L’anno di San Giuseppe e la Dottrina sociale della Chiesa

Osservatorio Internazionale Cardinale Van Thuân

sulla Dottrina sociale della Chiesa

Newsletter 15 Settembre 2021  

S.E. Mons. Giampaolo Crepaldi

Vescovo di Trieste Fondatore e presidente emerito dell’Osservatorio

Pubblichiamo l’Editoriale del “Bollettino di Dottrina sociale della Chiesa” numero 3 (2021) su “San Giuseppe: paternità, castità, lavoro”. Puoi acquistarne una copia scrivendo a abbonamenti_acquisti@vanthuanobservatory.org e pagando QUI (8 euro). Vedi l’indice completo QUI.

In occasione dei 150 anni del Decreto Quemadmodum Deus, con il quale Pio IX ha dichiarato San Giuseppe Patrono della Chiesa Cattolica, Papa Francesco, con la Lettera apostolica “Patris corde”, ha indetto uno speciale Anno di San Giuseppe, dall’8 dicembre 2020 all’8 dicembre 2021.

In questo anno dedicato a san Giuseppe, Sposo della Vergine Maria e Padre putativo di Nostro Signore Gesù Cristo, il nostro Osservatorio non poteva trascurare il profondo nesso che si dà tra la devozione giuseppina e la Dottrina sociale della Chiesa, tra il Santo Patriarca e lo zelo per il Regno sociale di Cristo.

Questo collegamento tra il culto dovuto a san Giuseppe e il ruolo della Chiesa e dei cattolici nella società era già molto evidente nella proclamazione di San Giuseppe a patrono della Chiesa universale. Ciò avvenne l’8 dicembre 1870 con il decreto del beato Pio IX Quemadmodum, dopo che il 10 settembre 1867 era stata estesa a tutta la Chiesa la festa del Patrocinio di san Giuseppe. Pio IX collegò il Patrocinio di san Giuseppe alla “luttuosa condizione dei tempi”, ad indicare nel Santo la guida per la ricostruzione della civiltà cristiana. Sembra molto evidente, nella ratio di Pio IX, il nesso tra la proclamazione del Patrocinio e l’impegno della Chiesa contro gli errori del tempo. Si potrebbe individuare nella paternità, intesa anche come signoria e autorità – come ben mette in evidenza Federico Catani in questo fascicolo -, il proprio di san Giuseppe che Pio IX intende contrapporre al parricidio spirituale di una società che intendeva eliminare Dio dalla sfera pubblica.

Anche Leone XIII, nell’enciclica Quamquam pluries del 15 agosto 1889, indica nella devozione a san Giuseppe il rimedio a quella “difficile e miserabile situazione” in cui si trova la cristianità di fine Ottocento: «tempi funesti […] quando il potere delle tenebre sembra possa osare tutto a danno della cattolicità». La devozione a san Giuseppe viene propugnata come medicina per un mondo preda del disordine. In questo disegno condotto da Leone XIII, la Dottrina sociale della Chiesa può dirsi una colonna [1].

È bene anche ricordare che Con l’Orazione a san Giuseppe, composta da papa Leone XIII, i cattolici pregano da più d’un secolo: “Proteggi, o provvido Custode della divina Famiglia, l’eletta prole di Gesù Cristo; allontana da noi, o Padre amantissimo, la peste di errori e di vizi che ammorba il mondo; assistici propizio dal cielo in questa lotta contro il potere delle tenebre, o nostro fortissimo protettore”, invocando il Santo a protezione dall’eresia e dal vizio morale, contro il potere delle tenebre.

Nella già ricordata enciclica Quamquam pluries Leone XIII indica in san Giuseppe il modello celeste tanto dei nobili e dei ricchi quanto dei proletari, offrendo implicitamente in lui il modello cristiano di vita tale da superare l’artificiale lotta di classe della società industriale. È nella nobile umiltà di san Giuseppe, uomo di stirpe regale che si guadagna il pane con il lavoro di falegname, che si può dire riassunta la lezione sociale di Leone XIII.

