Eugenio Scalfari

ScalfariItalians Rivista che ignora il politicamente corretto n. 145 del 1 agosto 2013

di Luigi Fressoia

(archifress@tiscali.it)

Chi ha detto che la politica è complicata? E’ invece chiara e semplice come acqua di montagna, basta leggere il divo Eugenio Scalfari, leader del più forte partito della sinistra italiana, “la Repubblica”, ecco cosa scrive una settimana fa a proposito di quella metà abbondante di italiani che non votano a sinistra: “…elettori che hanno in comune alcune emotività come l’anticomunismo, l’odio per le tasse e l’ostilità verso lo Stato e sono anche lobbies portatrici di interessi concreti da soddisfare rapidamente”.

Procediamo con ordine.Tra le quattro caratteristiche elencate cominciamo con l’ultima che è la più facile: senz’altro il centro-destra è anche un agglomerato di lobbies con interessi assai concreti da soddisfare, solo che nessuno può negare che le lobbies organizzate intorno ai partiti di sinistra e alle amministrazioni di sinistra, a occhio e croce sono dieci volte più numerose, più potenti, più organizzate, più oleate, più consolidate, più affidabili, c’è qualcuno che può negarlo?

Ma andiamo al sodo, che c’è da divertirsi. Intanto è davvero fantastico -direi glorioso- quel modo sopraffino di derubricare l’anticomunismo a banale emotività, accidenti, chi saprebbe far meglio per sminuire e quindi tutto sommato assolvere (per infine riproporre, prima o poi) le magagne, le miserie, i fallimenti, l’irrazionalità, l’intrinseca demenza del comunismo? Il comunismo notoriamente è l’esperienza di gran lunga più sanguinosa della storia umana, chi lo ha assaggiato è oggi naturaliter anticomunista come da noi si è antifascisti per costituzione, eppure il dire soave di Scalfari riesce in una riga a rovesciare mirabilmente la frittata: chi è anticomunista è un emotivo, cioè poco meno che un coglione!

Ma il senso di tanta prosopopea è nel cuore della prosa scalfariana, in quel “odio per le tasse e ostilità verso lo Stato” (obbrobrio!). Ragioniamo, cosa sono le tasse? Cos’è lo stato? Dico in concreto, nella esperienza reale e quotidiana degli italiani (non nei cieli delle teorie), da cento e cent’anni cosa sono lo stato e le tasse? Lasciamo perdere i regimi antichi o il famigerato Ventennio, dico oggi, in questi decenni magici della democrazia antifasista nata dalla resistenza, cosa sono e che effetti portano le tasse e lo stato?

La democrazia in Italia (anche in Grecia e dintorni…), dietro i paroloni e le grandi emozioni, è stata vissuta in quella particolare declinazione che usa il denaro pubblico per assicurare alla propria parte il voto degli elettori, tosto diventati clientes, per cui politici professionali, impiegati della regione, della provincia e del comune, delle università e delle scuole, usl, ministeri, camere di commercio, enti pubblici i più diversi e fantasiosi, le comunità montane, il parastato insomma, e poi la guardia di finanza, l’agenzia delle entrate, il catasto, i carabinieri, la forestale, i tribunali d’ogni risma, l’esercito, le soprintendenze, l’inps, le aziende pubbliche, di fatto anche le banche, i trasporti, l’anas, gli scopini e gli stradini, nonché i dipendenti delle grandi industrie iper-sindacalizzate e protette dalla politica, tutti costoro sono diventati così numerosi (tasse al 53% del pil e 68% del profitto di impresa!), quasi che il poterli mantenere non dipendesse dalla forza del sistema produttivo reale.

Quasi che quantità e qualità di imprese-lavoro, aziende vere, investimenti, produttività, creatività, inventiva, innovazione, competitività, non contassero a priori. Come se queste ultime, nel momento in cui incontrano il favore del mercato (di noi consumatori), non fossero le uniche entità a saper produrre -creare letteralmente ex nihilo- denaro, denaro per tutti, denaro nondimeno per gli eserciti di parassiti.

