Cari atei, solo i credenti possono fidarsi della ragione

Unione Cristiani Cattolici razionalisti

31 Marzo 2022

Se il naturalismo è vero, siamo solo un incidente casuale di un’evoluzione cieca ed i nostri pensieri equivalgono a mere reazioni chimiche. Perché dovremmo fidarci dei prodotti della mente? Per i cristiani, invece, la ragione è un dono di Dio e ha un’origine evolutiva non casuale

Le nostre capacità cognitive sono affidabili? Se il naturalismo fosse vero, l’essere umano sarebbe solo un incidente casuale dell’evoluzione e la risposta sarebbe negativa. Lo stesso celebre naturalista Charles Darwin lo intuì quando scrisse: «Mi sorge sempre l’orrido dubbio se le convinzioni della mente umana, che si è sviluppata dalla mente degli animali inferiori, siano di qualche valore o in qualche modo attendibili. Chi riporrebbe la sua fiducia nelle convinzioni della mente di una scimmia – se pure esistono delle convinzioni in una tale mente?» (1881).

Dal momento che la selezione naturale si limita a premiare i comportamenti che aumentano l’adattamento, non ha alcuna importanza se le convinzioni che stanno alla base di quei comportamenti siano vere o false. Se si accetta il riduzionismo materialista, implicito nel naturalismo, ogni comportamento umano è causato esclusivamente da processi cerebrali deterministici, i quali sono l’unica fonte delle nostre convinzioni.

Perché il cristiano può fidarsi della ragione.

Nel febbraio scorso ne ha parlato anche Michael Egnore, rinomato neurochirurgo della State University di New York. Egnore è partito dalla constatazione che gli atei comunemente affermano che esisterebbe una profonda dicotomia tra fede e ragione, ma egli obietta che la validità della ragione non può essere convalidata dalla ragione stessa.

Il cristiano è legittimato a fidarsi della sua ragione in quanto la ritiene un dono di un Dio creatore per aiutarlo ad accedere alla conoscenza del mondo. «Questa è una giustificazione coerente per fidarci della nostra capacità di ragione», scrive  il neurochirurgo.

La massima apertura della ragione si verifica infatti quando quest’ultima percepisce il presentimento di un significato profondo nell’esistenza, quando diventa cosciente di un’incompiutezza ultima per cui solo un Infinito può darvi risposta e culmina nel sospiro di una rivelazione. «Il supremo passo della ragione sta nel riconoscere che c’è un’infinità di cose che la sorpassano», scriveva Pascal.

I filosofi: «I naturalisti non possono credere alla ragione»

Ma se davvero fossimo il prodotto casuale di un’evoluzione cieca? Con quale garanzia potersi fidare della nostra capacità intellettiva? In base a cosa si può essere convinti che vi sia qualcosa di assolutamente vero o falso? Ne abbiamo già parlato in passato, riprendendo il famoso argomento del filosofo statunitense Alvin Plantinga.

«Gli atei hanno la stessa fede dei cristiani: credono di avere accesso anche loro alla verità», osserva oggi Michael Egnore. «Ma l’ateismo non fornisce alcuna garanzia coerente per fidarsi della capacità di ragione. In questo senso, la fede atea è molto più radicale e molto meno coerente della fede dei cristiani».

E ancora: «La fede atea nella validità della ragione è infondata e ingiustificabile, ed è quindi una fede molto più radicale e molto meno credibile». Se i nostri pensieri, i nostri sentimenti, le nostre speranze sono semplicemente il risultato di reazioni chimiche, come indica il naturalismo, perché dovremmo fidarci di essi? Quanto è probabile che le nostre capacità cognitive siano affidabili, data la loro origine puramente casuale? Molto poco.

Ecco la riflessione dell’eminente matematico di Oxoford, John Lennox: «Il riduzionismo ontologico si riduce al tentativo di sollevarsi tirandosi su per i lacci delle scarpe. In fin dei conti, è l’uso dell’intelletto umano ad aver indotto alcune persone ad adottare il riduzionismo ontologico, il quale comporta il corollario che non vi è motivo di fidarci del nostro intelletto quando ci dice qualcosa; tanto meno, in particolare, quando ci dice che tale riduzionismo sia vero».

Lo ha spiegato molto bene anche J.P. Moreland, docente di Filosofia presso la Biola University (California): «Se la mente fosse emersa casualmente dalla materia senza l’input di un’Intelligenza superiore, sorgono immediatamente due problemi. Primo, perché dovremmo fidarci e ritenere veri o razionali i prodotti della mente? In secondo luogo, se il pensiero implica il formulare entità astratte (proposizioni, leggi della logica ecc.) stanziate nella propria mente, allora sembra incredibilmente improbabile che una proprietà emersa dalla materia in una lotta per la sopravvivenza possa produrre pensieri. Che questa proprietà emergente possa contenere e produrre entità astratte sarebbe un’incognita irrisolvibile».

L’affidabilità “cieca” alla propria ragione, dunque sembra giustificarsi ed adattarsi meglio solo all’interno di un contesto teistico in cui si presuppone l’origine non casuale della nostra mente e della coscienza.