Il genocidio, invenzione della modernità

Abstract:il genocidio, invenzione della modernità. Fu proprio durante un’epoca che si fregiò della definizione di “secolo dei lumi”, il Settecento rivoluzionario, che fu “inventato” uno dei più oscuri sistemi di controllo della popolazione: lo spopolamento, il nazionicidio, il genocidio.

Edificati sulla roccia 13-20 Luglio 2021

Nazionicidio: una terribile invenzione della modernità (1 e 2 parte)

di Maria Consiglia Pompei

È frequente sentir ripetere espressioni del tipo  “come nel Medioevo” o “mica siamo nel Medioevo”, in senso dispregiativo, di fronte a fatti o a comportamenti che devono essere etichettati come retrogradi e oscurantisti.

Spesso si tratta di giudizi sommari e poco competenti della storia e dell’attualità, suscitati dalla non corrispondenza delle idee e delle azioni altrui alla mentalità dominante, una mentalità “illuminata”, contrapposta all’oscurantismo di antiquati bigotti.

Eppure fu proprio durante un’epoca che si fregiò della definizione di “secolo dei lumi”, il Settecento rivoluzionario, che fu “inventato” uno dei più oscuri sistemi di controllo della popolazione: lo spopolamento, il nazionicidio, il genocidio.

Confesso che, pur insegnando storia, pur essendo al corrente di quanto fosse stato sanguinario il leader più rappresentativo della Rivoluzione francese, “l’avvocato del popolo” Maximilien Robespierre, non ero a conoscenza di come la strage di francesi, rivoluzionari o nemici della rivoluzione, non importava, fosse stata pianificata, motivata e perseguita con “inaudita ferocia”, come afferma in un suo scritto del 1794, François-Noël Babeuf, detto Gracchus, per le proposte di riforma agraria che lo assimilavano all’omonimo tribuno della plebe dell’epoca romana.

Gracco Babeuf

Egli viene definito “il primo comunista della storia” e, forse, a buon diritto, il primo vero “complottista”, sia perché scoprì e denunciò “les exécrations nationicides”, gli “orrori nazionicidi” del governo rivoluzionario, sia perché insieme a Filippo Buonarroti organizzò un complotto, la cosiddetta “congiura degli eguali”(1796), contro il Direttorio, l’ultimo governo  prima dell’avvento di Napoleone.

La congiura fallì, Babeuf fu catturato e condannato alla ghigliottina e Buonarroti, invece, divenne “l’occulto artefice d’una vasta organizzazione settaria (Adelfi, Sublimi, Maestri Perfetti, Mondo)” (sic in Enciclopedia Treccani – vedi fonti alla fine dell’articolo).

Filippo Buonarroti

Insomma, i due, che si erano conosciuti in una delle varie circostanze in cui Babeuf era finito in prigione (incorreggibile, pestava sempre i piedi a qualcuno!), se ne intendevano di complotti!

Il povero Gracchus era un idealista, ma anche un uomo pratico: il suo “proto-comunismo” non era filosofico, utopistico, scientifico, ma concreto e si basava sulla sua esperienza con i catasti come agrimensore e geometra, uno dei mestieri che svolse nel periodo burrascoso della rivoluzione.

Egli poteva leggere nelle carte gli abusi della parte parassitaria della classe aristocratica e promuoveva l’abolizione dei diritti feudali, l’equa distribuzione delle risorse terriere e l’ottimizzazione della produzione agricola affinché tutti avessero il necessario e nessuno avesse in eccesso.

In buona sostanza non agitava lo spettro della cancellazione violenta e ideologica dell’aristocrazia, ma una nuova organizzazione economica e sociale, in cui la prosperità demografica sarebbe stata la prova di una sana gestione delle proprietà.

Per questo godeva dell’appoggio anche dei nobili liberali, che nelle prime fasi della rivoluzione avevano dato il loro contributo al cambiamento politico e alla caduta dell’assolutismo monarchico.

Babeuf – purtroppo non c’è spazio per soffermarsi sulla sua interessante vita – era “un cane sciolto”, non aveva padroni né sottostava sempre ai dogmi delle ideologie e amava visceralmente l’égalité, l’uguaglianza, tanto esaltata nel noto motto rivoluzionario, quanto poco rispettata da chi se ne riempiva la bocca: in nome di questo principio, il novello Gracco ebbe addirittura l’ardire di contestare la “Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino”, documento fondamentale della rivoluzione (1789), perché, distinguendo il peso politico dei cittadini in base al censo, provocava un nuovo tipo di discriminazione.