Moltissima gente di sinistra -basta che siano lavoratori in proprio o operai e dipendenti delle ditte private- alla domanda cos’è lo stato e cosa sono le tasse, risponderanno tranquillamente raccontando lo sgomento d’aver ormai da tempo scoperto che le tasse sono lo strumento dell’odierno dominio di classe, ove le classi in lotta sono solo due, chi (prevalentemente) mette denari dentro lo stato e chi (prevalentemente) li prende. Chi è garantito dallo stato e chi invece, padrone o operaio che sia, se vuol mangiare è costretto a conquistarsi il pane ogni giorno da solo nella competizione globale.

Non parlano inglese questi signori che pur votano a sinistra, se potessero godere di mass media orientati a informare saprebbero che nel mondo anglosassone quella loro scoperta è nota fin dai Padri Fondatori, e le due categorie si chiamano Tax Payers e Tax Consumers, chi le paga e chi le consuma.

Tutte le persone normali intuiscono che la crisi, l’odierna pesantissima crisi, altri non è che la sommatoria di tutti i parassitismi seminati in cinquant’anni dalla “dialettica democratica”, che hanno finito per formare un debito vertiginoso. Altro che gli “speculatori”, gli “evasori”, “i tedeschi” e la “finanza internazionale” (sic!), come amano depistare i padroni del vapore compresa la Repubblica.

Tutti intuiscono che le imprese chiudono e falliscono perché non possono più reggere il peso di tanto parassitismo. Tutti intuiscono che il meccanismo perverso non si ferma, chiede sempre più risorse e quindi, a dispetto delle promesse di tutti i governi, le tasse aumenteranno ancora anno dopo anno, in un declino che ci riporterà alla povertà che lasciammo negli anni ’60 (a proposito: lasciammo sulle ali dell’odiato consumismo…). Intuiscono ma non sanno, perché sforzo primario della politica e di tutte le sue ramificazioni (in primis i giornali) è proprio nascondere il nodo essenziale.

Cosa dunque di più normale per buona parte della gente comune e perbene che odiare lo stato e le tasse, soggetto e strumento di un dominio oppressivo? D’un dominio di classe? Non è ovvio che chi -nell’Italia di oggi- non odia tasse e stato o è malato o è della partita? Non è chiaro come il sole che l’evasione fiscale salva l’Italia tutti i giorni perché senza di essa, se davvero tutti fossero costretti a pagare quanto stabilito, quattro imprese su cinque chiuderebbero e allora sì che lo Stato avrebbe un tracollo irrimediabile delle entrate?

Chiediamoci piuttosto perché dello stupore di Scalfari a fronte dell’odio naturale e giusto di moltissimi italiani verso le tasse e lo stato: come fa a non odiarli anche lui?

Tutto in verità è chiaro come il sole, dicevamo all’inizio. Chi è infatti Scalfari Eugenio? Se l’albero si vede dal frutto, e il frutto più genuino di Scalfari è senz’altro la Repubblica, queste nostre domande trovano facile risposta nel chiedersi: chi legge Repubblica, che gente è, che fanno nella vita?

Appostatevi dunque presso il giornalaio e vedrete che, tolti un po’ di confusi autolesionisti, il grosso dei lettori di tal foglio reazionario, i più focosi pasdaran del pensiero statalista e tassaiolo, sono esattamente quei “professori” e maestrine, mezze maniche, funzionari, addetti al culturame, uscieri, burocrati, cervelloni, pensatori, pianficatori, esperti, “letterati”, che come i 60 milioni di allenatori della nazionale sparsi nei bar dello stivale, saprebbero benissimo come raddrizzare la baracca –loro sì caro lei- sanno a menadito chi è causa della crisi, delle malattie, della sfiga, del capitalismo cinico e baro e pure dei buchi del calendario Maja.

Gente che oggi -come gli agrari di un tempo odiavano i contadini che pur li mantenevano, odia gli imprenditori, gli artigiani, i professionisti, i commercianti, che pur gli passano lo stipendio tutti i mesi, alto o basso che sia, ma tutti i mesi fino alla fine dei secoli; gente che non ancora satolla –incredibili dictu– farebbe strame delle ultime riserve degli italiani, odiano i ricchi, gongolano quando i pistoleros dell’agenzia delle entrate violentano Cortina o altri santuari della ricchezza, non sapendo di tagliare il ramo su cui siedono comodi.

