Cesare Cavalleri (1936-2022)

Il Borghese quindicinale 15 gennaio 2023 

Poeta segreto (nel mainstream italiano)

di Giuseppe Brienza

“Studi Cattolici” è una rivista mensile, fondata a Roma nel 1957 da Salvatore Canals e Giacomo Violardo (i primi direttori) ed altri, di attualità, politica e cultura, che si propone di interpretare la cronaca contemporanea alla luce del diritto naturale e del Magistero della Chiesa cattolica.

La periodicità inizialmente è stata trimestrale ma, già dopo il primo anno, quindi a partire dal 1958, è divenuta bimestrale. La direzione, che ha sempre coinciso con quella delle Edizioni “Ares”, dal 1966 fino al 2022 è stata di Cesare Cavalleri (1936-2022), collaboratore della rivista fin dal 1963 come critico letterario.

Per chi non lo conoscesse, Cesare Cavalleri è nato a Treviglio, in provincia di Bergamo, il 13 novembre 1936, ed è morto il 28 dicembre scorso a Milano, dopo una lunga malattia accolta con grande spirito cristiano. Alcune settimane prima di lasciare questo mondo ha inviato una lettera al quotidiano Avvenire, di cui era stato cofondatore e su cui teneva una rubrica settimanale, dato che il verdetto dei medici gli imponeva il commiato dai lettori. «Carissimo Direttore», vi aveva scritto, «non immaginavo simile conclusione, ma prendo volentieri atto e mi tuffo nella preparazione immediata al grande salto…».

Ha ricordato uno dei suoi maggiori collaboratori ed amici, Riccardo Caniato, che il “saluto” di Cavalleri, «in un’epoca che esorcizza la morte prima di tutto non parlandone, ha fatto curiosamente il giro del Web. Parrebbe una contraddizione ma in realtà è una dimostrazione della grande sete di speranza che attanaglia i cuori» (Cesare Cavalleri, il «grande salto» è compiuto, La Nuova Bussola Quotidiana, 29 dicembre 2022).

Laureato in economia, Cesare aveva conosciuto l’Opus Dei durante gli anni universitari, entrandovi come numerario nel 1959. Dopo la laurea ha insegnato per quattro anni Statistica all’Università di Verona, ma la sua vera passione è stata e sarà sempre la letteratura e la poesia.

Negli anni ’60 ha fondato, a Verona, Fogli, “Rivista di cultura, attualità e di problemi giovanili” che, fra l’altro, si ricorda per aver intrapreso una vivace polemica con Eugenio Montale a proposito dei rapporti fra le generazioni.

Cavalleri è anche giornalista e, per 15 anni, è stato il critico televisivo di Avvenire [dalla sua rubrica “Persone & parole”, sono stati ricavati ben quattro volumi antologici (cfr. Ares, Milano 1989/2008)], passando poi, sullo stesso quotidiano, alla critica letteraria.

Fra le tante opere da lui curate va menzionato il long sellerIntervista sul fondatore dell’Opus Dei, Josemaría Escrivá de Balaguer”, del Beato Álvaro del Portillo (1914-1994).

Nel 2004 gli è assegnato il Premio internazionale Medaglia d’oro per la Cultura cattolica, un riconoscimento che in precedenza era stato riconosciuto a filosofi come Augusto Del Noce, economisti come Michael Novak, scrittori come Eugenio Corti e direttori musicali come il maestro Riccardo Muti.

Nel 2006 Cavalleri ha ricevuto anche l’Ambrogino d’oro, la nota onorificenza che il Comune di Milano conferisce ai cittadini benemeriti.

Nella selezione antologica degli articoli di fondo pubblicati nei primi quarant’anni della sua direzione di Studi cattolici presente nel libro “Editoriali” (Ares, Milano 2007), merita di essere rievocato l’editoriale dell’ottobre 1976 (n° 188), intitolato “Governo e Parlamento”. Cavalleri partecipa con decisione al dibattito italiano sulla questione dell’aborto e lo fa con la consueta chiarezza.

Scrive che Marco Pannella, Adele Faccio ed Emma Bonino, istigatori dell’aborto, sono «oggettivamente assassini», in quanto «chi pratica l’aborto è un assassino, e chi istiga gli assassini o con loro collabora si macchia moralmente dello stesso delitto». I tre esponenti radicali lo querelano e, solo nel luglio 1980, il Tribunale di Milano assolve il direttore di Studi Cattolici perché «il fatto non costituisce reato».

Un precedente giuridico importante, che consentirà a chi resisterà alle persecuzioni delle toghe rosse ed agli ostracismi politico-mediatici di continuare a difendere liberamente la verità sulla vita e sulla persona umana.

