Otto proposizioni sulla proprietà

proprietà_privataArticolo pubblicato  sul Cristianità n. 26-27 del 1977

Perorazione per un diritto che muore

di Louis Salleron

Con il titolo Esquisse d’une doctrine de la propriété Louis Salleron ha pubblicato, nella primavera del 1953, una serie di articoli su la France catholique. L’ultimo di questi articoli, poi ripreso nel volume Diffuser la propriété (Nouvelles Editions Latines, Parigi 1964, pp. 190-194), presenta la dottrina sulla proprietà sotto forma di tesi. Lo proponiamo ai nostri lettori come pro memoria, a ricordare l’enorme importanza di un istituto che si cerca in ogni modo di estinguere, e che forse, per molti delle nuove generazioni, è già un ens rationis, una realtà di cui si parla – quando se ne parla! –, ma di cui non si ha più concreta esperienza, anche se non si può averne più o meno consapevole desiderio, trattandosi della espressione giuridica di un diritto naturale.

I

La proprietà è il prolungamento della persona nelle cose oppure, se si preferisce, è la finalizzazione delle cose da parte della persona. E’ l’idea tradizionale, e chiunque mediti sul problema la ritrova necessariamente. Con lo stile teso e fremente che la caratterizza, Simone Weil dice molto bene: “La proprietà e un bisogno vitale dell’anima.

L’anima è isolata, perduta, se non è circondata da oggetti che siano per essa come un prolungamento delle membra del corpo. Ogni uomo è inevitabilmente portato a impadronirsi con il pensiero di tutto quello di cui si è servito a lungo e continuamente per il lavoro, il divertimento e le necessità della vita” (L’enracinement, p. 36).

Tale la dottrina della persona e della società, tale la dottrina della proprietà. Una dottrina individualistica porta a fare della proprietà un assoluto. E’ l’errore del secolo XIX, latente nella, definizione del codice civile. Una dottrina statalistica porta alla soppressione della proprietà o alla sua minimizzazione. Una dottrina della persona che vede nell’uomo un essere individuale e sociale, centro e fascio di molteplici relazioni, attribuisce a ogni proprietà il carattere del patrimonio (cfr. il nostro studio sul patrimonio in Six études sur la propriété collective).

Il primo sistema di rapporti, il più universale, il più denso e il più naturale, è la famiglia. Perciò il termine “patrimonio”, che significa “bene ereditato dai padri”, è quasi coincidente, nel linguaggio corrente, con l’idea di proprietà familiare.

II

Per il fatto di essere legata alla persona e di essere tanto più ricca di contenuto quanto più è prossima all’individuo e ai suoi sistemi di relazioni più immediate, la proprietà è naturalmente privata. Giuridicamente, questo significa che essa si muove nell’ordine del diritto privato. Chi dice proprietà dice diritto privato. Chi dice potere dice diritto pubblico. Il ruolo dello Stato è quello di regolare il gioco della proprietà e non quello di assumerlo in proprio. Lo Stato è chiamato a essere proprietario soltanto nella misura in cui ne ha bisogno la sua autorità per imporsi al potere di fatto che deriva dalla proprietà delle persone.

III

La proprietà è il sostegno della libertà. Lo è naturalmente, e in un certo modo per definizione, nel senso che permette l’espandersi della persona. Lo è istituzionalmente, nel senso che il potere dello Stato si arresta di fronte alla proprietà della persona. Lo è politicamente, per l’equilibrio che istituisce tra le forze economiche (settore della proprietà) e quelle dello Stato (settore del potere). Il dramma del comunismo sta nel fatto che, confondendo nelle stesse mani l’autorità politica e l’autorità economica, disarma il cittadino e lo priva di ogni libertà.

IV

 La proprietà si concepisce e si realizza nel modo più agevole quando ne sono soggetto l’individuo o la famiglia e oggetto ogni cosa a dimensione individuale o familiare. Per questa ragione, taluni sono inclini a riconoscere come proprietà legittima soltanto quella che si inscrive nell’orbita di questa dimensione. In questo è contenuto un grave errore che, in ultima analisi, sbocca nell’individualismo o nel comunismo.

