Il nemico di Mussolini? non i socialisti ma i cattolici popolari

Abstract: il nemico di Mussolini? non i socialisti ma i cattolici popolari che nati nel 1919 avevano quasi raggiunto, in sei mesi, i numeri del PSI e che furono visti come la minaccia futura non solo dalla sinistra, ma anche dai liberali. Per questo Mussolini identificò i popolari come i nemici più pericolosi, ed anche per questo una bella fetta della borghesia massonica, pur di evitare l’ascesa dei cattolici, sino a quel momento marginali, decise di appoggiare, almeno nella sua fase ascendente, il futuro duce. A seguire un capitolo dal libro Alcide Degasperi: vita e pensiero di un antifascista che sconfisse le sinistre.

Libertà & Persona 13 Ottobre 2022

Il vero nemico di Mussolini?

Furono i cattolici popolari         

di Francesco Agnoli

Avversario del socialismo e del fascismo, Minzoni viveva ad Argenta, in provincia di Ferrara, dominata dal gerarca fascista, già repubblicano e massone Italo Balbo (il fascismo romagnolo, da quello di Mussolini a quello di Balbo, sino a quello di Pietro Nenni, fondatore del fascio di Bologna e poi socialista, era tutto all’insegna del repubblicanesimo mazziniano radicalmente anticattolico). 

Premessa: è convinzione abbastanza comune, causa la propaganda sia fascista sia socialista, che il principale avversario di Mussolini sia stato il socialismo. Ciò non è affatto vero per almeno due motivi. Il primo: i socialisti erano, nel 1922 molti divisi (tra socialisti riformisti e comunisti, ma anche tra socialisti che stavano contro Mussolini e socialisti, non pochi, che avevano deciso di seguirlo).  

Il secondo: la vera novità erano i popolari, per lo più cattolici, che nati nel 1919 avevano quasi raggiunto, in sei mesi, i numeri del PSI e che furono visti come la minaccia futura non solo dalla sinistra, ma anche dai liberali. Per questo Mussolini identificò i popolari come i nemici più pericolosi, ed anche per questo una bella fetta della borghesia massonica, pur di evitare l’ascesa dei cattolici, sino a quel momento marginali, decise di appoggiare, almeno nella sua fase ascendente, il futuro duce.

Di seguito un capitolo dal libro Alcide Degasperi: vita e pensiero di un antifascista che sconfisse le sinistre.

1919: il Partito Popolare Italiano e la nascita dei Fasci di combattimento    

Il nazionalismo trionfa, l’Europa vive il primo tempo della sua lunga decadenza e il social-comunismo nel 1917 va al potere, in Unione Sovietica. La guerra ha destabilizzato imperi e società, ponendo le basi per l’ascesa dei totalitarismi, e, quindi, anche per il secondo conflitto (visto, da molti storici, come il secondo tempo di una medesima, lunghissima guerra civile europea).

L’Italia vede la nascita dei Fasci di combattimento di Benito Mussolini, e, nello stesso anno, il 1919, il sorgere del Partito popolare italiano (PPI) di don Luigi Sturzo: un partito aconfessionale, ma di ispirazione cristiana, critico verso lo Stato “panteista/monista” dei socialisti e dei futuri fascisti, ma anche verso quello elitario e massonico dei liberali; favorevole, dalla fondazione, al voto alle donne; patriottico, in nome di un “nazionalismo positivo” che prende le distanze dal nazionalismo ideologico allora di moda; interclassista, contro il classismo marxista o borghese; meridionalista, cioè deciso a lavorare per limitare l’emigrazione che divide le famiglie e isola gli individui in territori sconosciuti, rendendoli vulnerabili; contro l’eccessivo urbanesimo che spoglia le campagne, e, in generale, autonomista, contro il centralismo romano di matrice risorgimentale.

Il partito popolare, inoltre, difende la famiglia dalla critica socialista, contrasta il divorzio, promuove la libertà di insegnamento contro il monopolio statale ed avversa la “tirannia” della burocrazia.