Sarà il venerabile Pio XII a indicare, l’11 marzo 1945, in san Giuseppe il modello degli operai e, il 1 maggio del 1955, a istituire la festa liturgica di san Giuseppe Artigiano. Dalla bottega di Nazareth alla Laborem exercens di san Giovanni Paolo II brilla la verità cristiana sul lavoro quale mezzo di santificazione.

Giovanni Paolo II dedicò al “la figura e la missione di san Giuseppe nella vita di Cristo e della Chiesa” l’Esortazione apostolica Redemptoris Custos del 15 agosto 1989, nel centenario della pubblicazione dell’epistola enciclica Quamquam Pluries di papa Leone XIII. «Ritengo – scriveva Giovanni Paolo II – , infatti, che il riconsiderare la partecipazione dello sposo di Maria al riguardo consentirà alla Chiesa, in cammino verso il futuro insieme con tutta l’umanità, di ritrovare continuamente la propria identità nell’ambito di tale disegno redentivo, che ha il suo fondamento nel mistero dell’Incarnazione».

Dalle righe di questo documento emerge la figura di san Giuseppe come “depositario del mistero di Dio”, il servizio della sua paternità, l’uomo giusto e lo sposo, l’artigiano che esprime nel lavoro l’amore. La Lettera apostolica si conclude con il “primato della vita interiore”: «l’apparente tensione tra la vita attiva e quella contemplativa trova in lui un ideale superamento, possibile a chi possiede la perfezione della carità.

Seguendo la nota distinzione tra l’amore della verità («caritas veritatis») e l’esigenza dell’amore («necessitas caritatis»), possiamo dire che Giuseppe ha sperimentato sia l’amore della verità, cioè il puro amore di contemplazione della verità divina che irradiava dall’umanità di Cristo, sia l’esigenza dell’amore, cioè l’amore altrettanto puro del servizio, richiesto dalla tutela e dallo sviluppo di quella stessa umanità». Ricordando i “tempi difficili” di quando Pio proclamò san Giuseppe patrono della Chiesa, Giovanni Paolo attualizza l’efficacia di quell’atto: «Questo patrocinio deve essere invocato ed è necessario tuttora alla Chiesa non soltanto a difesa contro gli insorgenti pericoli, ma anche e soprattutto a conforto del suo rinnovato impegno di evangelizzazione nel mondo».

In San Giuseppe, il credente cattolico trova la figura del padre, quella dello sposo, trova la famiglia, il senso della procreazione, trova la vita, la castità, il lavoro e la custodia, trova la resistenza contro la malvagità, trova austerità e sobrietà, trova il senso dell’autorità e trova, soprattutto, quanto collega la famiglia umana con la Sacra Famiglia, la storia profana e la storia sacra.

La devozione per san Giuseppe non è quindi da considerarsi come staccata dall’impegno nella società umana alla luce dei principi che derivano dalla Santa Famiglia di Nazareth e questo impegno si inaridisce se si mondanizza e rinuncia al Patrocinio celeste dei santi e soprattutto di san Giuseppe. Tutto ciò è testimoniato dalla storia della presenza dei cattolici nella società.

La ricorrenza della Festa liturgica di San Giuseppe Artigiano è sempre stato il momento della loro ricarica spirituale e occasione per guardare in alto. Quante parrocchie nelle zone industrializzate delle città sono state intitolate a san Giuseppe Operario. La devozione a San Giuseppe, personale e comunitaria, è stata a lungo l’anima profonda di quanti si sono sentiti impegnati nell’evangelizzazione del sociale. Molti santi cosiddetti “sociali” erano assai devoti a san Giuseppe.

In questo numero del “Bollettino” il lettore troverà autorevoli interventi che intendono illuminare tutte le sfaccettature della grandiosa santità “sociale” di Giuseppe.

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[1] Cfr. G. Crepaldi, È ancora valido il progetto di Leone XIII?, in  “Bollettino di Dottrina sociale della Chiesa”,  VIII (2012) 2, pp. 65-68.