Il troppo rapido e colorito ritratto di questo personaggio (con il quale, sia chiaro, non sarei andata d’accordo per il suo radicale ateismo) è una premessa necessaria alla trattazione di quanto, grazie al suo coraggio, possiamo apprendere oggi sull’origine ideologica del grave crimine del genocidio, un’origine radicata nel pensiero-madre di gemelli diversi, diversissimi: da un lato le democrazie moderne (con tutti i loro difetti), dall’altro i totalitarismi che hanno insanguinato il Novecento e lo hanno fatto soprattutto con il genocidio.

E’ stato proprio cercando di risalire al primo utilizzo giuridico di questo termine che mi sono imbattuta nella pubblicazione di Carmelo Domenico Leotta, “Il genocidio nel diritto penale internazionale”, nella quale, alle pagine 72-76, il giurista spiega, appunto, che il primo a definire “la distruzione volontaria di un gruppo nazionale” con un termine simile a genocidio fu F.N. Babeuf.

La sorpresa è stata grande! Probabilmente sono semplicemente ignorante, ma in nessuno dei libri che ho consultato da studentessa e poi da insegnante avevo mai trovato questa informazione e, in effetti, a cercare bene, un indizio di incongruenza storiografica può essere il fatto che le fonti più consultate on line evitano di parlare di questo incredibile scritto di Babeuf, “Du système de depopulation ou la vie et les crimes de Carrier” o ne fanno cenno definendolo il prodotto di una fase di avversione del nostro alla politica di Robespierre.

Maximilien Robespierre

Leggendo il testo, consultabile on line nell’edizione originale, ciò che emerge è molto di più della semplice avversione per l’ideatore del Terrore, un’azione spietata che nella sola Parigi portò alla ghigliottina diciassettemila ipotetici nemici della Repubblica rivoluzionaria.                        Il Leotta spiega che Babeuf fu incaricato da un deputato della Convenzione, l’organo che doveva occuparsi della transizione tra monarchia e repubblica e che ebbe il controllo della Francia dal 1792 al 1795, di indagare su quanto avvenuto in Vandea durante la prima delle quattro guerre che nel giro di pochi anni gli abitanti di questa regione a nord-est della Francia, monarchici e cattolici di ferro (che se lo dici troppo forte sei fascista), condussero contro le truppe dei sanculotti (i rivoluzionari), guidati da generali senza scrupoli a far strage di uomini, giovani, anziani, donne e bambini.

La vicenda storica è complessa e sarebbe difficile ripercorrerla integralmente. In questa sede ci basti sapere che i vandeani erano considerati una minoranza da cancellare con ogni sistema possibile e il povero Babeuf trovò prove documentali certe che lo sterminio fu attuato con una crudeltà rivoltante: “Cittadini repubblicani, non c’è più nessuna Vandea! E’ morta sotto la nostra sciabola libera, con le sue donne e i suoi bambini. L’abbiamo appena sepolta nelle paludi e nei boschi di Savenay. Secondo gli ordini che mi avete dato, ho schiacciato i bambini sotto gli zoccoli dei cavalli e massacrato le donne, così che almeno quelle non partoriranno più briganti. Non ho un solo prigioniero da rimproverarmi. Li ho sterminati tutti

Questo legge Gracchus nel rapporto del generale Westermann, “il macellaio della Vandea”, agli ordini di Carrier, procuratore del Tribunale d’Aurillac, autore del piano di sterminio che contemplò anche la sistematica distruzione di case e derrate alimentari con l’incendio di combustibili inviati da Parigi insieme alle truppe. L’ordine tassativo era “stermina i briganti fino all’ultimo, ecco il tuo dovere”, come si legge nel dispaccio inviato nel 1794 dal Comitato di salute pubblica (che a scriverlo oggi fa un po’ impressione…) al generale Turreau, comandante delle “colonnes infernales

Come poteva sentirsi il paladino della libertà e dell’uguaglianza leggendo di questi orrori? Il suo rapporto ebbe relativo successo: Carrier fu condannato a sette mesi di carcere e divenne il capro espiatorio perfetto per coprire ben altro.

Eh sì, c’era ben altro in quello che Babeuf aveva letto e scoperto ed era così tanto e così grave da doverlo scrivere in un libro-denuncia in cui ogni riga trasuda ancora oggi di amara presa di coscienza e di intensa e dolorosa indignazione.

