Università americana mette al bando ideologia woke

Abstract: Università americana mette al bando ideologia woke. La University of North Carolina ha deciso che i criteri da considerare per l’ammissione, l’assunzione e l’avanzamento professionale non si piegheranno più alla dottrina dominante. Qui in Italia, invece, le reazioni all’intolleranza liberal si limitano quasi sempre a una generica condanna degli episodi più vergognosi. Tutto il resto – le censure meno visibili e più insidiose – di solito, passa in cavalleria o, addirittura, viene appoggiato dagli intellettuali militanti.

La Verità, 27 febbraio 2023 

Ma intanto un ateneo Usa

mette al bando l’ideologia woke

La University of North Carolina ha deciso che i criteri da considerare per l’ammissione, l’assunzione e l’avanzamento professionale non si piegheranno più alla dottrina dominante. Qui in Italia, invece, i presidi che sbraitano sul ritorno del Ventennio diventano eroi

di Francesco Borgonovo

Negli Usa spunta un ateneo che si ribella all’ideologia. Una guerra culturale si combatte nelle università (americane e britanniche soprattutto), nelle redazioni dei giornali e delle case editrici, sui set cinematografici e sui palchi delle manife­stazioni d’intrattenimento. A condurre l’offensiva, da fin troppo tempo, sono le pattu­glie liberal-progressiste che pretendono di riscrivere la storia, modificare la lingua e imporre una presunta «diversità» per decreto.

Questo temibile esercito può contare su una avanguardia particolarmente pericolosa: le teste di cuoio del politicamente corretto, i cosiddetti woke, ovvero i «risvegliati», gli illuminati convinti di portare dentro di sé una scintilla divina e di avere il diritto di stabilire come il mondo intero debba comportarsi e, soprattutto, come debba pensare.

Un esempio mostruoso di come lavorino lo ha fornito, pochi giorni fa, la decisione della casa editrice Puffin di riscrivere i romanzi del geniale Roald Dahl espungendo tutti i termini ritenuti offensivi per le minoranze, tra cui «grasso» e «brutto». L’allucinante vicenda ha prodotto reazioni indignate un po’ ovunque, persino a sinistra. Tra i primi a criticare aspramente il comportamento di Puffin è stato Salman Rushdie, uno che la lotta per la libertà di pensiero l’ha condotta con il proprio corpo, ricavandone una condanna a morte e un attacco all’arma bianca. In Italia, tra gli arrabbiati, si è distinto Michele Serra che ha invitato a boicottare chiunque approvi la «nuova censura».

Purtroppo, dalle nostre parti, le reazioni all’intolleranza liberal si limitano quasi sempre a una generica condanna degli episodi più vergognosi. Tutto il resto – le censure meno visibili e più insidiose – di solito, passa in cavalleria o, addirittura, viene appoggiato dagli intellettuali militanti. Fortunatamente, altrove la risposta «immunitaria» al temibile virus dell’uniformità culturale è decisamente più potente e convinta.

È il caso di quanto sta accadendo in un prestigioso ateneo statunitense, la University of North Carolina. Già all’inizio di febbraio, la storica università ha annunciato l’intenzione di creare una Civic life and leadership school, pensata come uno spazio in cui gli studenti e i professori possano confrontarsi sentendosi liberi di esprimere le proprie visioni senza timore di subire censure ideologiche o di essere indottrinati.

Ma la decisione più rilevante, l’ateneo l’ha presa proprio in questi giorni. Il consiglio di amministrazione ha deciso di vietare le cosiddette Dei, cioè le «dichiarazioni di diversità, equità e inclusione». Non solo: saranno cambiati anche i criteri per l’assunzione di personale e per l’ammissione degli allievi. L’Università di North Carolina dichiara che «non solleciterà né richiederà ai dipendenti, a coloro che richiedono l’ammissione accademica o cercano un impiego» di fare dichiarazioni preventive riguardanti «convinzioni, affiliazioni, ideali o questioni del dibattito politico contemporaneo o dell’azione sociale». Detto in maniera semplice: i criteri per «l’ammissione, l’assunzione o avanzamento professionale» non saranno più politico-ideologici.

Che ci sia bisogno di mettere nero su bianco in un regolamento accademico cose di questo genere dà l’idea della gravità del problema. Ma così funziona negli Stati Uniti, in particolare da quando, nel giugno del 2021, l’amministrazione Biden ha licenziato un ordine esecutivo al fine di «promuovere la diversità, l’equità, l’inclusione, e l’accessibilità». Ecco: «diversità» e «inclusione» sono le parole d’ordine di un nuovo autoritarismo fatto di quote, dichiarazioni politicamente corrette e paletti alla libertà di pensiero.

Sono una scusa per censurare chi non condivide le idee dominanti sull’immigrazione, le rivendicazioni transgender, i «nuovi diritti» e altre bellezze simili. Ecco perché è così rilevante che un’importante universi­tà decida di rifiutare questi criteri: significa che potrà accogliere studenti, professori e dipendenti che abbiano idee diverse e che potrà consentire, al proprio interno, uno scambio di opinioni libero da pressioni ideologiche e mordacchie politiche.

Si potrebbe dire, dunque, che dagli Stati Uniti arriva il male ma qualcuno pensa anche alla cura. Ancora una volta, tuttavia, tocca constatare come da noi la situazione sia piuttosto diversa. Grazie al cielo, almeno per ora, non tocchiamo le punte di delirio a cui si arriva Oltreoceano o in Gran Bretagna.

D’altra parte, però, forse proprio perché è meno evi­dente, la minaccia alla libertà di pensiero e la furia iconoclasta dell’ideologia continuano ad avanzare. Non c’è nemmeno bisogno di ricordare quale cappa pesante abbia sigillato – e sigilli-le discussioni sulla gestione dell’emergenza sanitaria e sulla guerra in Ucraina. Altrettanto soffocante è la presa esercitata sul dibattito pubblico dal cosiddetto antifascismo militante. Da giorni, ci si azzuffa perché il ministro Giuseppe Valditara si è permesso di commentare la circolare in cui -dopo una scazzottata che ha coinvolto alcuni ragazzi delle superiori di opposta appartenenza politica- una dirigente scolastica fiorentina ha tirato in ballo Antonio Gramsci e il «ritorno del fascismo».

Ebbene: questo è il livello da noi e non è migliore di quello che si riscontra negli Usa. Magari (per ora: n.d.r.) non si riscrivono i classici della letteratura, ma basta mezza parola storta, mezza opinione sgradita per essere accusati di essere razzisti o para nazisti. Benché sconfitta nelle urne e sgradita ai più, la cultura politica dominante nel mondo del­l’informazione, dell’arte, della cultura e dell’intratteni­mento è sempre la stessa, e continua a dettare legge con violenza.

Negli Usa i dirigenti di un’importante università mettono al bando l’ideologia per statuto. Qui, invece, i diri­genti scolastici l’ideologia la propagandano e passano per eroi.

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