Burakumin

barakuminMondo e Missione marzo 2013

Sono i “fuoricasta del Giappone”. La legge li dovrebbe tutelare, di fatto vivono ai margini. La Chiesa cattolica dal 1984 ha creato un “Comitato contro la discriminazione”, Ma non basta,.

padre Marco Villa

missionario Pime in Giappone

Chi sono i burakumin?

Questa parola (in giapponese: abitanti –min dei villaggi, buraku) designa una delle minoranze presenti in Giappone, dove costituiscono circa il 2-3 per cento della popolazione. Il termine bumkumin ha sostituito parole dispregiative usate in passato, come eta (letteralmente “pieno di sporcizia”) e hinin (“non umano”).

In passato la società giapponese era suddivisa in caste, come quella indiana, e i bumkumin costituivano la casta più bassa, analogamente ai paria. Si occupavano di lavori umili o in qualche modo collegati al sangue (un tabù per lo scintoismo): erano in genere macellai, conciatori di pelle, becchini o boia. Le caste furono legalmente eliminate nel 1871, ma i pregiudizi sono rimasti fortemente radicati nella società giapponese.

Sono ormai una realtà del passato?

Sì e no. La situazione è molto cambiata rispetto a quella di alcuni decenni fa. Ma val la pena ricordare che non molto tempo addietro – nel 1975 – si è verificato in Giappone uno scandalo clamoroso, il cosiddetto incidente Tokushu Buraku Chimei Soukan. Si scoprì che in tutto il Paese, mediante un sistema di vendita per corrispondenza, erano state vendute migliaia di copie di un libro, scritto a mano, che riportava tutti i nomi dei discendenti dei burakumin. Pare che anche grandi gruppi industriali come Toyota, Honda e Nissan, oltre che diversi privati, abbiano usato quel libro per decidere se assumere o meno un dipendente. La produzione e la vendita del testo furono proibite, ma sicuramente alcune copie sono ancora in circolazione.

Perché il termine è tornato in uso?

L’ex sindaco di Osaka, Toru Hashimoto, che si è candidato alla guida di una formazione di destra, viene da una famiglia di burakumin (egli stesso l’ha dichiarato). Ma alcuni avversari politici hanno usato questo dato biografico scagliandolo contro l’interessato come un’accusa. Ciò sembra dire che, nonostante in Giappone le discriminazioni verso i burakumin siano legalmente vietate, in alcune zone le disparità di trattamento ancora esistono.

Un burakumin, ad esempio, può studiare all’università e diventare un professionista (medico, avvocato o altro…); ma se le sue origini vengono scoperte rischia di non trovare un’occupazione consona alle sue reali capacità. Anche le unioni coniugali con i burakumin non sono viste di buon occhio.

C’è chi dice che non siano giapponesi…

Padre Tiziano Tosolini, missionario saveriano a Osaka, affronta la questione in un suo recente libro: Una lettura orientale del dialogo. Il caso Giappone (Pazzini Editore, 2011). «Scienziati e studiosi hanno cercato in ogni modo e con ogni mezzo (analisi cliniche, esami minuziosi del Dna, studi fisiognomici) di provare come i burakumin non appartengano affatto all’etnia giapponese, ma discendano piuttosto dai coreani, dalle popolazioni aborigene del nord, o addirittura da una delle perdute tribù di Israele. Tutti questi studi pseudo-scientifici, che trasbordano facilmente nel ridicolo, non hanno portato ad alcun risultato concreto. I burakumin continuano, nella loro invisibilità, a condividere il bagaglio genetico del popolo giapponese».

Chi si prende cura dei burakuminl

Fin dal 1870 i missionari hanno operato su questo fronte: nella diocesi di Saitama (e altrove) le prime comunità cristiane nascono fra aggregati di burakumin. Successivamente i missionari si dedicano al mondo dell’educazione e della sanità. Nel 1984 la Conferenza dei vescovi giapponesi ha istituito un “Comitato contro le discriminazioni dei burakumin e tutte le discriminazioni”, che ha come scopo quello di sensibilizzare al problema, anche all’interno della Chiesa. Da un’inchiesta condotta nella diocesi di Osaka, risultava che più della metà dei cristiani intervistati non sarebbe stata felice di vedere i propri figli sposati con un burakumin. Il “Comitato contro le discriminazioni” pubblica una newsletter bimensile; organizza simposi e conferenze e promuove ogni estate una tre giorni di studio.