Il nostro si era imbattuto nel violento pamphlet dell’avvocato Pierre Philippeaux, deputato alla Convenzione Nazionale, inviato in Vandea: il suo scritto denunciava qualcosa di ancora più grave – ammesso che si possa stabilire una graduatoria della brutalità genocidiaria – di quanto fatto contro i vandeani e quanto da lui affermato, vagliato alla luce dei documenti ai quali Babeuf aveva avuto accesso, aprì un’altra prospettiva, terribile, nella sua lucida e libera mente.

La Convenzione e il Comitato di salute pubblica avevano pianificato un sistema di spopolamento che non era dettato dalla necessità di domare la rivolta vandeana, ma dall’obiettivo, aprite bene gli occhi, di diminuire il numero degli abitanti della Francia, considerato eccessivo rispetto alla disponibilità di terre da coltivare.

Non si trattava solo di sterminare i ribelli, ma anche di fare in modo che i ribelli avessero la possibilità di sterminare i sanculotti scagliati contro di loro in una carneficina da vendicare: orrori nazionicidi!

Lo spopolamento pianificato non doveva risparmiare i soldati rivoluzionari che generali corrotti sottoponevano alle stesse restrizioni, alla stessa famine, carestia, con la quale uccidevano la popolazione locale, mentre i loro comandanti si lasciavano andare ad eccessi di ogni genere, prima di condurli al massacro.

Sia chiaro, Babeuf mette sullo stesso piano i comandanti delle truppe vandeane e quelli delle truppe rivoluzionarie, ma, pur definendo i contadini di quella regione come “superstiziosi” cattolici, afferma che i documenti che aveva letto gli restituivano l’immagine di uomini “agresti, semplici, buoni, umani, molto vicini alla natura” e quindi predisposti a ricevere il dogma della libertà”: insomma, perché trucidarli e trasformarli in vendicatori, quando potevano essere convinti della causa della libertà? Nella sua cecità di rivoluzionario, il nostro non poteva comprendere che anche allora c’erano valori non negoziabili e che i vandeani non combattevano solo per la monarchia, ma anche, anzi, soprattutto, contro la violenta scristianizzazione giacobina; combattevano perché provocati: questo sì lo ammette!

Non c’era nessuna insurrezione in Vandea (cap. V, p. 42) se non voluta da “infami governanti” per il loro piano di spopolamento volto ad accumulare terre ricche e produttive, parola del tribuno Gracchus.

Distruzione totale, questo era lo scopo dei generali che operavano in quella regione, non solo combattere i resistenti armati, ma uccidere gli inermi contadini e artigiani davanti alle loro mogli e ai loro figli, poi abbandonati alla brutalità dei soldati fino alla morte, bruciare le loro officine, le stalle, le case, le scorte e poi sgozzare tutti i sopravvissuti: questo legge nei discorsi di Joseph Lequinio, il quale si rammarica di dover mettere da parte i suoi ideali filantropici per compiere la devastazione necessaria della Vandea.

Che rabbia, insieme a te Babeuf, su questo saremmo andati d’accordo! Lequinio aveva pubblicato qualche anno prima Les préjugés détruits (1792), i pregiudizi distrutti, in cui faceva appello perché fosse stabilita l’uguaglianza totale degli uomini e delle donne! Che filantropo!

Leggendo queste pagine non ho potuto fare a meno di entrare in empatia con il tribuno francese, costretto dagli eventi a constatare che il popolo che egli difendeva con  sincera passione egualitaria, era stato fatto oggetto di un piano infernale di “populicidio”, un piano cinico, realizzato con due leggi due, con cui si dava mandato ai generali e ai soldati di sterminare i “briganti”, affidando al loro arbitrio stabilire chi fosse brigante: catturavano, giudicavano, eseguivano le atroci condanne a morte. Peccato che per loro ogni vandeano era un brigante, uomo, donna o bambino.

Se essere quello che si è per quello che si pensa viene trasformato in un reato, è chiaro che si può attaccare e distruggere qualunque categoria o gruppo etnico e sociale e la criminalizzazione di coloro che devono diventare oggetto di genocidio è sempre la prima tappa dei progetti di sterminio: lo fecero i romani con i primi cristiani, i nazisti con gli ebrei, i totalitarismi comunisti con i nemici presunti del popolo e così via (amarissima e cruenta via).

Uno dei sistemi più rapidi per dare la morte fu un’idea di Carrier: erano le “noyades”, gli annegamenti di massa. I prigionieri venivano denudati, legati a delle pietre, caricati sulle chiatte e fatti annegare.

