Alla crisi antropologica si risponde con la centralità di Dio e non con la centralità dell’uomo.

Dio_centroOsservatorio internazionale Cardinale Van Thuan
Newsletter n.464 del 28 marzo 2013

Relazione di Mons. Crepaldi al Marcianum di Venezia.

Il 15 marzo scorso, L’Arcivescovo Crepaldi, vescovo di Trieste e Presidente del nostro Osservatorio, ha tenuto una relazione presso lo Studium Generale Marcianum di Venezia al convegno dal titolo “Il rinnovamento della Chiesa passa anche attraverso la testimonianza offerta dalla vita dei credenti” (Porta Fidei n. 6). Un Contributo dello Studium Generale Marcianum all’Anno della Fede (11 ottobre 2012- 24 novembre 2013). Il titolo della conferenza era “Antropologia cristiana e salvezza del mondo”.

Il Relatore è partito da due domande. La prima: «non è eccessivo mettere in relazione l’antropologia (pur se cristiana) con la salvezza? Il piano antropologico ha bisogno di salvezza, infatti, e quindi non può essere esso stesso a produrla». La seconda: «Per salvezza del mondo intendiamo la salvezza del mondo “in quanto mondo”, ossia nella sua mondanità? Ma a questo livello, quello della mondanità del mondo, non può esserci salvezza, almeno nella pienezza di significato del termine».

In altre parole il Relatore ha problematizzato il titolo stesso della relazione, sostenendo che per poterlo sviluppare bisogna allargare lo sguardo a Dio in Cristo: l’antropologia cristiana presuppone Gesù Cristo, Creatore e Salvatore del mondo e la salvezza del mondo presuppone la ricapitolazione di tutte le cose in Cristo, fine della storia e del cosmo. «Gesù Cristo sta quindi all’inizio e alla fine».

Allargando, appunto, lo sguardo, Mons. Crepaldi ha criticato il “minimalismo cattolico” che porta a concludere che la salvezza dipenda dall’antropologia. Ed ecco, la contraddizione principale: «mentre ci siamo concentrati sull’antropologia, nella cultura vissuta di oggi si è perso interesse per cosa significhi essere uomo, e non ce ne siamo accorti … Mentre ci impegnavamo ad incontrare la libertà umana e a dialogare con essa, l’uomo perdeva interesse ad essere libero». Ecco perché «alla crisi antropologica si potrà rispondere solo con la “centralità di Dio” piuttosto che con la centralità dell’uomo».

Oggi, ha continuato Mons. Crepaldi, ci sono due correnti di pensiero che concludono per il superamento dell’uomo: l’ecologismo naturalistico e l’ideologia del gender. Il Relatore le ha illustrate nella loro diversità, ma anche nel loro convergere. «Le due tendenze – ha detto – sono apparentemente contrapposte.

La prima, infatti, “naturalizza” la persona e le sue relazioni, mentre la seconda la “denaturalizza”. Però, a ben vedere, sono anche convergenti. Infatti nel naturalismo ecologista la natura ha perso il suo carattere finalistico, ossia la capacità di indicare un dover essere. Parallelamente, l’ideologia del gender ha completamente abolito il dover essere frutto di una identità naturale, consegnandosi completamente alla sola volontà del soggetto».

Ne risulta confermata la diagnosi: «Il cristianesimo fa spesso dell’antropologia il perno nella propria proposta per la salvezza del mondo. Contemporaneamente il naturalismo ecologista e l’ideologia del gender ci hanno già congedato da tempo dall’antropologia, attuando quanto alcuni visionari, Nietzsche in testa, avevano previsto già molto tempo fa».

Ne consegue che l’antropologia cristiana non può essere la salvezza del mondo. Piuttosto essa deve essere salvata. «C’è oggi una tendenza, anche pastorale oltre che teologica, a presentare il cristianesimo in chiave quasi esclusivamente antropologica. Come se la sua pertinenza con l’uomo fosse la sua principale caratteristica di verità. Ma quale uomo? L’uomo caduto o l’uomo redento?». Un intero capitolo della relazione è dedicato a spiegare che l’antropologia cristiana non è l’antropologia dell’uomo caduto ma dell’uomo redento

«La Chiesa non ama il mondo per lasciarlo così come è, ma per salvarlo. Per fare questo essa mostra al mondo il mondo salvato. Così è strumento di salvezza. Mostra il mondo salvato mostrando il Salvatore e il Volto della salvezza. Solo dei cristiani veramente rinati ad una nuova antropologia potranno portare salvezza nel mondo. Non si creda che il cristianesimo debba ridursi ad antropologia per salvare il mondo. Deve piuttosto mostrare all’antropologia la nuova creazione, ossia una rinnovata antropologia».

La parte finale della relazione è dedicata, con riflessioni stringenti e approfondite, a delineare un percorso per questa “rinnovata antropologia”.

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