Nel 1981 la sua rivista si schiera quindi per il «Sì» al referendum sull’abolizione della legge sull’aborto con un quaderno allegato al fascicolo di marzo (n° 241), dal titolo “Un sì alla vita”. L’impegno in difesa della vita non viene meno anche dopo che le urne sanciscono l’accettazione della famigerata legge 194/1978.

Studi Cattolici comincia poi ad affrontare fra i primi, nel panorama delle riviste culturali italiane, il tema della bioetica. Già nel 1986, con il quaderno monografico “Biotecnologia fin dove?” (n. 310, dicembre 1986), non gli sfugge che si tratta di una sfida di ampia portata. La rivista coglie quindi con notevole anticipo le possibili derive di certo ambientalismo anti-umano e di molti altri eccessi dell’ecologismo (vedi ad esempio nei numeri del dicembre 1990 e marzo 1991 gli articoli a cura di Paolo Pugni).

Negli anni Novanta troviamo Studi Cattolici pienamente preso dalla missione difendere dai pericoli che ormai l’attanagliano il matrimonio e la famiglia, promuovendone la vera identità, le necessità ed i bisogni.

L’attenzione ai temi forti della politica e della società, interpretati alla luce del Magistero della Chiesa, si ritrova in tutti i numeri della rivista che, anche al grande pubblico, propone con linguaggio chiaro e comprensibile la certezza morale e metafisica anche nella legge positiva e nella politica.

Alla presentazione che il 22 agosto del 2001 fu fatta al Meeting di Rimini del libro di Carlo Casini “Diritto alla vita e ricomposizione civile”, edito dalle Edizioni Ares, Cavalleri ha pronunciato un intervento che ne riassume gli intenti: «la nostra è una Casa editrice che non ha bandiere ideologiche, che non sventola stendardi di nessun genere eccetto l’intransigente difesa e promozione della vita perché siamo convinti che è proprio dal diritto alla vita che scaturisce l’intervento dell’intero sistema giuridico e quindi dell’intero sistema di regole di un paese civile. Un’attività giuridica che non sia appoggiata sull’inalienabile, indiscutibile, irrinunciabile diritto alla vita non è una civiltà che merita questo nome».

Cesare conobbe di persona alcuni dei più grandi scrittori del Novecento, da Ungaretti a Montale per arrivare a Dino Buzzati, solo per fare alcuni grandi nomi.

Temuto come critico letterario, il suo metro di giudizio è stato riassunto efficacemente nelle seguenti parole: «Il bello è lo splendore del vero. Se c’è verità c’è anche bellezza». In base a questo criterio ha sempre scelto gli articoli e i volumi da pubblicare. Non a caso ha lanciato titoli indimenticabili delle Edizioni Ares come Il Cavallo rosso di Eugenio Corti, L’eskimo in redazione di Michele Brambilla, il memoriale di Leonardo Marino sugli anni di piombo, Gli Adelphi della dissoluzione di Maurizio Blondet, La pista inglese di Luciano Garibaldi, Di padre in figlio di Franco Nembrini, per citare i più noti.

Ma come dimenticare poi la promozione in Italia di uno degli autori più politicamente scorretti del XX secolo come Ezra Pound? Poeta e saggista statunitense da lui conosciuto personalmente ed a cui ha dedicato una apposita collana della Ares, denominata “Poundiana”.

Nella prima raccolta di poesie che Cavalleri decide di pubblicare a ottant’anni suonati, Sintomi di un contesto, significativamente dedica all’autore dei Cantos una serie di versi che partono dall’incontro avvenuto a Venezia il 29 marzo del 1971, nel quale incrocia «i suoi occhi, improvvisi, due laghi d’azzurro», e si concludono all’isola di San Michele davanti alla sua tomba, «in un giorno piovoso» del 1973, al termine del quale deduce: «non si può scrivere di Ezra Pound» (Il tempo edace, pp. 89 e 91).

Ezra Pound

Il romanziere Bruno Nacci, nell’Invito alla lettura di Sintomi di un contesto ne rinviene «nobili ascendenze» in T. S. Eliot, «ma anche, nell’uso ironico e a tratti accorato dell’apostrofe» in Montale. La poesia di Cesare Cavalleri, in effetti, rifugge dal manierismo e riprende in pieno il migliore stile poetico del vicino passato letterario europeo. Non ci priva comunque del passo struggente ed enigmatico come quando scrive nella poesia di congedo (probabilmente dedicata al suo rapporto con Dio): «Se me ne sono andato, me ne vado,/è perché non ho smesso/neppure per un momento di amarti» (Notizia, p. 109).

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Si legga anche:

Spunti sull’informazione cattolica in Italia