La verità è che la persona, in tutti i suoi sviluppi individuali o collettivi, deve affiancarsi alla proprietà. La proprietà individuale non impedisce la proprietà collettiva, la piccola proprietà non impedisce la grande, la proprietà della terra non impedisce quella del denaro, la proprietà totale non impedisce l’affittanza o l’usufrutto. L’importante è che il diritto ponga regole tali che la proprietà, nei suoi molteplici aspetti, serva la persona invece di danneggiarla. Il criterio di legittimità, in materia di proprietà, sta nella persona. E’ legittima ogni proprietà che permette alle cose di aiutare la persona a fiorire integralmente e secondo i suoi fini naturali e soprannaturali, individuali, sociali e di genere.

V

 La proprietà, ponendosi sul terreno dell’Avere, oppone all’Essere tutte le contraddizioni che a esso oppone l’Avere. E’ la condizione umana. Rifiutare, disprezzare la proprietà a causa delle impurità dell’Avere, significa rifiutare, disprezzare la condizione umana. Ammettere la proprietà soltanto come servizio, come “funzione sociale”, significa voler riservare il matrimonio agli angeli o ai corpi gloriosi. Significa fare del catarismo economico. L’angelismo è la trappola più sicura per fare cadere i cristiani nel materialismo comunista. Chi vuole fare l’angelo…

VI

Poiché si pone sul terreno dell’Avere, la proprietà è la categoria giuridica per eccellenza della economia, ma le sue giustificazioni economiche non esauriscono la sua virtù, perché l’economia stessa non è il fine ultimo della persona. Se, per esempio, si possono trovare mille ragioni di rilievo per raccomandare la proprietà contadina, perché assicura uno sfruttamento razionale della terra, la raccomandano anche altre ragioni, che non hanno niente di economico: e ragioni extra-economiche potranno farla preferire a modi di sfruttamento più razionali, che escludano la proprietà.

E’ “un grande onore possedere un campo”, dice, in un verso famoso, Charles de Pomairols. Non fa riferimento alla produttività. Il podere, il campo, la casa, il giardino richiamano la proprietà per ragioni di equilibrio personale e familiare, nelle quali si alimentano le migliori possibilità dell’ordine sociale, della pace e della civiltà. L’economia ne trarrà vantaggi; non vi è interessata né in prima né in ultima istanza.

VII.

Poiché il capitalismo individualistico e liberale ha privato della proprietà un numero eccessivo di individui, il comunismo propone di privarne tutti – come se la generalizzazione del male costituisse la cura. Evidentemente la buona soluzione consiste nel contrario: assicurare la proprietà a tutti. Patrimonio familiare, patrimonio corporativo, patrimonio nazionale e universale – ecco la vera formula. Il denaro ostacola la proprietà normale solamente se lo si lascia svolgere in libertà. Ma non vi è niente di più facile che assegnare delle regole alle sue fantasie. Il capitalismo ha assunto questo aspetto odioso perché è nato e si è sviluppato all’interno di una filosofia utilitaristica. Uno spirito nuovo e strutture modificate possono perfettamente salvare le verità che contiene in materia di proprietà.

VIII.

Poiché la proprietà manifesta le disuguaglianze naturali, si tende a vedere in essa la causa di queste disuguaglianze. La realtà è diversa; è proprio il contrario. Infatti, se è vero che il liberalismo ha potuto fare della proprietà uno strumento di disuguaglianza, la proprietà sanamente intesa e orientata ai veri fini della persona attenua la disuguaguanza. Proprio nella misura in cui è riconosciuta come aiuto della persona, in vista del suo compimento, la proprietà tempera, a vantaggio della giustizia, i ritmi di una evoluzione economica più o meno caotica.

Essa evita le catastrofi delle regressioni brutali (crisi, guerre, ecc.), grazie alle riserve che assicura a tutti i livelli della società. Essa modera il progresso tecnico naturalmente disordinato, orientandolo a soddisfare i molteplici bisogni umani. Essa favorisce anche lo sviluppo normale della popolazione, associando a fini secondari legittimi le decisioni procreative che, per i più, non saprebbero trovare nella sola coscienza o, nella, ragione pura un equilibrio normale all’istinto biologico.

Tale è la proprietà, o tale dovrebbe essere. Si pensi alla lingua di Esopo. E al fatto che, tagliandola, si pone fine, evidentemente, al pettegolezzo e alla maldicenza. Ma, ciononostante, non è il procedimento generalmente seguito dagli educatori. Niente impedisce di rendere alla proprietà la sua virtù. Basta una dottrina precisa e la volontà di tradurre questa dottrina in pratica.