Le sette regole per fidarsi di una notizia scientifica

La Repubblica salute

7 Dicembre 2020

di Carlo Bellieni

CERTO tutti restiamo spiazzati dalla rapidità e molteplicità delle notizie sul web. Soprattutto in epoca di pandemia COVID. Arriva una notizia-bomba e crea speranze o allarmi, smentite e discussioni e poi liti e disorientamento generale. Abbiamo allora pensato utile segnare un sentiero in sette punti per chi vuole orientarsi tra le mille ricerche scientifiche sapere a chi dar credito.

Si parte dalla fonte. Già, la fonte: i quotidiani riportano la fonte della loro informazione, ed è questa che va ricercata e approfondita. Spesso sui giornali in edicola viene riportato abbastanza. Ma se vogliamo saperne di più? Anche i giornalisti si pongono la domanda se non è ancora niente di concreto ma solo una bella speranza. Insomma, ha delle basi più solide? E… se fosse una fake news? Ecco i passaggi da fare.

1. Controllare che una notizia sia pubblicata in primis su una rivista scientifica Come suol dirsi, “non chiedere all’oste se il suo vino è buono!”, così non basta che chi scopre qualcosa la decanti, ma deve passare al vaglio della comunità scientifica. Per questo la pubblicazione su una rivista dà la garanzia che questo passaggio ci sia stato. Se non c’è questo passaggio, il viaggio finisce qui, così come la nostra fiducia nel proclama che abbiamo sentito.

2. Valutare che la rivista suddetta sia affidabile  Per questo occorre sapere se lo studio è stato sottoposto a revisione di esperti indipendenti da parte della rivista. Le riviste attendibili inviano il testo dello studio a almeno due scienziati che restano anonimi e ad un editor che controlla il loro giudizio. Se lo studio ha passato questo stadio, potete sentirvi più sicuri. Se questo passaggio c’è stato lo trovate nella home-page della rivista, con la dizione che gli studi sono sottoposti a revisione “tra pari” (peer reviewed). Un indizio per regolarsi tra le riviste è anche verificare se quella in questione ha un “impact factor” o “If”, che è segnale di quante volte in media un articolo lì pubblicato viene citato da altri autori. Non è un indice assoluto di genuinità (articoli buoni vengono collocati in riviste giovani o locali che non hanno ancora un IF), ma aiuta a riconoscere le riviste più affermate.

3. Tipo di studio  Non tutti i tipi di studi hanno uguale “forza”; alcuni sono più solidi di altri: quelli randomizzati e prospettici (cioè fatti su una popolazione di volontari valutati poi nel tempo dando ad alcuni scelti a caso il farmaco e ad altri un placebo) sono i più solidi, meglio ancora se né i volontari né i ricercatori sanno a chi è toccato il farmaco e a chi il placebo, così da non farsi influenzare inconsciamente nella valutazione ( metodo detto “doppio cieco”). Poi ci sono, solidi ma meno dei precedenti, gli studi retrospettivi su una popolazione che senza casualità (randomizzazione) né “metodo di doppio cieco” ha ricevuto tempo fa il farmaco e ora a posteriori se ne analizza l’effetto rispetto ad un gruppo che non lo ha ricevuto.

Meno forti saranno i “case report”, che prendono 1-2 casi e danno la notizia; questo di solito avviene per le malattie rare, di cui si vuol dare nota alla comunità scientifica. Con questo passaggio valutiamo “quanto peso” possiamo dare alla scoperta che ci ha incuriositi.

4. Gli autori sono indipendenti? Le riviste chiedono agli autori di dichiarare se hanno interessi specifici con la ditta della quale hanno studiato l’ultimo farmaco, per esempio se sono dipendenti di quella ditta, o se hanno contratti di qualche tipo. Qualche volta può sfuggire un conflitto di interessi, allora andate a guardare (spesso lo trovate sotto al titolo dello studio) l’affiliazione dell’autore; talvolta può essere utile vedere se fa parte di associazioni o che hanno motivo di pregiudizi (buoni o cattivi) verso il tema che scrivono; per esempio, il presidente di un club di cacciatori che fa uno studio sulla caccia o di un vegetariano sulla verdura. Non è facile da sapersi, interessa i veri esperti dell’informazione, ma è uno step importante.

5. I metodi usati sono giusti? Per esperti, o per chi ha esperti a portata di mano. Ogni studio deve essere limpido e replicabile. Per questo in ogni studio c’è una sezione intitolata “Materiali e Metodi” che spiega tutti i passaggi. E se non è chiara qualcosa non torna. Spesso qui occorre un esperto per capire. Occorre vedere se c’è il nome dei reagenti, le analisi fatte, l’età dei pazienti, il luogo e talvolta l’orario dell’esperimento, la numerosità del campione. Quest’ultima nota vale anche per i sondaggi sociologici: se sono fatti su un campione poco numeroso o se molti degli intervistati non ha risposto, il loro valore è decisamente basso.

6. Leggere bene le conclusioni Ecco una “chicca”. In ogni lavoro i revisori chiedono agli autori di dichiarare i punti deboli del loro studio. Vale la pena darci un occhio.

7. Cercare le conferme  O in altre parole, “una rondine non fa primavera”. E’

buona norma dar credito ad una scoperta solo quando questa è stata almeno una volta replicata da un altro gruppo di studio, e soprattutto quando i vari risultati sono stati analizzati e paragonati matematicamente in meta-analisi.

Insomma: il percorso per le innovazioni scientifiche è duro e la via è stretta; ma di solito quello che si ritrova alla fine del cammino giusto è molto prezioso. Ricordate sempre che l’espressione “secondo me” in campo scientifico non vuol dire niente anche se la dice un premio Nobel: quel che conta è quel che ha prove tangibili: carta canta.

Ecco allora che in pochi passaggi abbiamo imparato come non prendere abbagli, pericolosi in situazioni dure come quella che stiamo vivendo: facciamone buon uso.