servizi televisivi che inducono a dilettarsi nel brivido causato malsanamente da interventi diabolici veri o presunti o inventati. Satana esiste e, Dio permettendolo, tenta l’uomo al male e gli può nuocere anche gravemente. Ma non può impedire in noi né la vita evangelica né la salvezza eterna. Egli è pari a un cane ringhioso e feroce legato con una robusta catena alla parete. Tanto può aggredire e uccidere quanto l’uomo si avvicina al raggio d’azione concesso alla bestia dalla catena (13). Quella catena è Cristo.

Ora, il Signore risorto ha vinto lo Spirito del male e questo non può farci male se noi stessi non lo vogliamo. Valga per tutti un testo di san Leone Magno: «Colui che è in noi è più forte di colui che è contro di noi, il nostro vigore è in lui, nel confidare nella sua forza. Per questo infatti il Signore ha voluto subire l’attacco del tentatore: per istruirci con il suo esempio e insieme difenderci con il suo aiuto» (14).

È un pericoloso sofisma quello di coloro che vogliono sopprimere nella coscienza dei fedeli il ruolo attivo di Satana. La sacra Scrittura, invece, li mette in guardia da colui che ruba la Parola dai cuori (Mc 4,15), semina la zizzania in mezzo al grano (Mt 13,25), sarà l’attore delle tribolazioni escatologiche (Mc 13). Di fronte all’attività del diavolo, il discepolo di Gesù sa di dover lottare e vigilare (1 Pt 5,8).

Ma sa anche, e soprattutto, che la vita cristiana è partecipazione nella speranza alla vita del Maestro divino che ha vinto per noi la morte e il suo principe e «ha fatto risplendere la vita e l’incorruttibilità per mezzo del Vangelo» (2 Tm 1,10).

Lo sapeva bene perfino Andre Gide, quando, ai primi del Novecento, fu tentato, questa volta da Dio, di una conversione religiosa. Nel suo Cahier vert è rimasta la traccia di certezze degne di un mistico: «Signore, togliete dal mio cuore tutto ciò che non appartiene all’amore», perché «è nel difetto dell’amore che ci attacca il Maligno» (C’est au défaut de l’amour que nous attaque le Malin) (15).

Note  

1) CH. BAUDELAIRE, Diari intimi, Milano, Mondadori, 1973, 138.
2) Cfr R. BODEI, «La mediocrità del male», in Il Sole 24 Ore, 27 maggio 2012, 24.
3) Cfr G. SANTAMBROGIO, «II diavolo, altro che metafora!», ivi, 14 aprile 2013, 34; J. M. BERGOGLIO, Aprite la mente al vostro cuore, Milano, Rizzoli, 2013, 81-91.
4) Cfr T. CENTI, «”Liquidazione del diavolo” o liquidazione della fede e del buon senso?», in Rivista di Ascetica e Mistica 23 (1972) 153-158.
5) I. KANT, Che cosa significa orientarsi nel pensiero, Milano, Adelphi, 1996, 47-51.
6)  Ivi, 58 s.
7) Cfr G. B. SALA, «La cristologia nella “Religione nei limiti della semplice ragione” di Kant», in Rivista di Filosofia neo-scolastica 96 (2004) 235-304.
8) Cfr O. VISIOLI, «II “sacro” deformato», in Coscienza 64 (2012), n. 5-6, 17-21.
9) Cfr «Fede cristiana e demonologia», in Oss. Rom., 26 giugno 1975, 6 s.
10) Cfr Insegnamenti di Paolo VI, vol. X, Città del Vaticano, Tipografia Poliglotta Vaticana, 1973, 1.168-1.173.
11) Cfr M. FILCK, «Riflessioni su Satana, oggi», in Rassegna di Teologia 20 (1979) 58-65.
12) R. GUARDINI, II Signore, Milano, Vita e Pensiero, 19553, 119. Cfr CH. JOURNET, Per una teologia ecclesiale della storia della salvezza, Napoli, D’Auria, 1972, 318-344.
13) Cfr S. AUGUSTINI, Enarratio inpsalmum 61, n, 20, in M. J. ROUÉT DEJOURNEL – J. DUTIIXEUL, Enchiridion asceticum, Barcellona, Herder, 1947, 308, n. 581.
14) LEONE MAGNO, s., Omilia 39, n. 3, in Io., Omelie. Lettere, a cura di T. MARIUCCI, Torino, Utet, 1968, 224.

15) A. GIDE, Numquid et tu?, a cura di E. CASSA SALVI, Firenze, Sansoni, 1951, 115-117.