II matrimonio non è un contratto qualsi

matrimonio_civileL’osservatore Romano martedì
18 dicembre 2012

«Témoignage chrétien» e il dibattito sulle unioni omosessuali

di Lucetta Scaraffia

In varie occasioni «Témoignage chrétien» si è misurata in modo intelligente con i problemi della modernità senza allontanarsi dalla morale cattolica. Proprio per questo dispiace molto leggere sulla rivista francese una difesa senza condizioni dei “matrimoni” gay. Dispiace soprattutto perché, nel sostenere questa posizione, sono utilizzati gli argomenti più banali del politically correct, proprio quando in Francia è in corso una discussione vivace sulla loro legalizzazione, nella quale anche molti laici intervengono contro questa proposta con buoni argomenti giuridici, psicanalitici, filosofici.

Rifiutare agli omosessuali la possibilità di stabilire un contratto matrimoniale sarebbe, secondo la rivista, «aggiungere una discriminazione a quelle di cui già troppo spesso sono stati oggetto», e il progetto di legge in questione sarebbe un passo avanti nel riconoscimento dell’uguaglianza per gli omosessuali. Rimane quindi inespressa, ma logicamente deducibile, la minaccia che grava su quanti si oppongono a questi “matrimoni”: essi sarebbero contrari all’uguaglianza dei gay, quindi omofobi.

Come se non si potesse difendere il diritto delle persone omosessuali a non essere sottoposte ad alcuna discriminazione e, al tempo stesso, essere contrari a concedere loro il matrimonio. Come se l’uguaglianza fra i cittadini dovesse essere ratificata dalla cancellazione di ogni differenza, negando in questo caso quella sessuale.

La storia e il diritto insegnano che l’uguaglianza fra i cittadini deve essere sempre commisurata alle differenze che la realtà stabilisce fra loro. I diritti dei bambini non sono quelli degli anziani, i diritti delle donne sono diversi per alcuni aspetti da quelli degli uomini. E questo non significa che non godano di una uguaglianza di fronte alla legge: un’uguaglianza che tiene conto delle possibilità differenti, ma non per questo meno preziosa e positiva.

Il matrimonio non è solo, come scrive «Témoignage chrétien», un contratto come tanti altri che può funzionare o meno, ma è il legame istituzionale alla base di una famiglia, è l’istituzione nata per proteggere e garantire la filiazione, stabilita in modo da determinare i diritti e i doveri che passano fra le generazioni.

Dal momento che una coppia omosessuale non prevede la filiazione, è una realtà diversa. L’utopia dell’uguaglianza, che ha già portato tanti danni nel Novecento, si presenta così sotto nuove vesti, chiedendo di dichiarare uguali legami che non lo sono, e ricominciando, in questo modo, a illudere l’umanità come ha fatto in passato il socialismo reale.

Dire che il matrimonio fra una donna e un uomo è uguale a quello fra due omosessuali costituisce, infatti, una negazione della verità che intacca una delle strutture base della società umana, la famiglia. Non si può fondare una società su queste basi senza pagare poi prezzi altissimi, come è già avvenuto in passato quando si è cercato di realizzare una totale uguaglianza economica e sociale. Perché ripetere lo stesso errore per inseguire ancora una volta un’utopia ormai consunta?

Sulla possibilità degli omosessuali di allevare dei figli «Témoignage chrétien» non si esprime chiaramente: mentre da una parte afferma che «il diritto di un bambino di conoscere le proprie origini è un diritto essenziale», dall’altra fa capire che sarebbe favorevole all’adozione anche per le coppie gay, e invita a considerare i legami elettivi superiori a quelli di sangue.

Chi scrive sulla rivista poi sembra non pensare alla sorte dei bambini destinati all’adozione di coppie omosessuali, già deprivati una volta dei genitori, e poi costretti a vivere in una condizione che non offre toro neppure la simulazione di una famiglia naturale. Una doppia diversità pesante da sostenere.

Del resto sappiamo bene che il desiderio di avere un figlio del proprio sangue — o almeno del sangue di uno dei due membri della coppia — prevale nella realtà delle coppie omosessuali su quello di adozione, dando luogo a nuove forme di sfruttamento, come la compravendita dei gameti e l’utero in affitto.

Se è senza dubbio vero che, oltre al problema dei matrimoni omosessuali, ci sono tanti altri «disordini antropologici» su cui intervenire, fra questi dobbiamo senza dubbio annoverare quelle forme di sfruttamento che le nuove biotecnologie suscitano e favoriscono, anche nella procreazione assistita. E sicuramente il riconoscimento dei matrimoni gay non farebbe che stimolarne altre. Non è così facile, come scrive la rivista, distinguere fra coniugalità, parentela e filiazione. E poi, perché farlo forzando il significato originario, antropologico e giuridico della famiglia?

Linguisti e psicologi stanno mettendo in guardia la società dallo svuotare del significato proprio i termini: il concetto di famiglia non si può allargare a dismisura, senza distruggere l’identità di una delle istituzioni più importanti di una società, e altrettanto avviene per la definizione di madre e di padre. Perché non ascoltare la parola di chi segnala questi errori? Essere cattolici è molto di più che abbracciare una posizione culturale alla moda, e i responsabili di «Témoignage chrétien» — nonostante questo endorsement verso il matrimonio omosessuale — lo sanno bene.