Scampato alle Guardie Rosse di Mao, purgato dall’ignobile cancel culture

Newsletter di Giulio Meotto

11 Ottobre 2021

 Gli distrussero il piano e lo spedirono in Tibet. Ora un famoso musicista cinese è punito in America per aver mostrato agli studenti l’Otello di Shakespeare. Questa pazzia occidentale non finirà bene

di Giulio Meotti

Qualche giorno fa avevo raccontato nella newsletter di come tanti esuli dai regimi rossi siano allarmati per la cancel culture occidentale, arrivando a denunciare il politicamente corretto come una riedizione della propaganda comunista.

La storia, come diceva Karl Marx, si ripete sempre due volte: prima come tragedia, poi come farsa. E c’è chi ha la sfortuna di vivere non una rivoluzione culturale, ma due. E’ il caso di Bright Sheng, uno dei più famosi musicisti cinesi il cui caso è raccontato da Newsweek  Ha vissuto la Rivoluzione Culturale in Cina e ora è preso di mira dai maoisti woke nei campus degli Stati Uniti.

Sheng è un professore di musica all’Università del Michigan. È un pianista e compositore di grande talento. Le sue opere sono state suonate da tutti, dalla New York Philharmonic alla Chinese National Symphony Orchestra. Il “crimine” di Sheng? Aver mostrato ai suoi studenti il ​​film del 1965 tratto dall’Otello di Shakespeare, in cui Laurence Olivier si tinge la faccia di nero per interpretare il Moro.

Dopo aver ricevuto le lamentele dagli studenti, il rettore ha scritto una lettera in cui denuncia Sheng. “Le azioni del professor Sheng non sono in linea con l’impegno della nostra scuola per l’azione antirazzista, la diversità, l’equità e l’inclusione”, ha affermato. Sheng si è scusato due volte, la prima poche ore dopo la proiezione di Otello, in cui ha riconosciuto che il film è “insensibile e obsoleto”, la seconda pochi giorni dopo, in cui ha detto di aver lavorato con persone di colore nel corso della sua carriera.

Doppio errore. Quando ti vedono debole, ti assaltano ancora di più. E così alla fine Sheng si è dimesso. Al tempo di Mao si cominciò con la distruzione dei pianoforti, che venivano fatti a pezzi (spesso insieme ai pianisti). Stessa sorte toccò ai violini e alle mani dei violinisti. Proibite le musiche di Mozart, Beethoven, Bach e di tutti gli altri sporchi “ideologi borghesi”.

Il pensiero di Mao fu imposto attraverso una cantilena che doveva creare un popolo di automi e sopprimere ogni impulso dell’individuo, “un malato da spaventare e da curare con le buone”, come disse Mao. Cittadini sospettati di “revisionismo” vennero portati alla berlina per le strade. Non si poteva più uscire senza incontrare uomini e donne che portavano al petto cartelli con scritte infamanti: “Sono un imbecille”.

I laureati furono mandati a zappare e cataste di libri occidentali distrutte con gli schiacciasassi, in ottemperanza al motto secondo cui “più uno sa, più diventa reazionario”. Sheng ha vissuto questa Rivoluzione Culturale e l’avrebbe ripercorsa anche in un’opera acclamata dalla critica.

È nato a Shanghai nel 1955. Le Guardie Rosse confiscarono il pianoforte della sua famiglia, considerandolo un’“indulgenza borghese”. Nel 1990 il New York Times gli dedicò un ritratto: “Quando otto anni fa è emigrato dalla Cina a New York, Sheng non parlava inglese, non conosceva un americano ed era squattrinato. Oggi è uno dei compositori più seguiti della sua generazione”.

Sheng disse al Times: “Mio nonno fu ufficialmente denunciato come nemico dalle Guardie Rosse. E questo includeva tre generazioni. Quindi sono cresciuto anche io come un piccolo nemico”. Sheng si salvò accettando di andare a suonare in una banda in Tibet, dove la lotta di classe maoista era meno virulenta. E lì continuò a studiare e suonare Mozart, Bach e Beethoven, oggi nel mirino della cancel culture

E pensare che il direttore della Shanghai Symphony, Lu Hongen, giorni prima della sua esecuzione durante la Rivoluzione culturale maoista, disse al suo compagno di cella: “Visita l’Austria, la patria della musica. Vai sulla tomba di Beethoven e deponi un mazzo di fiori. E dì a Beethoven che il suo discepolo è in Cina”.

Bright Sheng

Uno degli studenti all’università ha detto che le dimissioni di Sheng era ilminimoche avrebbe dovuto fare. Cos’altro doveva fare? Farsi radere i capelli e sfilare nella pubblica piazza come vide fare in Cina? Farsi appendere al collo una confessione in cui il musicista ammetteva di aver peccato contro la nuova morale e di essere un “imbecille razzista”? Ci rendiamo davvero conto di quello che sta succedendo nella cultura occidentale?