Ha, come simbolo, uno scudo crociato di sapore medievale con la scritta Libertas. Moderati sì, centristi, ma combattivi e per nulla remissivi. Questo è il messaggio lanciato adottando lo stesso simbolo utilizzato in età medievale dai comuni guelfi che si erano opposti alle forze ghibelline di Federico Barbarossa. Lo scudo richiama alla difesa dai “potentati massonici”, dal socialismo, dallo statalismo, mentre la croce rossa in campo bianco -che sarà ripresa dai partigiani bianchi durante la Resistenza-rammenta le lotte nella battaglia di Legnano (1176) e di Lepanto (1571).

La parola Libertas, invece, vuole richiamare “le libertà fondamentali della famiglia, della classe, del Comune”, “la nostra aspirazione contro il centralismo e l’oppressione statale, soffocatrice di ogni energia nuova… e non ultimo elemento provocatore dell’immane fenomeno della guerra” (1).

Il 1919-1920, intanto, è funestato dal “biennio rosso”: le “guardie rosse” comuniste sperano di fare in Italia una rivoluzione come quella bolscevica. La risposta violenta, vista la paralisi e la debolezza dello stato borghese liberale, arriva dagli squadristi legati a Mussolini. Il futuro duce da una parte manovra per accreditarsi verso le elitè borghesi, dall’altra punta a spaccare il partito socialista, il suo ex partito, cannibalizzandolo ed indebolendolo (con notevole successo, visto che molti dei leader più importanti del fascismo come Farinacci, Arpinati, Beneduce, Margherita Sarfatti e tanti altri, provengono proprio dal socialismo come lui).

Capisce subito, però, che il nemico potenzialmente più pericoloso è il Partito Popolare: nato da pochi mesi, alle elezioni del 1919 ha già il 20% dei consensi. Pochi meno del PSI, che esiste da quasi 30 anni. Alle lezioni del 1921 il Partito popolare fa ancora meglio: ottiene 108 deputati contro i 35 dei fascisti. Il Partito popolare, ricorda lo storico del fascismo Emilio Gentile, “rappresenta il maggior ostacolo per le ambizioni fasciste di ascesa al potere“. Per questo, prosegue l’insigne storico, Mussolini “si rivolse principalmente contro don Sturzo, nel tentativo di accreditare il fascismo come miglior cattolico e difensore della religione, mentre metteva in dubbio l’ispirazione cristiana del partito popolare“.

Se sino al 1919 Mussolini ha attaccato la Chiesa e il cattolicesimo in ogni modo, con ferocia, ora arriva a dire che i veri “anticattolici” sono i popolari (perseguirebbero, addirittura, una “politica materialistica, tirannica e anticristiana“!), mentre i veri amici dei veri cristiani sarebbero i fascisti! Aggiunge che i popolari, purtroppo, sono molto forti perché possono contare su “trentamila parrocchie“: vanno dunque fermati.

Mussolini da una parte, con un coraggio degno della sua ipocrisia, giunge a definire don Sturzo “antipapa e strumento di Satana” e a presentare se stesso come un uomo attento alla spiritualità contro i materialisti socialisti e popolari, dall’altra affianca agli inni alla romanità pagana e al superuomo nicciano, improbabili ed inaudite celebrazioni della Roma cristiana.

Cito nuovamente Emilio Gentile: il partito popolare “era considerato dai fascisti un pericoloso antagonista, e divenne subito, insieme ad associazioni, circoli e sindacati cattolici, il bersaglio preferito delle aggressioni squadriste. E furono guai per preti e vescovi sospettati di essere antifascisti: come tali furono vittime di aggressioni verbali, talvolta materiali e, in qualche caso, addirittura mortali“ (2).

