Quella “strana” alleanza

Pdil Timone n.122 – aprile 2013

Mondo della grande finanza e partiti post-comunisti uniti da una comune concezione dell’uomo, spinto a soddisfare solo i suoi istinti. Lo scopo? Denaro e potere

di Giacomo Samek Lodovici

In molti luoghi del pianeta, i grandi mass media sostengono spesso i partiti eticamente relativisti, cioè quelli che promuovono un’antropologia che nega l’esistenza di beni non negoziabili, quei partiti che attaccano la vita (tramite aborto, eutanasia, fecondazione artificiale, ecc.), che colpiscono la famiglia fondata sul matrimonio indissolubile tra l’uomo e la donna (con il divorzio, con l’equiparazione delle coppie coniugate alle coppie di fatto, col “matrimonio” omosessuale, ecc.), che rifiutano la libertà di educazione (cioè il primato dei genitori nella trasmissione dei principi etici e culturali, che esige la possibilità, anche economica – tramite parità scolastica e/o buono scuola – di iscrivere i propri figli in scuole che proseguano l’educazione ricevuta in famiglia, ovviamente purché questa educazione non sia criminale).

Una strana alleanza

Questi mass media sono di proprietà di alcuni gruppi finanziari mondiali o di alcuni grandi magnati, di coloro che Marx avrebbe chiamato capitalisti, coloro che il marxismo avversava drasticamente. Eppure, questi potentati oggi danno molto spazio a partiti come il Partito radicale italiano o simili, che pur non hanno molto seguito elettorale, e appoggiano molto spesso i partiti post marxisti, che sono generalmente molto relativisti (anche se non sono certo gli unici), e sono decisamente relativisti per i motivi che ho argomentato in Odio alla famiglia in nome di Marx, «il Timone», 120 (2013), pp. 30-31.

Insomma, si è pienamente realizzata un’alleanza, prevista in una certa misura da Augusto Del Noce già negli anni ’70-’80, tra coloro che per molti decenni sono stati acerrimi nemici. Come è possibile? Il punto è che, già nei teorici del marxismo classico, al posto dell’affermazione dell’immutabilità di alcuni beni e di alcuni valori morali, al posto dell’affermazione classico-medievale circa l’esistenza di una legge morale naturale immutabile (accessibile a chiunque con la sola ragione, anche se ci possono essere impedimenti che ne ostacolano l’apprensione) che deve essere la regola della condotta umana, si fa piuttosto strada il principio del piacere, che deflagra poi col freudismo dei continuatori di Freud (non molto fedeli a Freud, ma sarebbe un discorso lungo…): il criterio dell’agire diventa quello della ricerca del proprio piacere, del proprio godimento, ed emerge sempre più il libertarismo.

Oggi, come detto, si verifica il dispiegamento totale dell’ideologia radical-libertaria, la quale si fa appunto portabandiera del principio del piacere, che proclama la soddisfazione di ogni pulsione, contrapponendosi alla logica del dono che caratterizza una buona famiglia. Ebbene, è proprio per l’affermazione-diffusione del principio di piacere fatta da comunisti e postcomunisti che proprio i “capitalisti” hanno finito per allearsi con loro.

Le ragioni del sostegno delle élites finanziarie ai partiti radical-libertari

Ecco di seguito (almeno) tre motivi di questa alleanza.

1. Non di rado, i membri di queste élites del gotha finanziario hanno essi stessi proprio una concezione radical-libertaria della vita, dunque sospingono i partiti di cui sopra perché convergono culturalmente con i loro su questo punto.

2. Questi grandi potentati mirano spesso a ottenere il massimo profitto (“business is business»), il quale è propiziato dal consumismo, per (almeno) le seguenti ragioni:

2.1. il consumismo è favorito dal principio del piacere (dice il soggetto radicale: se desidero questo o quel prodotto, cellulare, automobile, ecc., perché non dovrei acquistarlo? E dunque lo acquista frequentemente);

2.2. il consumismo è propiziato dallo sfascio della famiglia, perché esso produce l’infelicità di quegli individui le cui relazioni familiari sono naufragate e chi è infelice compra cose più facilmente, per cercare un (presunto) surrogato consolatorio nei beni materiali;