Dopo aver letto tutto questo, ho fatto una gran fatica a spiegare come sempre la Rivoluzione francese, nonostante un professore connazionale di Robespierre, durante un corso d’aggiornamento che conduceva qui in Italia in una prestigiosa scuola internazionale (dove troppe immagini religiose – così ci disse – quasi gli impedivano di parlare!)  abbia provato a confortarci su questo tema, affermando che il Terrore fu necessario per proteggere la Repubblica.

Ovviamente non riuscì a fugare i miei dubbi, anzi, mi fece chiaramente capire, nella sua agiofobia (paura delle immagini sacre), che i portatori di pensiero divergente, soprattutto cristiani, sono ancora in pericolo.

Il Terrore durò solo un anno, ma in poco tempo i morti furono tantissimi, alcune stime ritengono che il bilancio finale della Rivoluzione consistette in circa due milioni di vittime.

A fare queste affermazioni nel 1987 fu il professor Chaunu, professore di storia alla Sorbonne, presto accusato di essere di estrema destra dal suo principale avversario, Max Gallo, autore di una “Lettera aperta a Robespierre”, in cui esaltava la Rivoluzione in preparazione del bicentenario del 1989.

Sapeva Max Gallo, allora, che la fonte più importante sul genocidio vandeano con i suoi 600.000 morti e la distruzione del 40% delle risorse agricole era il proto-comunista Babeuf?

Se duecento anni dopo ancora era feroce il “negazionismo” su questa brutta pagina di storia, immaginate come doveva sentirsi il nostro amico rivoluzionario che assisteva direttamente all’aspra e sanguinaria menzogna con cui i fautori di liberté, égalité, fraternité, coprivano il loro progetto di spopolamento.

Il nostro povero idealista provò a crederci ancora e non riuscì a comprendere fino in fondo l’inganno, a vedere le ombre che le luci del suo secolo avevano gettato su tante vite innocenti e su tanti uomini trasformati in carnefici.

Delle sue speranze sull’esito della rivoluzione io conservo una piccola buona eredità che è l’essere cittadini nell’esercizio attivo di diritti e doveri, ma conservo nel cuore anche il dolore della disillusione che ho condiviso con lui, leggendo il suo dossier.

Babeuf perse la testa sotto la lama della ghigliottina rivoluzionaria e il suo ardente scritto è caduto in un relativo oblio: della Vandea non si può parlare, neanche se lo fa un comunista come Babeuf.

Eppure mi sarebbe piaciuto trovarlo nei libri di storia questo paradigma: i filosofi ridanno all’uomo la luce smarrita a causa dell’oscurantismo, reclamano per l’uomo il diritto alla libertà, alla felicità e all’uguaglianza e poi per essere felici affogano l’umanità in un bagno di sangue. Per cosa, infine? Perché un gruppo di filantropi ha deciso che hanno ragione gli “scienziati”, che la terra non basta per tutti e che quindi i meno uguali degli altri possono essere eliminati.

E’ il paradigma che ha insanguinato da allora in poi il mondo e sempre ad opera di chi vuole liberare i popoli da qualche grave minaccia, mentre la minaccia è proprio il presunto liberatore.

Historia magistra vitae, non perché gli antichi ne sapessero più di noi, ma perché hanno sbagliato prima.

Fonti

François-Noël Babeuf, Du système de dépopulation ou la vie et les crimes de Carrier: son procès, et celui du Comité révolutionnaire del Nantes”, consultabile in www.gallica.bnf.fr

Carmelo Domenico Leotta, Il genocidio nel diritto penale internazionale, G.GIAPPICHELLI EDITORE, Torino 2013

https://www.corriere.it/lettere-al-corriere/12_Maggio_13/ALLE-ORIGINI-DEL-COMUNISMO-BABEUF-BUONARROTI-GLI-EGUALI_43ba077e-9cc5-11e1-9e47-40ef175b0d3f.shtml

http://www.storiain.net/storia/babeuf-un-congiurato-comunista-nella-rivoluzione/

https://www.treccani.it/enciclopedia/filippo-buonarroti_%28Dizionario-Biografico%29/

https://www.treccani.it/enciclopedia/filippo-buonarroti/

https://fr.wikipedia.org/wiki/Pierre_Philippeaux

https://fr.wikipedia.org/wiki/Joseph_Lequinio 

https://it.wikipedia.org/wiki/Noyades_di_Nantes

https://www.culturanuova.net/storia/testi/2.rivfra_chaunu.php

https://www.ilcattolico.it/rassegna-stampa-cattolica/formazione-e-catechesi/la-rivoluzione-francese-ha-provocato-piu-morti-della-prima-guerra-mondiale.html