ABORTO USA/ Ora anche per i giudici c’è un “interesse alla vita” che non si cancella

Il Sussidiario.net 6 Dicembre 2021

Il Mississippi ha varato una legge che proibisce l’aborto dopo le 15 settimane dal concepimento. Una sfida per la Corte suprema, gli americani e anche Biden

di Luca Pirola

Il tema dell’aborto è tornato a scaldare il dibattito politico ma in particolare giuridico statunitense. Nella giornata di mercoledì si è tenuta di fronte ai nove giudici della Corte suprema americana (organo che unisce per il governo federale le funzioni di giudice di ultima istanza e giudice di legittimità delle leggi) la discussione circa la legittimità di una legge, approvata dallo Stato del Mississippi, che proibisce l’aborto dopo le 15 settimane dal concepimento.

Il divieto all’aborto è stato considerato illegittimo già dal 1973 con la sentenza Roe vs Wade che ha legalizzato l’aborto in tutti gli States. Nel 1992 la Corte, con la sentenza Planned Parenthood vs. Casey, ha definito il limite oltre il quale l’aborto può essere vietato dalle legislazioni dei singoli casi a quando il feto è in grado di sopravvivere al di fuori dell’utero materno: significa che prima delle 24 settimane (poi scese a 22-23) non possono essere poste limitazioni all’aborto.

Il solo fatto che la Corte abbia deciso di esaminare il caso della legge del Mississippi è un segnale importante che qualcosa sta cambiando: normative simili, infatti, sono negli ultimi trent’anni più volte state approvate in Stati conservatori e prontamente dichiarate illegittime dai tribunali federali, senza che la Corte suprema accettasse appelli.

L’andamento della discussione ha poi dato ulteriori segnali che possono lasciar immaginare un cambiamento della giurisprudenza: se la linea tenuta dei tre giudici liberal, Breyer, Sotomayor e Kagan, è stata quella di sottolineare la non opportunità di riaprire un argomento da loro considerato chiuso cinquant’anni fa, la linea degli altri sei giudici è stata diversa. Il giudice Alito ha ribadito che “The fetus has an interest in having a life” e che questo interesse non cambia se il feto può o meno sopravvivere al di fuori dell’utero: compito della Corte è bilanciare la libertà di scelta della madre con l’interesse alla vita del figlio.

La giudice Barrett ha sottolineato come molto sia cambiato rispetto a cinquanta o trent’anni fa, ad esempio i metodi contraccettivi sono molteplici e molto diffusi, c’è ora molta più disponibilità di coppie all’adozione e ci sono normative, così dette “safe haven”, che permettono il parto in anonimato e in sicurezza, con la possibilità per il bambino di crescere in un’altra famiglia.

Il procuratore dello Stato del Mississippi ha nel dibattito sostenuto le tesi originaliste, care a giudici conservatori come Thomas e Gorsuch, per cui il testo della costituzione Usa deve essere interpretato letteralmente, nel modo in cui è inteso da chi lo ha scritto; pertanto, se un tema non è esplicitamente disciplinato dalla Costituzione, e l’aborto evidentemente non lo è, i singoli Stati devono poter decidere liberamente in base a scelte fatte da organi democraticamente eletti.

Le pressioni politiche sulla Corte sono enormi, il presidente Biden si è espresso più volte e in maniera molto netta a favore del diritto all’aborto, e, soprattutto dal lato democratico i toni si stanno scaldando, ad esempio la senatrice democratica Jeanne Shaheen è arrivata a dire “spero che la Corte suprema stia ascoltando il popolo degli Stati Uniti, perché penso che se vuoi vedere una rivoluzione, allora bandisci Roe vs Wade e vedi qual è la risposta del popolo”.

Le tempistiche per arrivare ad una decisione saranno ancora abbastanza lunghe, i giudici si incontreranno in camera di consiglio, discuteranno, sceglieranno chi sarà il giudice relatore e proseguiranno il confronto in sede riservata. Difficilmente la sentenza sarà pubblicata prima di giugno.

Ago della bilancia della decisione sarà probabilmente la posizione dei giudici Roberts e Kavanaugh; durante il dibattito sono sembrati entrambi inclini ad abbandonare il parametro della “vitalità” del feto al di fuori dell’utero materno, sottolineando che è stato un parametro scelto dalla Corte in maniera arbitraria e pertanto passibile tranquillamente di modifiche.

Potrebbero pertanto considerare legittimo il parametro individuato dal legislatore del Mississippi (15 settimane), parametro peraltro allineato con la legislazione italiana e di altri Stati europei, anch’esso arbitrario ma con un fondamento in una decisione di un organo democratico, senza con ciò ribaltare la sentenza Roe vs Wade e proseguendo quindi nel riconoscere il diritto all’aborto, da contemperarsi però con l’interesse alla vita del feto.

Indubbiamente però siamo di fronte a quella che potrebbe essere una decisione storica, che riconosca per la prima volta nell’ordinamento americano (che ha enormi influssi sull’orientamento giurisprudenziale globale) che quello all’aborto non è un diritto illimitato e illimitabile ma che possa essere corretto introdurre perlomeno delle limitazioni ragionevoli che contemperino il diritto all’autodeterminazione della donna con il diritto alla vita del nascituro.