2.3. il consumismo è favorito dalla disgregazione della famiglia anche per un altro motivo: dove prima di un divorzio bastava un lettore dvd, una lavatrice, un computer, una casa, ecc., dopo ce ne vogliono due. Però, questo vantaggio economico prodotto dalla disgregazione delle famiglie si verifica solo nel breve periodo. Infatti, come ho argomento in altri due articoli (La famiglia? È per l’economia, «il Timone», 106 [2011], pp. 30-31, nonché Famiglia ed economia. Parte II, «il Timone», 107 [2011], pp. 30-31), nel lungo periodo la tenuta dell’istituto della famiglia è cruciale per il buon andamento dell’economia. Rimandando a quegli articoli per l’argomentazione di questa tesi, qui si può ricordare una sola delle sue tante motivazioni: l’economia si regge (anche) sui consumi, ma i consumi richiedono soggetti che acquistino, laddove al contrario una crisi demografica diminuisce i soggetti che comprano e dunque produce crisi economiche.

Ora, indebolendo la famiglia, si indebolisce per ciò stesso la culla della vita, l’ambiente in cui gli uomini e le donne sono maggiormente (lo confermano diversi studi) propensi a generare figli e ciò diminuisce i soggetti che acquistano.

Ora, o questi potentati non si rendono conto di questo effetto boomerang, nel lungo periodo, per il loro business, della dissoluzione della famiglia che essi propugnano tramite i loro mass media, oppure se ne rendono anche conto, ma la loro motivazione principale non è né la 1, né la 2, bensì una terza.

Lo scopo principale è il potere

3. Infatti, queste élites, spesso, mirano ad ottenere il potere, e la filosofia radical libertaria:

3.1. fa dilagare l’individualismo, soprattutto colpendo la famiglia, cellula fondamentale di coesione sociale, e così isola l’individuo, rendendolo meno forte e più manipolabile;

3.2. crea degli individui pulsionali, in balia delle loro pulsioni, poco propensi a ragio-nare criticamente, che perciò sono (come diceva già Piatone nella Repubblica) facilmente manipolabili e accontentabili mediante la strategia del panem et circenses. Mediante una progressiva erotizzazione della società, diffondendo tra le masse l’illusione di essere liberi, facendo leva sul desiderio di libertà (per propiziare, per esempio, il rifiuto della Chiesa cattolica), si riesce a rendere le persone sempre meno libere. In questo modo si ottiene un potere planetario, che assume le caratteristiche di una dittatura o quasi, perché è detenuto, in ultima analisi, non già dai governi e dai Parlamenti – essi stessi manovrati, ma la cui elezione fa sembrare di vivere in una democrazia – bensì da alcune élites che non sono state elette da nessuno.

La situazione verso cui sempre di più ci dirigiamo è stata prefigurata con grande preveggenza da Alexis Tocqueville nel 1840: «Se cerco di immaginarmi il nuovo aspetto che il dispotismo potrà avere nel mondo, vedo una folla innumerevole di uomini eguali, intenti solo a procurarsi piaceri piccoli e volgari, con i quali soddisfare i loro desideri. Ognuno di essi, tenendosi da parte, è quasi estraneo al destino di tutti gli altri», cioè vive individualisticamente, alla mera ricerca del proprio vantaggio e indifferente o quasi al bene comune.

«Al di sopra di essi si eleva un potere immenso […]. Rassomiglierebbe all’autorità paterna se, come essa, avesse lo scopo di preparare gli uomini alla virilità [cioè a farli crescere, a renderli liberi, a farli ragionare], mentre cerca invece di fissarli irrevocabilmente nell’infanzia», cioè non vuole che crescano, aborre che sappiano ragionare, e piuttosto li vuole eteroguidare: ogni giorno «rende meno necessario e più raro l’uso del libero arbitrio, restringe l’azione della volontà in più piccolo spazio e toglie a poco a poco a ogni cittadino perfino l’uso di se stesso» (Tocqueville, La democrazia in America, Sur, 1992, pp. 732-733).

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«Un’attenzione prioritaria merita […] la famiglia, che mostra segni di cedimento sotto le pressioni di lobbies capaci di incidere negativamente sui processi legislativi». (Benedetto XVI, Discorso ai rappresentanti pontifici in America Latina, 17 febbraio 2007, www.vatican.va).