Hanno sostituito il Dio dei padri con lo Stato e dunque, secondo tale teologia stracciona, le Tasse si pagano per definizione, sempre, anche se diventano, come peraltro sempre stato nella storia umana, lo strumento del dominio, di classe e di popoli dominatori.

Odiano i ricchi e la ricchezza non dei ceti statali ma solo del lavoro autonomo e d’impresa, quindi castrandola ci ridurranno tutti poveri, inevitabilmente, ma come don Ferrante daranno la colpa agli “evasori” e a congiunzioni d’astri sfortunate…

Si lavano la coscienza con la favoletta che se tutti pagassero e per intero le tasse, allora queste si abbasserebbero. Miserabile bugia! Se domani tutti pagassero tutta l’estorsione di stato legiferata, ci sarebbe un’impennata iperbolica delle entrate ma subito dopo delle uscite, com’è sempre avvenuto nel cinquantennio! Comincerebbero a recuperare tutti i “tagli” degli ultimi quindici anni, la scuola, il cinema, i koala, la formazione professionale

Che ne sa dopo tutto il signor Eugeni Scalfari, che in vita sua ha conosciuto solo la maestà dello stato (che non a casa scrive maiuscolo), che ne sa dicevamo dell’epopea quotidiana di un’azienda che riesce a stare in piedi? E’ mai stato a una fiera campionaria, a un expo, ha mai respirato l’aria pulita di chi sa offrire al mondo beni o servizi così ambiti da provocare tra gli umani quella cosa magica che è lo scambio, foriera d’ogni comprensione e generatrice di denaro?

Quando capirà che c’è molta più socialità in un’azienda di trenta persone che in tutto l’ente regione? Da buon aristocratico magno-greco-romano Scalfari non sa quel mondo, lo derubrica a sentina di evasori e sfruttatori così si sente pure bravo nel rapinarlo senza posa.

Chiuso e pasciuto in tale sconfinata sub-cultura, Eugenio Scalfari ha saputo realizzare nel suo geniale prodotto –la Repubblica– la storica e tutta italica alleanza -ahinoi vincente- tra tre mostri: l’atavico parassitismo delle classi dominanti specie del sud, il marxismo tal quale e quel buffo cattolicesimo confuso che ama così tanto la povertà da strologare povertà per tutti.

Tutti istericamente protesi al tema della distribuzione bensì trascurandone il presupposto necessario, la creazione di ricchezza; ignari soprattutto che lo sviluppo d’impresa è in sé il miglior distributore, assi meglio di qualsiasi organo dello stato, come s’è visto bene in questi cinquant’anni nelle nostre cento province.

E’ la prima volta nella storia dell’umanità che parte cospicua della classe dirigente di una nazione non sa e spregia da dove viene quella ricchezza che pur intercetta in gran copia! Alleanza raccapricciante tutta italiana, dove i tardomarxisti -tra le altre loro tipiche qualità trascinano nel proscenio tutta la filiera mondiale della mistica omosessuale di stampo nordatlantico, sicché “ecco s’avanza uno strano soldato”, un personaggio nuovo e inedito nel panorama mondiale: il frocio-comunista. Ed è uno spettacolo grandioso -una goduria se volete- vedere i cattocomunisti impacciati ritrovarsi tutto sommato al fianco di Lady Gaga.

Chi l’ha detto che gli italiano hanno perso creatività?

Apra bene le orecchie signor Eugenio Scalfari e con lei il suo non casuale prosecutore, quella testa-quadra sabauda di Ezio Mauro: se lo stato non s’acconcia -o non si riesce ad acconciare- a cosa seria e utile per tutti -non solo per voi- noi dicevo caro signore, sullo Stato oriniamo bellamente e sputacchiamo con gran goduria da qui ai secoli a venire, sul vostro Stato estorsore e autenticamente mafioso, unico vero problema degli italiani; voi piuttosto, che non abbiate a rimpiangere presto la eccessiva moderazione di Berlusconi e Bossi.

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