Il machiavellismo di Mussolini, che vuole ora servirsi della religione come instrumentum regni, gli permette di dire tutto e il contrario di tutto, a seconda dell’uditorio e delle circostanze. Alla fine del 1919, per esempio, scrive: “Noi che detestiamo dal profondo tutti i cristianesimi, da quello di Gesù a quello di Marx, guardiamo con simpatia straordinaria a questo riprendere della vita moderna, nelle forme pagane del culto della forza e dell’audacia”. Cinque mesi più tardi, nel maggio 1920, pronuncia un famoso discorso in cui invita i fascisti a tenere conto del fatto che “il Vaticano rappresenta quattrocento milioni di uomini sparsi in tutto il mondo”, cosa di cui una “politica intelligente” deve tener conto. Mussolini non è diventato “filo-cattolico”, spiega don Sturzo, ma al massimo, per interesse, per ora, “filo-clericale”.

1921: nasce il Partito Comunista d’Italia. Una manna per Mussolini

Ma la più grande fortuna, politicamente parlando, di Mussolini, che può contare, da un punto di vista numerico, su pochi voti, è la divisione dei socialisti nel 1921, con la nascita del PCd’I (Partito comunista d’Italia, poi PCI) (3).

La nascita del partito comunista, nel gennaio 1921 al XVII congresso del PSI di Livorno, è infatti una manna dal cielo: come se i suoi vecchi amici, rilanciando le loro lotte rabbiose, venissero a soccorrerlo. Con la loro intransigenza, il loro settarismo, il loro mito della violenza, i comunisti fanno esattamente il suo gioco. Infatti mandano in frantumi il primo partito italiano, il Partito socialista (PSI), che si trova quindi, in breve, diviso: alcuni lo abbandonano per fondare il partito comunista, altri, pur rimanendo nel partito, iniziano a combattersi tra loro, sentendo il fiato sul collo e la concorrenza degli ex compagni comunisti.

Ricorderà un comunista della prima ora come Angelo Tasca che “in quegli anni il partito comunista è politicamente assente nella lotta contro il fascismo”, perché identifica nel PSI il nemico da sconfiggere, per recuperare i voti del proletariato.

Mussolini è dunque per molti aspetti una “creatura” indiretta del comunismo: non solo perché proviene dagli stessi ambienti socialisti (in cui si sono formati molti altri leader fascisti, da Roberto Farinacci al quadrumviro Michele Bianchi sino ad Alberto Beneduce); non solo perché proprio grazie alle violenze del biennio rosso è riuscito a ritagliarsi una posizione anche nel primo dopoguerra, ma anche perché il partito comunista contribuisce più che mai ad impedire che l’Italia esca dal clima postbellico con un governo di coalizione moderato e stabile, mantenendo il paese nell’instabilità e favorendo così, di fatto, soluzioni eversive.

In quegli anni, il 1921-1922, come ricorda lo storico di formazione comunista Renzo De Felice, “se il fascismo si indeboliva, i socialisti si radicalizzavano e subivano la concorrenza dei comunisti, il che ridava fiato al fascismo”.

Socialisti massimalisti, comunisti e fascisti fanno dunque a gara per rottamare lo Stato, per delegittimare il parlamento “borghese”, per alzare il volume degli scontri: come noto ciò gioverà, alla fine, a Mussolini, il più furbo ed abile a reinventarsi ancora una volta, e a presentarsi gradualmente, alla monarchia e alla classe dirigente borghese, come il più “moderato”, l’uomo che avrebbe posto fine all’anarchia, il vecchio estremista repubblicano e anarco-socialista rinsavito e pronto alla collaborazione con la classe borghese e la monarchia.

Il Corriere della Sera del liberale Luigi Albertini, che tra qualche anno verrà epurato dai fascisti, a questa data, per intenderci, teme, molto più di Mussolini, i “rossi” (cioè socialisti e comunisti), ed i “neri”, termine spregiativo con cui vengono bollati non i fascisti ma i popolari (4). Si sa bene, infatti, come agiscono i comunisti in URSS (gulag compresi), ma non è chiaro cosa sia davvero il fascismo, che appare assai più magmatico, mutevole, e che, non possedendo una dottrina vera e propria, è camaleontico, inafferrabile ed imprevedibile, come il suo leader (la cui ambizione, tra il resto, fa pensare a molti che potrebbe bastare dargli un ministero per saziarne la fame di potere).

il socialista Pietro Nenni

Dopo il Congresso del gennaio 1921, i socialisti rimasti nel PSI tornano a riunirsi, nell’ottobre dello stesso anno: sono le loro ulteriori divisioni a far capire a Mussolini che può davvero farcela. Ricorda sempre il De Felice che se a quel congresso avesse vinto Filippo Turati, leader dei socialisti moderati, ciò “avrebbe significato l’ingresso, a più o meno breve scadenza, dei socialisti al governo e l’inizio del declino fascista. Non può dunque meravigliare che il congresso socialista di Milano del 10-15 ottobre 1921 fosse da lui atteso con vera ansia e che il suo esito gli strappasse un vero grido di gioia, in cui è tutta la sostanza della sua futura azione politica”.

A quel congresso Filippo Turati, probabilmente pronto ad aprire alle forze non fasciste, compresi i popolari, soccombe, sconfitto dai più intransigenti, i massimalisti, più vicini alle posizioni dei vecchi compagni comunisti. Ciò rende il panorama politico ancora più frammentato: “il successo dei massimalisti – che non avevano capito niente della crisi fascista e, anzi, aveva provocato in essi un rigurgito di intransigentismo – salvava il fascismo e gli apriva le porte del potere”.

Del resto ad ogni nuova violenza, manifestazione o sciopero selvaggio social-comunista, Mussolini – che può contare anche sulla benevolenza di molti ambienti borghesi e massonici- guadagna consenso anche tra i moderati (5).

La marcia su Roma

Si arriva così alla marcia su Roma. Il giornale socialista l’Avanti, il 30 ottobre 1922, di fatto esprime una certa soddisfazione, sostenendo che con la vittoria di Mussolini “ci sarà in Italia un equivoco di meno”; i comunisti del PCd’I, dal canto loro, non solo non muovono un dito, ma si dicono “convinti che l’andata al potere del fascismo avrebbe concluso il ciclo della degenerazione capitalistica e quindi affrettato i tempi della riscossa rivoluzionaria”.

E’ in questo contesto che nasce il primo governo Mussolini: l’agitatore romagnolo si presenta ora come un uomo rinsavito, moderato, almeno rispetto ai tempi, e, dopo la marcia su Roma del 1922, si dimostra disponibile ad un governo di larghe intese, che il re, Giovanni Giolitti, lo stesso Degasperi e molti altri (ma non don Sturzo) sperano in qualche modo di poter limitare o quantomeno, “arginare”. Il che forse, vista la volontà di Mussolini, divenuto primo ministro, di “normalizzare” il fascismo per non perdere consensi, potrebbe davvero avvenire, almeno in parte.

Intanto però il PPI si trova tra due fuochi, perché, come ricorda don Sturzo al congresso del partito del 12-14 aprile 1923, è impossibile stare con i socialisti, che hanno una “concezione materialista della vita, il principio della lotta di classe e il termine della dittatura economica e politica di una sola classe”, ma anche con i fascisti: “Per noi lo Stato non è il primo etico, non crea l’etica: la traduce in legge e le dà forza sociale. Per noi lo Stato non è la libertà, non è al di sopra della libertà; la riconosce e ne coordina e limita l’uso, perché non degeneri in licenza. Per noi lo Stato non è la religione: la rispetta, ne tutela l’uso dei diritti esterni e pubblici. Per noi la nazione non è un ente spirituale assorbente la vita dei singoli…”. Con questo intervento Sturzo “discaglia il partito popolare dalla collaborazione con il governo” e il 17 aprile 1923 Benito Mussolini “estromette i popolari dalla compagine governativa” (6)

Seguono immediatamente attacchi violenti alle sedi dell’Azione Cattolica, alle parrocchie, al quotidiano popolare Il popolo

I popolari, non i socialisti o i comunisti, diventano ora, ancor più di prima, “il principale punto di attacco delle azioni squadristiche del fascismo” (7).

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